Per la serie Racconti inediti d'autore, stamattina prosegue l'appuntamento con il racconto scritto da Deborah Epifani: La staffetta, di cui vi propongo la prima parte. La seconda parte avrete modo di leggerla domani!Buona lettura a tutti!Dedicatoa tutte le giovani staffette della Resistenza Italiana.
LA STAFFETTA di Deborah Epifani (I parte)
Notte. Ore 3.27«Devifarlo tu».
No... Le braccia stavano percedere ma zia
Caterina continuava a riempire lozaino che tenevo aperto facendo la spola dal vecchio tavolo di lavoro a me. Eramolto agitata, eppure le sue mani non tremavano come le mie, e lo sguardo erafermo, determinato.Il miocuore, invece, era finito nelle tempie, mi mancava l’aria, e il fienile stavaoscillando così tanto che avevo la nausea.Iltrambusto intorno non mi aiutava, c’era troppo movimento. Chi era già in piedirecuperava in fretta i propri averi, quello rossiccio che mi aveva sorriso lasera prima distribuiva alla rinfusa tozzi di pane ai compagni; lui stesso neaveva una grossa fetta che gli pendeva dalla bocca. Qualcuno soffocavaimprecazioni a mezza voce, qualcun altro, con gli occhi ancora incollati, siallacciava le stringhe degli scarponi; nessuno li aveva tolti per dormire, liavevano solo allentati per dare un po’ di sollievo ai piedi. Era una regolatanto semplice quanto vitale: non si può scampare alla morte se perdi tempo avestirti.Iragazzi erano tutti scarmigliati, infreddoliti, le facce stropicciate dalsonno, ma sembrava che fossero stati svegliati molte altre volte nel cuore dellanotte: il corpo sapeva bene cosa fare nonostante la mente dormisse ancora.Allafine, tutti si allungavano sulle travi. Le loro mani andavano in alto, poi illuccichio metallico delle armi scompariva nelle giubbe e i loro sguardi sisvegliavano all’istante; pistole, coltelli e granate li privavano dell’umanaespressione insonnolita per farli assomigliare a lupi, le orecchie tirateindietro e le zanne scoperte in un ringhio. Il più grande non superava ivent’anni.«Conoscii sentieri, Emma».Sussultai.Zia Caterina mi stava dando istruzioni dal tavolo e io non riuscivo aconcentrarmi. Invece dovevo, perché adesso toccava a me.«Ciarriverai in un giorno. Entro sera, se corri». Zia Caterina tornò da me. Senzaguardarmi, strinse il cordino dello zaino, vi sistemò sopra una copertaarrotolata e la assicurò alla cinghia della tasca davanti. Poi mi levò lo zainodalle mani e me lo sistemò bruscamente sulle spalle.«Nonposso farlo, zia» la informai. «Non puoi mandarmi da
lui». Era più il lamento di un gattino abbandonato, che la miasolita voce.«Sonotutte sciocchezze» tagliò corto. Finalmente mi guardò dritta negli occhi.«Ma dàretta solo a te, solo tu puoi, lo hai sempre fatto, mentre io...»«Adessobasta, Emma!» Il suo volto scuro mi tappò la bocca. «Sciocchezze. Tuttesciocchezze. Capito?»Annuiisenza crederci, il cuore che tamburellava come quello di un pulcino. ZiaCaterina si staccò da me.
Allora devo farlo davvero, devoessere io... Nonavevo nemmeno visto cosa avesse ficcato nello zaino.La ziacominciò a raccattare le coperte nelle quali avevano dormito i ragazzi. Lepiegò alla meglio, quindi le fece sparire nel doppio fondo della madia. Uno deipartigiani le si accostò per aiutarla, ma lei lo allontanò.In quelmomento un latrato spaventoso immobilizzò tutti. Il fienile piombò in unterrifico silenzio. Nessuno osò respirare. Mi sentivo morire, avevo gli occhicosì spalancati e fissi che le palpebre si erano fatte di gesso. Il latrato eraancora lontano, di sicuro il nemico era ancora distante, ma i Segugi sapevanocorrere più del vento. Non erano cani normali, quelli. Non erano cani affatto;i più coraggiosi li chiamavano
Vomiti diFerro, a indicare l’aberrazione artificiale che gli Scienziati della Morteavevano reso viva, un dispregiativo che era
la sintesi perfetta della loronatura. Dei cani, infatti, avevano solo un vago aspetto; per il resto, nessunosapeva esattamente
cosa fossero, esoprattutto come facessero a muoversi e respirare. La ziafu la prima a riprendersi. «Svelti, svelti!» ordinò, indicando col mento lascala a pioli che portava di sotto.Iragazzi non se lo fecero ripetere. Agili come furetti, si diressero alla scala.I più svegli si aggrapparono alle assi del soppalco per calarsi giù prima deglialtri.Quandole coperte furono tutte nella madia, zia Caterina rimise a posto il doppiofondo, poi riempì lo spazio vuoto con i sacchi di granaglie.Mancavasolo l’ultimo atto per depistare i Segugi: la zia infilò una mano nel tascapaneche aveva al fianco e ne trasse una grande forma di caprino. Lo suddivisegrossolanamente in quattro parti, ne dispose tre sul pavimento, dove un attimoprima avevano dormito i ragazzi, mentre il quarto, il più grosso, lo adagiò sulfondo della madia, tra i sacchi di iuta; poi richiuse il coperchio lasciando unpiccolo spiraglio: un invito ad aprire la cassa. Lo faceva sempre. Quandonascondeva i Ribelli, iniettava veleno per
topi nel formaggio di capra,dopodiché sistemava la trappola sempre negli stessi punti del fienile,soprattutto sulle coperte. Così, se fossero arrivati i generali coi loroSegugi, avrebbe spiegato che eravamo invasi dai topi e che quello era il modomigliore per ammazzarne un po’. In parte era vero, i topi erano aumentati daquando la guerra aveva avuto inizio. In ogni caso, i Segugi avrebbero fiutatosolo gli odori più forti: formaggio di capra e veleno.Quellaera la speranza. Rischiosa, sì, ma era l’unica che avessimo.Quandoebbe finito, tolse il lume a olio dal gancio sulla trave e me lo passò.Io eroancora immobile, tremante, lo zaino sulle spalle. Zia Caterina controllò con unultimo sguardo l’aspetto del fienile. Dei ribelli di poco prima non era rimastonulla. Nemmeno l’odore. Nemmeno il ricordo.Poi midiede un bacio sulla fronte, mi afferrò il polso e mi trascinò con sé.
Deborah Epifani: (1976) vive in Piemonte, sulle sponde del piccolo lago d’Orta. Laureata in Educazione Professionale, ha svolto lavori in diversi ambiti della pedagogia specializzandosi in problematiche adolescenziali; da sempre ha il pallino della scrittura e una grande passione per le scienze naturali. Legge in ogni secondo libero, adora le torte di mele, gironzolare per i sentieri di montagna, disegnare mappe di mondi fantastici e ignorare la sua allergia ai gatti. Questo il suo blog personale: http://storiedellaltradeb.blogspot.com . Il suo primo romanzo è Il
Segreto degli Undici, appartenente al ciclo
Le leggende di Aron, pubblicato da Linee Infinite Edizioni. Pagina fan facebook:
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