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RACCONTAMI (8) – “Fantasmagonia” di Michele Mari

Creato il 24 agosto 2012 da Sulromanzo

FantasmagoniaMichele Mari nel segno di Borges e Landolfi

Fantasmagonia, pubblicata con Einaudi all’inizio di quest’anno, è una raccolta di ben trentaquattro racconti in poco più di centocinquanta pagine: già questo lascia intendere come Michele Mari abbia qui prediletto la misura molto breve, e anche la difficoltà di trovare un comun denominatore per tutti i testi. Persino l’orrido, a cui sembrano alludere titolo e copertina, non è che episodico e spesso accidentale, sebbene i riferimenti al morboso, all’ossessivo, all’immaginifico siano frequenti e suggeriscano un legame profondo con Tommaso Landolfi e Jorge Luis Borges (citato in Tre postille ad un soffitto viola e coprotagonista del racconto Grecia-Argentina, in cui assiste a un match di calcio insieme a Omero). Del resto, se davvero occorresse rintracciare un fil rouge, sarebbero proprio le allusioni colte e la letterarietà dello stile, all’insegna di un arguto divertissement: capita così che i fratelli Grimm vestano i panni di carcerieri (Il patrimonio del popolo tedesco), che Niccolò Machiavelli divenga qualcosa di simile a un licantropo (Il centauro), che Byron finisca per assomigliare a un vampiro e la Shelley all’inquieto Frankenstein (Villa Diodati), che Salgari appaia posseduto da una misteriosa entità (Mamapraciam), che Collodi venga – in questo caso solo metaforicamente – tirato per la giacchetta (Josef K.) o, ancora, che lo spericolato Saint-Exupéry sia ripetutamente salvato dal Piccolo Principe (Aerei e favole) e che il giovane Shakespeare tragga dalle storie narrategli nell’infanzia il nocciolo dei suoi capolavori (La famiglia della mamma). Eppure i racconti più significativi non son questi, ma quelli in cui Mari si discosta completamente dal noir (in tutte le sue declinazioni) o, viceversa, si confronta in maniera semiseria con esso, ribaltandone i topoi.

Innanzitutto, dunque, Lamento del guerriero (già pubblicato sul «Corriere della sera» nel 2000), in cui Achille dismette le vesti dell’eroe per mostrare l’umanità e la sofferenza del suo animo, per ripercorrere lo scontro con Ettore e rievocare il suo amato: «il mio sogno era che morissero tutti, e Teucri ed Achei, e rimanessimo solo noi due, Patroclo ed io, fumanti di sangue e sfiniti, ma ebbri, felici, interamente l’uno dell’altro, la Troade tutta per noi, silenziosa ed immensa…». Molto bello e svincolato da ogni definizione di genere anche L’ultimo buscadero (apparso nel 2003 in Schema libero con «La Gazzetta dello Sport»); è l’espressione della passione di un bambino per il calcio e della sua inventiva: giunge a immaginare una serie di concatenazioni che giustifichino la sconfitta del Milan di Rivera (campionato ’71/’72), ai suoi occhi imbattibile. In quest’ultimo si percepisce una vena ironica che altrove è ancora più manifesta e si sostanzia del drammatico, come in Iride e madreperla, sulla transitività delle pene d’amore, o in Corradino di Svevia, in cui un ragazzino non riesce a non esultare per la morte di un bulletto. Davvero spassoso e sagace, poi, Il sogno del fecaloma, gioco linguistico alla Achille Campanile, sui tanti termini con cui si definiscono le feci con il passare degli anni (da popò e pupù, a cacca, merda e così via).

Tra le vere e proprie storie di fantasmi, vanno segnalate Fantasmagonia, sulle diverse fasi della genesi di un fantasma, Sangue dalle rape, una favola nera che vede una turbata principessa giocare con l’alchimia e con le proprie nevrosi per dar vita agli ortaggi, e il sorprendente racconto di apertura: Conversazione notturna con il mostro, che pone un bambino a colloquio con un mostro partorito dalla sua fantasia, ma che ora pretende un terrificante tributo. Infine, nel ricco carnet dei racconti ossessivi, quelli che più riconducono a Landolfi, da menzionare senz’altro Le sere di Marcellino, Annomachia, Ballata triste di una tromba.

Se dunque sull’organicità della raccolta in quanto tale è legittimo avanzare qualche dubbio, non ve ne sono sul valore di molti dei testi presenti e soprattutto sulla capacità di Michele Mari di servirsi di uno stile dalle inesauribili suggestioni, irrisorio e letterario al contempo, ben lontano dalla sciatteria più o meno intenzionale di tanta narrativa contemporanea.

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