Raccontami una storia. Propedeutica dell'Unità. /2
Creato il 09 novembre 2011 da Frankie71
@FraMoriconi
Ora non voglio dire che questi fossero i prodromi del fascismo, ci mancherebbe. Quello che voglio dire, insisto, è che prima di fare dei distinguo netti tra il prima e il dopo nella storia, bisogna guardare le cose con cautela. E che si assisteva al radicarsi di una cultura in cui il fascismo avrebbe attecchito facilmente. Procediamo.Un forte controllo centrale senza garanzie era unito in quel tempo a uno sfrenato liberismo in campo economico che favoriva ovviamente grandi invasioni di mercato da parte degli stranieri. Il liberismo doganale presupponeva una concezione, molto radicata, che non vi fosse uno spazio naturale, una predisposizione, per lo sviluppo industriale in Italia. È solo a partire dalla fine degli anni’60 dell’Ottocento che cresce un’esigenza sempre più forte di rivedere le politiche doganali in senso protezionista e di favorire un'industria solida. Si prendeva a modello la Prussia che otteneva successi militari grazie alla preparazione e alla dotazione dei suoi eserciti ma anche alla forza economica, dovuta alla grande capacità dei tecnici, alla competenza delle maestranze, alla grandezza delle sue industrie. Una prospettiva di accrescimento delle capacità industriali nazionali si stava alimentando in tutta Europa: forte produzione siderurgica (armi, ferrovie, navi) e forte potenza militare. E l’Italia fece il suo. Un quadro chiaro e coerente si ebbe negli anni ’80 dove si riscontra grande produzione di apparati bellici, miglioramento dell’esercito, espansione coloniale. E in più coltivazione e ampliamento dei rapporti con l’area austro tedesca (che otteneva successi militari e politici a manetta). In quel momento l’innalzamento delle tariffe doganali sembrava un obbligo.In questo contesto le idee di patria e di interesse nazionale, oltre i retorici richiami al re e a Garibaldi, vennero identificate con difesa degli interessi economici e difesa della produzione nazionale.Una pubblicazione di Leone Carpi, L’Italia vivente del 1878, offre una buona possibilità interpretativa della situazione generale italiana. In un quadro sociale diviso e conflittuale (diviso nelle politiche amministrative, nelle aspirazioni, nell’idea stessa di nazione) Carpi riteneva necessario affidare allo Stato (nota bene: e fors’anche a uomo di genio) il compito di imporre riforme: politica protezionista, espansione coloniale, riduzione della corruzione nell’amministrazione e nella politica, istruzione e educazione (il solito incivilimento). Va detto che in quel periodo era molto diffuso il pensiero per il quale un’analisi che dividesse in classi la società fosse operazione antipatriottica che minava l’unità. La tendenza era quella di pensare la nazione come un blocco coeso e dal comune sentire. Ai termini borghesia, proletariato si preferiva il termine omnicomprensivo di popolo. Dunque, siamo a metà cammino: forte autorità centrale con ingerenza nelle amministrazioni periferiche senza poteri di controllo, limiti alla libertà di stampa e di associazione, necessità di espansioni coloniali, liberalprotezionismo – diciamo, apertura a uomo di genio, negazione del concetto di classe, incivilimento. La situazione non era granché liberale. O lo era solo in parte, concedendo spazi a forme antidemocratiche. O no?“Per me, scusate, il concetto che passa è di enorme distanza tra gli ideali e i sogni italiani e la realtà. Con preoccupanti segnali di deriva…” dico dopo aver più o meno espresso quanto sopra.“Ma tutte le nazioni” - fa lei – “hanno dovuto lottare per assestarsi e migliorarsi. Guarda gli Stati Uniti. Però se noi non avessimo avuto quella pausa del Ventennio, avremmo avuto un progresso più lineare”.Ora il vaffanculo sarebbe stato d’obbligo. Ma ho soprasseduto. “Scusa devo andare a ritirare i soldi”. “Aspetta, prendiamo un caffè”. “Grazie, ho già fatto”.Non lo volevo dire. Quella cosa che avevo in mente non la volevo proprio dire. Però affermare che il Ventennio è stata una “pausa” non riuscivo a sopportarlo. Allora mi sono ricordato della metafora Craxiana che lei aveva citato, a sproposito, alla cena; e ho creato: “Senti, è come dire che Mani Pulite è stata una pausa tra prima e seconda repubblica”. Un po’ meno a sproposito ma altrettanto destabilizzante. Speravo di non dover continuare. “Be’” - si ostina invece lei – “un conto è agire nel parlamento, un conto è agire nella dittatura”. Niente. Non ci riesce a dire una cosa pertinente. Però stavolta avevo iniziato io. Sono riuscito a scappare. Però avrei continuato così:
(continua, appunto)
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