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Rabbia d’autunno

Da Icalamari @frperinelli
Rabbia d’autunno

http://www.taleas.com – Just a bunch of cubicles

Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l’intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine. Neanche un bambino nei giardini. Ombre e luce sulle zoysie ingiallite. Querce rosse e querce di palude e querce bicolori riversavano una pioggia di ghiande sulle case senza ipoteca. Le controfinestre rabbrividivano nelle stanze da letto vuote. E poi il ronzio monotono e singhiozzante di un’asciugabiancheria, la contesa nasale di un soffiatore da giardino, il maturare di mele nostrane in un sacchetto di carta, l’odore della benzina con cui Alfred Lambert aveva pulito il pennello dopo la verniciatura mattutina del divanetto di vimini.

È l’incipit del mio libro preferito, Le Correzioni di Jonathan Franzen. Così come conviene agli incipit, contiene il germe dell’intero libro, e si condensa in sole 9 righe (sul foglio standard del mio LibreOffice Writer).

Il narratore è una voce fuori dal tempo, che sa e si può permettere da subito un racconto simbolico, collega i cambiamenti del tempo atmosferico con ciò che va cambiando nel destino dell’uomo occidentale. Anima oggetti ed esseri viventi, fa la parola viva. Anzi, è la parola stessa il narratore, e con lei tutti gli oggetti della sua descrizione, il mondo occidentale.

Questo narratore/parola/mondo entra da sottopelle nelle sensazioni del lettore e lo trasforma in un abitante del Midwest, il luogo da cui si incammina la trama del romanzo. Gli suggerisce ricordi legati alle sensazioni che richiama. Lo avvolge in un ambiente realistico, le sensazioni che gli fa provare sono tattili (il freddo che arriva dalla prateria), visive (l’alternanza di ombre e luci e dei colori sulle foglie delle piante), sonore (il rumore di un’asciugabiancheria sovrapposto a quello di un soffiatore da giardino), olfattive (l’odore delle mele -“nostrane”- a maturare in un sacchetto, l’odore della benzina che porta chi legge, risalendo dal pennello al braccio di chi lo sorregge, a conoscere il primo protagonista del romanzo).

Egli narra al passato, racconta i fatti all’imperfetto proprio perché la storia è già accaduta e, per darne le differenti sfaccettature e poterne suggerire un’interpretazione, di volta in volta legata ai personaggi che la sua “camera” segue, deve distaccarsene nel tempo e nello spazio, restarne al di fuori e governare il cammino cieco del lettore.

Il mondo sul quale questo incipit spalanca lo sguardo del lettore è l’autunno nei boschi del Midwest, un luogo tipicamente americano nei pregi e nei difetti e, proprio in quanto tipicamente americano, rispecchia l’andamento de “l’intera religione settentrionale delle cose”.

E il lettore, fino a un momento prima del tutto inconsapevole dell’incombenza della stagione fredda, sente montare attorno a sé la rabbia cieca di un gelido fronte autunnale. Allora, speranzoso, solleva gli occhi dalle pagine, e tenta di individuare nei dintorni almeno qualche segno che lo convinca di trovarsi in certe sconosciute praterie del Midwest.


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