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RABBITS, Bites Rites

Creato il 28 agosto 2012 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Bites Rites

Stazioniamo in un montante 90′s raw rock revival da almeno un lustro, è un fatto, e i Rabbits da Portland sono qui a sbraitarcelo dritto in faccia, mano nella mano con Red Fang, Black Tusk e tantissimi altri amichetti con la barba a stelle e strisce. Piccola variante nella vignetta: niente basso; che poi non lo diresti mai, vista la resa heavy as fuck di questo Bites Rites.

Parliamo di gente che viene da lontano, addirittura dagli eccentrici VSS, a loro volta costola “wave” degli ancor più sommersi e cult Angel Hair, screamo heroes da S. Diego (heroes per disturbati mentali quali il sottoscritto e un’altra quindicina di tizi dispersi per lo Stivale, si capisce).

Esaurita durante le precedenti mutazioni la love story con Bauhaus, Birthday Party e pipistrelli vari, il nostro trio s’è avvinghiato senza riserve a un sound très Amphetamine Reptile, rozzo, ubriaco, pronto alla rissa sul retro, debuttando lo scorso anno con Lower Forms su Relapse, label non a caso cruciale per la riproposizione di quell’universo lì. A questo giro, invece, optano per la seattleiana Good To Die, lasciando invariata la miscela: sludge rock tonitruante, che fa molto Unsane quando l’attacco è diretto e all’arma bianca (“We And The Zoo”), molto Jesus Lizard/Scratch Acid quando si farnetica molesti su giri distorti di blues (“Fight Right”) e molto Melvins per il resto della storia. Ah, da menzionare pure una riuscita cover di “2:35” degli Spacemen 3 e un’altra bellissima di “What’s Going On” (no, non quella di Marvin Gaye, quella degli Hüsker Dü).

Il punto critico è il solito di molte uscite degli ultimi dieci, quindici anni in qualsiasi ambito musicale: i pezzi sono scritti, suonati e registrati ad arte, l’artwork è parimenti strafigo (Skinner da Sacramento, un vero artista!) e chiunque abbia bazzicato accolite di rancorosi affini non tarderà a riconoscerlo. L’unico piccolissimo problema si pone nel caso si abbia l’ardire di pretendere anche una significativa dose di originalità. E già immaginando la risposta, attacco per primo: ‘sta storia del post-post moderno per cui è impossibile andare oltre il rimescolamento di idee del passato puzza ormai di alibi a miglia di distanza e m’ha pure rotto il cazzo per quante volte l’ho sentita. Magari non è questo il caso più eclatante di disco derivativo, abbiamo visto che storia alle spalle hanno i tipi, ma non sarebbe comunque giusto non segnalare un certo appiattimento su paradigmi e nomi ultranoti, specie per chi s’è nutrito di quelle minestre per tanti indimenticabili anni.

Vi rivelo dunque il mio sogno bagnato: scrivere di una band sludge/heavy rock attuale senza dover digitare m-e-l-v-i-n-s. Wow.


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