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Raccontami una storia. Sventrami /3

Creato il 26 luglio 2011 da Frankie71 @FraMoriconi
Partirei da via della Conciliazione, ricavata dopo la famosa demolizione della spina di Borgo. Atroce intervento, unanimemente criticato perché in un colpo ha ucciso l’effetto sorpresa progettato dal Bernini per la piazza di San Pietro e ha ossequiato la Chiesa celebrando la stipula dei patti Lateranensi.La sostituzione della spina con una strada è un’intenzione antica, praticamente contemporanea all’ultimazione della piazza berniniana. Esistono progetti di fine Seicento (Fontana), Settecento (Morelli), Ottocento pre unitario (Valadier, Capranica), Ottocento post unitario. In particolare il piano regolatore del 1873 prevedeva l’abbattimento della spina di Borgo, approvato dal Consiglio Comunale nel 1881; fu la Giunta ad abbandonare il progetto perché non urgente e necessario ma solo “decoroso”. Nel 1886 il famoso Andrea Busiri Vici (membro della fabbrica di San Pietro) concepì un disegno ardito che contemplava la demolizione; un'altra proposta fu redatta l’anno dopo direttamente dal Comune cui si rinunciò per le proteste vivissime innescate da Domenico Gnoli che aveva scoperto nella spina una residenza di Raffaello. Di nuovo nel 1889 si cercò di riprendere i progetti del Valadier e dell’amministrazione francese ma una grave crisi economica costrinse ad accantonare l’idea. Ad Eric Gugler, nel 1915, si deve un ulteriore progetto per il completo smantellamento; subito dopo Armando Brasini ne propose uno che sembrava in gara aperta con Bernini.Quando si arrivò agli abbattimenti reali, in epoca fascista, forse per la prima volta il piano aveva un senso ben oltre la mera necessità organizzativa: era il segno concreto dell’apertura dello stato laico verso la Chiesa cattolica dopo gli anni dell’emarginazione anticlericale. Si può essere d’accordo o no con la stipula dei patti Lateranensi (io personalmente li ritengo una iattura ma forse il consenso del mondo cattolico e l’impellente esigenza di risolvere l’ancora vivo conflitto sociale nella capitale tra ceti romani e ceti “usurpatori” non poteva trovare rapida soluzione se non in quel modo), fatto sta che l’idea sottesa all’apertura di via della Conciliazione era carica di significati politici e, tra tutti i programmi susseguitisi, quello era certo il meno astratto nelle motivazioni. Lo sviluppo del senso della continuità del tessuto urbano e dell’importanza della stratificazione storica impedirebbero oggi un intervento del genere. All’epoca però non si trattava di uno “scempio” ma della concretizzazione di un’idea che era stata portata avanti per secoli e che, in certi casi, per fortuite contingenze non aveva ancora visto la luce. Negare questa storia è negare aprioristicamente la Storia e impedire il giudizio. È oscurantismo.
A tavola ormai eravamo tre, gli altri erano in terrazza a fumare e a guardare il panorama.Mi sembra chiarita la volontà storica di far diventare Roma un simbolo adeguato al suo ruolo, all’interno di un disegno post unitario che si è tentato di completare durante il fascismo. Il famoso discorso di Mussolini, declamato in occasione della prima celebrazione del natale di Roma (21 aprile, istituito dal fascismo, si celebra ancor oggi, ovviamente senza particolari pruriti) individuava per la Capitale due tipi di problemi da affrontare nell’immediato: problemi della necessità e problemi della grandezza. Per i primi identificava la soluzione in case e comunicazioni, per i secondi – dipendenti dai primi – la rappresentatività monumentale: niente di diverso da quello che si era già teorizzato fin dalla Parigi di Haussmann. L’intero ceppo di critiche sull’incapacità ignorante del regime o sulla vanità delirante del Duce non si confrontano mai con un dato oggettivo: hanno delirato tutti gli amministratori europei per cento anni? Ad ogni modo in Italia è stato il fascismo a far arrivare in porto progetti altrimenti senza soluzione, in linea con le direttive di intervento stabilite anche prima del regime. Con qualche differenza pratica, per esempio adottare provvedimenti specifici per sistemare gli sfollati a seguito delle demolizioni, al contrario di tutte le amministrazioni precedenti.Mussolini riuscì anche nel compito di far accettare Roma e il suo primato a tutta Italia; ed è con il regime che finì il dualismo amministrativo della Capitale (potere locale - potere centrale) in favore del governo centrale. Sciolto il consiglio comunale, il sindaco Cremonesi rimase al suo posto dichiarandosi fascista. Il Governatorato da lui presieduto era una diretta emanazione del potere centrale dello stato fascista. La politica degli sventramenti, è bene sottolinearlo, si realizzò col generale consenso degli ambienti culturali, degli architetti e degli archeologi, anche per la semplice continuità dell’alveo progettuale. Le critiche furono voci isolate e mai organizzate solidamente almeno fino agli anni ’40.Già prima del fascismo, quelli che poi ne diverranno protagonisti come Piacentini, pur partendo da posizioni tipicamente post unitarie come realizzare una nuova città verso Termini alleggerendo la vecchia e salvaguardandola, non considerava tutto intoccabile e dichiarava che dove la bellezza non c’era bisognasse crearla (1916, altro che continuum del tessuto).Gustavo Giovannoni assumeva posizioni ambigue: promuoveva il diradamento edilizio senza dare importanza al continuum ma scriveva articoli in cui affermava che l’arte non è solo nei monumenti maggiori. All’interno degli stessi articoli stabiliva poi la necessità di slarghi e grandi spazi dentro l’abitato.In tutti i casi la considerazione del patrimonio era assolutamente conforme alla tradizione accademica. Anche gli ambienti culturali di tutte le città europee avevano voluto e tendevano all’isolamento dell’edificio storico senza garantire la lettura del contesto. Un generale consenso alle operazioni del regime venne da tutti gli stati europei e ci furono vere e proprie dichiarazioni d’amore per il Duce da parte di intellettuali come Strong, Curtius, Carcopino. Gli esponenti della cultura italiana non erano solo servi - come si vuole semplicisticamente argomentare da parte di critici pregiudiziali - e, vedi Piacentini, avrebbero fatto le stesse cose anche al di fuori del regime, come già si era fatto a partire dal 1870 o prima (per esempio la piazza della colonna Traiana, ottenuta con sventramenti, è del 1811).Il piccone fascista iniziò a lavorare nel 1924, con demolizioni dalla salita del Grillo al Vittoriano; il problema impellente era risolvere il rapporto del monumento a Vittorio Emanuele II con il resto del nuovo centro costituito da Piazza Venezia. Nel 1926 una serie di demolizioni attuarono la liberazione del Campidoglio e del teatro di Marcello in concomitanza con la realizzazione della nuova arteria di scorrimento: la via del Mare. Il passaggio della strada comportava molte demolizioni presso la Bocca della Verità, dove furono isolati diversi edifici archeologici. Le distruzioni tra Campidoglio e Teatro di Marcello erano già previste nel piano del 1909 (tanto per cambiare) ma gli si dava ora il valore di strumento per indirizzare l’espansione cittadina verso la costa. Bisogna sottolineare che anche qui è uno strumento di progresso cittadino a essere caricato di valori simbolici e propagandistici (Campidoglio, Rupe Tarpea, Teatro di Marcello) ancora nell’alveo della tipologia di interventi post 1870. Ad uccidere la stratificazione storica in nome del solo intento di propaganda sono stati a mio avviso più la realizzazione di piazza Augusto imperatore (1934) con la demolizione dell’auditorium cittadino ricavato nel 1908 sul mausoleo di Augusto e, in una certa misura, Largo Argentina (1927-1929). Anche Corso Rinascimento in ultima analisi è un’opera all’interno di quella volontà di risanamento e di miglioramento della circolazione viaria stabilito nell’Ottocento.C’è da dire che il piano regolatore redatto nel 1931 prevedeva ulteriori numerosi sventramenti che non furono mai attuati e che anche quello considerato dalla critica il padre di tutti, via dell’Impero, non vide il suo completamento.La sistemazione dell’area dei Fori Imperiali aveva creato problemi e proposte sin dall’apertura di Via Cavour. Ulteriori punti nodali erano costituiti dal Vittoriano, con un rapporto ancora da chiarire tra i suoi fianchi e l’ambiente circostante, e dagli stessi resti archeologici. Un fardello via via accresciutosi e giunto in mano all’amministrazione fascista che, affrontando le scelte urbanistiche, diede alla soluzione della questione un valore simbolico e mitologico che ha travalicato di gran lunga ogni aspetto meramente tecnico. In tutta la fase post unitaria fino all’avvento del fascismo non era mai stato adottato un disegno unitario che definisse le questioni sospese di Via Cavour, dei Fori, del Vittoriano: la forza economica messa in campo per celebrare il decennale della marcia su Roma impose un ritmo impressionante ad un progetto che in un colpo metteva fine ad ogni intoppo passato. È talmente vero che via dell’Impero aveva prima di tutto una valenza funzionale risolutiva di una questione urbanistica, che il piano regolatore del 1931, pur non definendone con esattezza il percorso e facendola arrivare in zona San Giovanni, prevedeva per essa il nome di via dei Monti, senza alcuna evidente qualità propagandistica. Inoltre le prime demolizioni veramente finalizzate alla realizzazione della strada furono gli edifici sul fianco sinistro del Vittoriano che erano stati già espropriati nel 1913, non dai fascisti. Fu poi nell’estate del 1932 che si decisero espropri e demolizioni non previste dal piano regolatore del ’31, compreso il taglio famigerato della Velia che rese visibile il Colosseo e permise l’andamento totalmente rettilineo della via. L’inaugurazione avvenne il 28 ottobre 1932 col nome di via dell’Impero.Ormai la cena volgeva al termine e io mi stavo stancando. Sono rimasto da solo con un signore di cui nemmeno ricordo il nome, un tizio che s’è tenuto uno strano cappello in testa tutta la sera: “e con Bruno Zevi come la mettiamo?” mi fa. “Guardi, Zevi ha voluto fare la famosa controstoria dell’architettura ma sul periodo fascista a Roma è stato assolutamente dentro la corrente, dentro i luoghi comuni” ho risposto senza pensare, con foga. Dal terrazzo qualcuno ha detto: “volete il caffè?”. “Sì” – ho risposto in trance agonistica – “ma, per chiudere, non è del tutto vera nemmeno la storia che per colpa del fascismo e degli sventramenti si sono create le borgate a Roma”. Sebbene un contributo importante sia innegabile nel processo di emarginazione dalla città di alcuni ceti più bassi, va detto che tra il ‘21 e il ‘31 la popolazione dei rioni diminuì del 2,47%. Tra il ‘31 e il ‘51 del 6,5%. Tra il ‘51 e il ‘61 del 34%. È di quest’ultimo periodo dunque la vera gentrification con speculazioni a go go e la tragedia archeologica di un suburbio romano devastato.Ma ormai avevo perso mordente. Mi sono zittito di botto. Venuto il momento dei saluti, davanti la porta, con la mano sulla maniglia il padrone di casa m’ha fatto: “non lo sapevo che eri di destra”. L’ho mandato a cagare. (Per ora basta. Però continua...)

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