Ci sono persone che amano molto raccontare, tutto quello che vivono o che passa nella loro mente viene esternato e diventa una storiella, che abbia un senso o no. Queste persone decisamente non sono da prendere a esempio, quando vogliamo scrivere una storia, a prescindere dalla forma che scegliamo (racconto, romanzo, opera teatrale, fumetto, ecc.). Perché, se è vero che lo scopo principale del raccontare è quello di intrattenere, è anche vero che l'insieme di fatti che mettiamo uno in fila all'altro deve avere un senso, deve dimostrare qualcosa.
Poniamo il caso che io decida di raccontarvi di una mia passeggiata sulla spiaggia.
Potrei dirvi che sono arrivata all'alba, mi sono seduta su una barca, ho assistito al sorgere del sole, ho guardato i gabbiani che si posavano sulla riva e le barche all'orizzonte, ho incontrato un amico che portava a spasso il cane, poi sono andata con lui a mangiare del pesce arrosto, e così via. Probabilmente a metà della storia qualcuno si è già slogato la mandibola a furia di sbadigli, ma non è questo il punto. Il punto è che questa sequenza di fatti non porta da nessuna parte, non trasmette niente di specifico.
Potrei raccontarvi altri fatti. Arrivata alla spiaggia, mi sono tolta le scarpe e ho cominciato a camminare a piedi nudi sulla sabbia. La riva era piena di detriti portati dalle mareggiate, che nessuno si era preoccupato di rimuovere. C'era un gruppo di senzatetto accampati in un angolo, da un'altra parte un paio di loschi individui a bere birra, che si divertivano a gettare nel mare le bottiglie. Mi guardavano in modo strano, sono venuti verso di me, così ho cominciato a correre, ma il vetro di una bottiglia rotta mi ha ferito un piede e sono caduta... il resto immaginatelo. Magari anche questa sequenza di fatti non è interessante, però comunica qualcosa: la spiaggia può essere un brutto posto da frequentare per una donna sola.
Se invece mi ripromettessi di evocare qualcosa di romantico, potrei raccontarvi che sulla spiaggia ho incontrato un tipo che faceva footing, ci siamo messi a chiacchierare, abbiamo scoperto di avere tante cose in comune, il tempo è volato e abbiamo guardato il sole che tramontava tra le onde, con il vento tra i capelli, e così via. Anche in questo caso la sequenza di fatti raccontati (per quanto banale) sarebbe stata coerente con quello che mi riproponevo di comunicare.
Cosa voglio dimostrare?
Tutte le storie dovrebbero puntare a trasmettere qualcosa di preciso. La sequenza di fatti che raccontiamo non è fine a se stessa, ma finalizzata a dimostrare una specifica tesi. Nel mio secondo esempio, oltre a dimostrare che la spiaggia può essere un brutto posto, era anche insito un concetto più generale, e cioè che le persone non sono tutte brave persone.
Una qualsiasi storia, infatti, riflette una particolare visione della realtà. La prima storia non riflette nulla di particolare, forse solo che mi piace andare sulla spiaggia. La seconda rispecchia un modo cinico di vedere il mondo. Nella terza, invece, mi metto gli occhiali rosa e racconto tutto di conseguenza.
Purtroppo, rispondere alla domanda "cosa voglio dimostrare con questo romanzo", non è affatto facile come sembra. Anzi, difficilmente quando iniziamo a scrivere ce la poniamo. Spesso arriviamo fino all'ultimo capitolo senza sentire quest'esigenza. Qualche volta non ne abbiamo neppure bisogno, perché in modo conscio o inconscio sappiamo bene che tipo di messaggio stiamo trasmettendo e riusciamo a farlo nel migliore dei modi. Altre volte, invece, arriviamo alla conclusione senza aver mai centrato quello che ci eravamo riproposti. Forse avevamo persino una tesi che volevamo dimostrare, ma non abbiamo trovato il modo di farlo.
Coerenza
Affinché il messaggio arrivi, deve esistere una concordanza negli elementi che inseriamo nelle storie, altrimenti la dimostrazione viene a cadere. E questo è ancora più valido per il finale, che deve essere in totale armonia con il resto e deve in qualche modo convalidare la dimostrazione.
Per esempio, se terminassi la mia storiella numero tre (quella romantica) con il misterioso corridore che tira fuori un coltello svelando di essere un serial killer, verrebbe a cadere il messaggio "la spiaggia è un posto romantico". Lo stesso si potrebbe dire per la storiella due, se a un certo punto atterrasse un disco alieno sulla sabbia e venissi catturata nella navicella. Come minimo i lettori si chiederebbero che diavolo sto dicendo. Ovviamente, questi sono esempi estremi, perché si può rovinare tutto con molto meno.
La conclusione di una storia cambia completamente la percezione della storia stessa e dimostra cose diverse. Forse non esiste il finale perfetto, ma di certo bisogna stare attenti a cosa vogliamo trasmettere. Per esempio, se la storiella due terminasse con l'arrivo di un salvatore che si mette a tirare pugni e calci agli aggressori, mitigherei molto la visione negativa della realtà, con il sottinteso che non tutto il male viene per nuocere.
Concretezza
La dimostrazione è tanto forte quanto più concreto è ciò che mostriamo. Se nella seconda storiella avessi solo parlato di bottiglie rotte e del degrado sulla spiaggia, l'impressione sarebbe stata più morbida. Sicuramente raccontare un'aggressione ha un impatto diverso. Questo non vuol dire che bisogna essere sempre crudi, ma tener conto che un'idea astratta ha meno valore di un'immagine concreta.
Credibilità
La forza della dimostrazione è anche nella sua credibilità. Se sto scrivendo una storia di zombie (una cosa che non farei mai...), parto dal presupposto che essi esistano, ma il mio raccontare deve puntare a convincere chi legge. Dunque, devo offrire dimostrazioni servendomi di scene ed elementi che inducano il lettore a credere che sia proprio così: i zombie esistono! Beh, per lo meno per il tempo della lettura...
Raccontare con una tesi in testa
La tesi che è alla base della storia viene di solito definita nella scrittura creativa "premise" o premessa. Un concetto difficile da afferrare e che di solito viene totalmente ignorato da chi scrive. Ricordo di aver letto diversi manuali che ne parlavano e di averne sempre ricavato un'impressione di grande astrattezza, come se si trattasse di una qualche teoria che non mi riguardasse affatto. Una cosa vaga adatta alla letteratura impegnata. E invece non è così.
Anche una storiella molto poco impegnativa ha una sua "premise", che ce ne rendiamo conto o no.
Avere chiaro in mente qual è il senso del nostro raccontare può:
- Aiutarci a focalizzare quali elementi inserire e quali ignorare.
- Impostare le scene in modo che abbiano un maggiore valore dimostrativo.
- Non scivolare nell'incoerenza.
- Sapere dove vogliamo andare a parare e scegliere un finale adatto.
La mia esperienza
Ho cominciato a preoccuparmi di "cosa volevo dimostrare" con il mio secondo romanzo, dopo che mi è stato fatto notare (in modi diversi) dai miei lettori-cavie che la fine lasciava un po' perplessi. Questo ha messo in discussione quanto avevo scritto (o per lo meno una parte). Sono giunta alla conclusione che sia molto importante capire il prima possibile cosa vogliamo dimostrare con la nostra storia, perché conoscendo la risposta si può fare un lavoro migliore.
E voi, sapere già cosa volete dimostrare con la vostra storia? Avete già inquadrato la "premise" o non vi siete mai posti il problema?
Hanno parlato di questo argomento anche:
- Tenar - L'anima della storia - Scrittevolezze
- Fantasy Eydor - Premise: l'anima della storia
- Rosalia Pucci - Premise... la parola misteriosa