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gli addendi: due fratelli incestuosi in fuga dai genitori; una guardia forestale, sua moglie e il suo cane; quattro ragazzi (due femmine, due maschi) mal assortiti diretti a un torneo di tennis; una coppia di sbirri ciascuno con una buona dose di problemi personali; dulcis in fundo, uno psicopatico senza perché. il risultato: uno slasher grottesco dai toni coeniani.
I.paese di merda!
innanzitutto, i personaggi: si palesano sullo schermo secondo il più classico degli stilemi (nessuno escluso) ma poi intraprendono, ognuno per conto proprio, percorsi che si allontanano totalmente dallo stereotipo. sono vittime del fato, della sfortuna, della loro debolezza o come la si voglia chiamare: sono dei perdenti, marionette senza fili gettati nel locus asper della foresta, quasi fosse questo specifico ambiente il detonatore psicologico dell’oscuro che ciascuno cova dentro. c’è una densa e beffarda ironia che permea la pellicola facendo scompisciare il deus ex machina (in primo luogo, gli spettatori) che osserva dall’esterno la tragicommedia (oppure, lo vogliamo chiamare orrore del ridicolo?). in questa opera sanguinosamente buffa, chi cerca di fare del bene (la guardia forestale) finisce brutalmente e orrendamente ucciso; mentre chi cerca di far del male (il poliziotto sessuomane) ha, par contre, un ruolo predatorio, di comando. ma il fato sembra non guardare in faccia nessuno, “buoni”, “cattivi” e tutto quello che ci sta in mezzo. difatti, in fin dei conti, si tratta di una ecatombe. senza martirio, però. quasi che il libero arbitrio che i personaggi usano (e abusano) sia un dono che gli esseri umani non hanno ancora imparato a maneggiare, e che finisce per dimostrarsi del tutto controproducente rispetto alle loro aspettative (vedi il poliziotto che cerca di pacificarsi con la moglie). sono solo bamboline di pezza scaraventate nella mischia: muoiono come mosche e si salvano solo quando la Morte si distrae un attimo. dire che si tratta di profondo pessimismo, è un grande, sardonico eufemismo.
titolo originale: Kalevetun film di Aharon Keshales & Navot Papushado2010
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