Da una parte la precisione dei dati, il rigore scientifico nel raccoglierli e verificarli, dall’altra il fascino di una trama narrativa che ti porta dentro una storia, il racconto soggettivo di una realtà da condividere con il lettore. Il diavolo e l’acqua santa, più o meno. Tra un Gay Talese (o un Tom Wolfe, o un Jimmy Breslin) e un Philip Meyer c’è sempre stato un abisso. Vero.
Ma le cose possono cambiare. E se i contesti mutano Philip Meyer non è tipo da non accorgersene (o di vedere in questo solo rischi e pericoli e non anche grandi opportunità). Così lui, classe 1930, una delle grandi voci del giornalismo americano (un premio Pulitzer vinto nel 1968, assieme ad altri suoi colleghi, per un reportage sulle tensioni razziali a Detroit che ha fatto storia, autore di libri fondamentali come The Vanishing Newspaper) Meyer dicevo, ti sorprende ancora per la capacità di dare come pochi altri una visione lucida sui cambiamenti e l’evoluzione del giornalismo. E magari di rivedere, a 80 anni suonati, anche le proprie idee.
Leggetevi ad esempio un suo splendido speech di qualche tempo fa (ottobre 2011) alla Medienhaus di Vienna – per la trascrizione, siamo sulle 27mila battute, dobbiamo ringraziare quelli della Nieman Report, e ha davvero valore leggerselo tutto, credetemi – dove una gran parte il “nemico” del narrative journalism la dedica proprio al possibile e assolutamente auspicabile incontro delle due “scuole” di giornalismo americano, quello narrativo e quello di precisione, appunto. Cambiano i contesti, l’accesso ai dati, e il rapporto con il lettore: la “precisione” da sola probabilmente non basta. C’è bisogno di storie che sappiano elaborare e condividere i dati sui quali, quella precisione, si basa.
Sono passi molto interessanti anche perché oggi il giornalismo dei dati (che di quello di precisione e figlio diretto) è molto spesso legato alle infografiche e alla visualizzazione interattive e molto meno allo storytelling. Anche il Data Journalism Handbook, il manuale del giornalismo dei dati nella sua edizione online dedica una sezione al tema (curata dal giornalista Martin Rosenbaum della Bcc) ma, mi sembra, più come auspicio, di una strada possibile e ancora da percorrere.
L’unione tra data journalism e storytelling è ancora tutta da scrivere, per questo ho tradotto alcuni passaggi proprio su questo aspetto, perché rileggerlo mi sembra un ottimo modo di tornare sull’argomento.
Entrambi i generi, giornalismo narrativo e giornalismo di precisione, sono generi speciali che richiedono competenze speciali. Se volessimo fonderli assieme come dovremmo chiamarli ? A me piace il termine “evidence-based narrative” narrativa basata su prove. Implica una buona narrazione basata su prove verificabili.
Sì, sarebbe una specialità esoterica. Ma io credo che esista un mercato per svilupparla. Il mercato delle informazioni ci sta inesorabilmente spostando verso una specializzazione sempre maggiore.
Ma un ambiente che premia la specializzazione non deve essere limitato da questioni inerenti la mera specializzazione. Deve saper costruire una specialità basata sulla metodologia.
Questo è il motivo per cui non è così folle sognare un giornalismo “evidence-based”, che coniughi precisione e narrativa, potrebbe soddisfare la necessità di una selezione dal flusso eterno dei dati e di un’interpretazione affidabile della verità. [...]
La necessità di sistemi che sappiano sintetizzare ed elaborare i dati in una conoscenza condivisa, prevedo, diventerà sempre più importante. Il dato non elaborato è indistinguibile dal rumore di fondo. E come aumenterà il flusso incessante di dati, così aumenterà anche la domanda di soggetti e metodologie migliori che sappiano elaborarlo. [...]
Philip Meyer
Twitter, il flusso incessante di dati e la necessità di verificarli, il crowdsourcing, Meyer è ben consapevole che nuovi contesti impongono anche nuovi modi di pensare all’organizzazione del lavoro giornalistico, una “evoluzione” della redazione con nuove competenze.
La “folla”, le persone, possono studiare attentamente documenti scaricati dalla rete e i giornalisti possono trovarne la fonti all’interno delle agenzie per descriverne il significato o rivelare quali documenti sono stati resi disponibili. I cittadini sono grado di inviare con Twitter aggiornamenti dalla scena dove sta avvenendo un fatto, e i giornalisti possono cercare i modelli per determinare quali tweet possono essere di parte o fraudolenti.
Può essere. Ma non credo che sarà così semplice. I modelli non saranno sempre così evidenti. Maggiori competenze analitiche e narrative saranno necessarie. Non potrà succedere spesso che queste due abilità di analisi e narrazione, possano essere sempre combinate in un solo giornalista, quindi avremo bisogno di più team di reporter e di editori in grado di assumere e gestire il talento necessario. In altre parole, i vecchi media dovranno cambiare. [...]
Abbiamo bisogno di nuove istituzioni per creare nuove forme di comunicazione che consentano di distinguere la verità dal balbettio rumoroso e richiamare l’attenzione per la loro affidabilità e comprensione. Giornalismo narrativo combinato con giornalismo di precisione potrebbe fare questo lavoro. Cominciamo.
Materiali:
Precision Journalism and Narrative Journalism: Toward a Unified Field Theory (Nieman Reports)
Narrazione e prove: il good journalism di Meyer (Data Journalism Crew)