Giuseppe De Nardo, nato nel 1958 a Napoli, vive e lavora a Salerno. Laureato in architettura, dopo aver praticato la libera professione, si inserisce nel mondo della scuola insegnando Disegno e Storia dell’Arte nei licei. Ha fatto parte insieme a Piccininno, Della Monica, Picerno, Lauria e altri dello studio CAF, poi di Trumoon e della cosiddetta Scuola Salernitana. E’ stato vignettista satirico, graffiante e surreale, poi si è specializzato nello scrivere. Crea, tra gli altri, il personaggio di Billiteri e la serie Billiband per L’Intrepido. Nel 1995 entra alla Sergio Bonelli Editore come sceneggiatore, collaborando alla serie Julia e a Dylan Dog. Presso la Scuola del Fumetto di Salerno è insegnante al corso di Sceneggiatura.
Ciao Peppe e benvenuto sulle pagine de LoSpazioBianco!
Parlaci di “Uccidete Caravaggio!” il primo speciale de “Le Storie”. Come è nato il progetto? Una tua proposta, una mediazione redazionale o cosa?
Alla base di tutto metterei tre elementi: l’Arte, la Storia e l’Avventura.
L’Arte. Riempie gran parte della mia vita professionale. Insegno Storia dell’Arte cinque giorni la settimana, da settembre a giugno. Mi nutrivo di Arte anche prima di insegnare, da studente e da semplice appassionato. Per quanto abbia sempre cercato di tener separate le mie due attività, insegnamento e sceneggiatura, non ho potuto evitare che l’una invadesse il campo dell’altra. O viceversa. Era una cosa che doveva succedere. È successo.
La Storia. È l’elemento che accomuna tutte le sceneggiature che ho scritto per Le Storie. Uccidete Caravaggio! è la seconda, dopo La rivolta dei Sepoy, a trovare posto sugli scaffali delle edicole. Altre due sono in lavorazione. Una scelta determinata dalla mia passione per la materia. Amo la Storia. Sono fermamente convinto che conoscere la Storia allunghi la vita, indietro nel tempo, oltre i limiti e le conoscenze di una singola esistenza.
L’Avventura. Sono cresciuto a pane e Avventura: Salgari, Verne, Dumas, Stevenson, Conrad, Defoe, Melville. Anche oggi se ne scrive di pregevole: Bernard Cornwell, Partick o’Brian, Jan Guillou, Arturo Perez-Reverte. Per Le Storie mi sono proposto, anzi imposto, di scrivere il tipo di cose che mi piace leggere. Almeno, ci provo.
Ecco Uccidete Caravaggio! L’arte è protagonista. La ricostruzione storica non è campata in aria. Il respiro è quello dell’avventura.
Vignetta tratta da “La Rivolta dei Sepoy”
Scrivere di un personaggio storico, e perlopiù così noto, richiederà sicuramente un rispetto per le vicende realmente accadute molto forte, pur dovendo necessariamente inserire dei momenti “romanzati”. Quanto è durato il lavoro di documentazione sul personaggio di Caravaggio e quali sono state le tue fonti d’ispirazione?
Il lavoro di ricostruzione è stato lungo. Un’intera estate di letture. Sarebbe stato ancora più lungo se Marcheselli non avesse chiamato per dirmi che Giampiero Casertano aveva letto il soggetto. “Gli è piaciuto. Lo disegna lui. A che punto sei con la sceneggiatura?” Non avevo scritto ancora neanche una pagina. Per fortuna, Casertano era alle prese con il finale di un Dylan Dog. Ne aveva almeno per un paio di settimane.
La vicenda umana e artistica di Caravaggio ha molti punti d’ombra, sui quali non si è mai fatta piena luce. La fuga da Malta, lo sbarco a Palo Laziale, le circostanze della morte. Una fortuna. Sono proprio questi punti d’ombra che mi hanno permesso d’incastrare le vicende dei personaggi d’invenzione con quelle del personaggio storico e di costruire un intreccio storicamente plausibile. Le difficoltà maggiori sono venute dall’ambientazione. Faccio un esempio. Una lunga sezione di Uccidete Caravaggio! ha luogo a Malta. Com’era Malta agli inizi del XVII secolo? Com’era fatta La Valletta? Come si viveva all’epoca? Quali erano i popoli che vivevano sull’isola? Sono cose che non si possono inventare. C’è da studiare.
Fonti d’ispirazione? Ho cercato di ignorare tutto quanto è stato fatto sull’argomento. Mi riferisco in particolare ai film e agli sceneggiati. Avevo in mente un’altra cosa. Soprattutto, avevo in mente il personaggio del soldato di ventura, che dà la caccia a un uomo condannato al bando capitale, la pena di morte emessa da un tribunale della Santa Sede. Pablo Serrano, questo è il suo nome, è uomo d’armi, ma anche uomo di grande sensibilità. I dipinti sono la traccia che il pittore in fuga si lascia dietro. Il cacciatore impara a riconoscerne lo stile. Ne comprende la maestria. Ne apprezza la straordinaria bellezza.
Dal tuo punto di vista di sceneggiatore e grande conoscente del mondo fumettistico, come vedi la collana “Le Storie”? Un tentativo della Bonelli di inserirsi nel mondo sempre più fluttuante dei graphic novel?
Un tentativo che andava fatto. Al di là dell’esito commerciale. Spero, lo speriamo tutti, che la collana possa andare avanti ancora a lungo.
Come giudichi la volontà di inserire il colore in questa avventura? Una volontà dell’editore di aprirsi verso un nuovo modo di approccio al pubblico dopo il successo delle Collane Storiche a colori allegate ai quotidiani e della pubblicazione di Orfani? O semplicemente era un elemento imprescindibile alla narrazione, secondo te e la redazione?
Le Storie non è la prima collana bonelliana ad avere uno speciale annuale a colori. Ha cominciato Dylan Dog con il Color Fest. Poi sono venuti Tex e Zagor. Ora è il momento de Le Storie. Immagino che in futuro ci saranno altri speciali1. Quale sia, esattamente, la strategia che sta dietro certe scelte, mi sembra evidente. Il pubblico dei lettori di fumetti sta cambiando profondamente. Non si possono ignorare le richieste di rinnovamento, soprattutto quelle provenienti dalle generazioni più giovani.
La scelta di inserire, in alcune tavole della storia, immagini di quadri del Caravaggio in originale, si deve a te o a Giampiero Casertano? Mi sembra una scelta molto funzionale alla storia, in ogni caso.
Ne ho parlato con Marcheselli. Marcheselli ne ha parlato con Casertano. Tutti abbiamo pensato che fosse la cosa più giusta da fare.
Particolare di una vignetta con l’inserimento dell’originale di Caravaggio
Tra il cast degli sceneggiatori di Dylan Dog, sei sicuramente quello con un più accentuato gusto poliziesco e noir, e sei di certo il dialoghista più attento di tutta la squadra. In virtù di questo, quanto contano per te, nel momento di scrivere un’avventura dell’Old Boy, ma anche di qualsiasi altro personaggio tu stia scrivendo, i dialoghi? Che componente assumono nei tuoi scritti?
Facendo un paragone con l’architettura, i dialoghi sono la struttura portante di una storia. Soprattutto se parliamo di una storia a fumetti. Se la struttura non regge, tutto crolla miseramente. La fluidità dell’azione è importante. La meccanica di una sequenza è importante. Ma senza buoni dialoghi non ci sono buoni personaggi. E senza personaggi una storia non vale niente.
L’ultimo Dylan Dog di De Nardo pubblicato
A proposito di DD, si apprestano grandi cambiamenti. Una nuova gestione, una nuova cura, nuove avventure. Ci puoi dire se sarai a bordo della testata anche a partire da Settembre 2014?
Ci sarò.
Come giudichi da questo punto di vista la nuova attenzione che si sta riversando su di un personaggio che, si deve ammettere, sembrava ormai avesse poco da dire?
Saranno i lettori a giudicare. Noi autori possiamo solo fare del nostro meglio.
Su cosa stai lavorando ora, dopo aver tenuto a battesimo il primo special “Le Storie?”
Su una storia di Dylan Dog.
Intervista effettuata via mail nel Luglio 2014
N.d.R. A fine luglio sarà la volta di Dragonero, con il suo primo speciale anch’esso a colori ↩