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Racconti inediti d'autore: "Sasso del diavolo" di Romina Casagrande (I parte)
Creato il 24 gennaio 2012 da Maila TrittoSasso del diavolo di Romina Casagrande
L’auto si arrampicava a fatica, slittando sulle curve e i tornanti della strada di montagna. Abeti e larici scorrevano attraverso i finestrini in tinte scaldate dal sole al tramonto. Lisa alzò il volume della radio, una canzone veloce che faceva venir voglia di tenere il ritmo, mentre Vanessa, alla guida, batteva il tempo tamburellando le dita sul volante.
Ca Plane Pour Moi
i am the King of the divane… canticchiai voltando distrattamente lo sguardo verso la foresta. Con uno sguardo di intesa dallo specchietto retrovisore si unirono anche le altre. Più forte, fino a gridare sopra il rombo sordo del motore.
Eravamo decisamente stonate, ma il ritornello era divertente e cantarlo a squarciagola metteva di buonumore.
“Vanessa, li stai perdendo!” gridò Lisa indicando la volvo nera che si infilava rapida nella curva.
Vanessa pigiò sull’acceleratore mentre mi sentivo trascinare verso lo sportellone della macchina.
“Non gli conviene perderci, il carico ce l’abbiamo noi”, sorrise sollevando il berretto da baseball che le teneva legati i lunghi capelli biondi.
Noi avevamo le tende, i sacchi a pelo…e le birre. Conoscendo Daniel e Nat era improbabile quanto una nevicata a luglio che ci perdessero.
“Tu sai dove si trova, Sara?” chiese Vanessa lanciandomi un’occhiata verde dallo specchietto.
“Il Sasso del Diavolo?” scossi la testa arricciando le labbra. “Non troppo lontano, credo. Seguiamo la strada e poi a piedi per una mezz’ora”, me lo aveva spiegato Daniel nella mail della sera prima. I ragazzi erano elettrizzati dall’idea di trascorrere una notte al Sasso del Diavolo. Anche Vanessa e Lisa lo erano. Non mi avevano fatto chiudere occhio tutta la notte con messaggi al cellulare e squilli. Ma uno stupido masso dalla forma strana e dal nome inquietante non c’entrava nulla. Il pensiero della tenda in cui si sarebbero intrufolate, invece…
“Secondo me Daniel è il più carino”, sentenziò Vanessa.
“Preferisco decisamente Nat. Se la tira di meno. E ha due spalle…”
Vanessa scosse la testa. “E Daniel ha un bel conto in banca.”
“Il papà di Daniel”, la corressi. Un vecchio altezzoso e palloso. Di quegli avvocati imbalsamati e dagli occhi da gufo.
“A te, Sara? Chi ti piace?”
“Beh, ne rimane solo uno”, Lisa mi strizzò l’occhio.
“Ilai non è male”, dissi ripensando al suo viso armonioso, alle labbra simmetriche.
“Però a me mette un po’ i brividi.”
“Davvero, Lisa?” chiesi riflettendo sulla risposta. A pensarci, non era uno di quei ragazzi con la battuta pronta e tutto risate e scherzi. Però a me qualche volta aveva sorriso.
“Non dico che sia da buttare, anche se i biondi li trovo un po’scialbi, ma ha sempre quell’aria da voglio farmi i cavoli miei.”
“Però, Lisa, quel piercing sulla guancia è tremendamente sexy”, commentò Vanessa.
Lei alzò le spalle come per dire che poteva essere, ma il tipo non la convinceva del tutto. “Ha una storia strana. Ho sentito Fede e le altre dire che i genitori sono morti e lui ora sta da una zia. Che però sembra avere la sua età. Una tutta tacchi e rossetto. E seno rifatto.”
“Se la fa con la zia?” Vanessa non sembrava allibita.
“E io che ne so? Sai come sono quelle galline e le balle che hanno messo in giro per la scuola l’anno scorso, su te e Christian.”
Vanessa annuì, premendo più forte sull’acceleratore, “Eccoli!”
Lisa si voltò verso di me. “Tutto bene, Sara? Mi sembri palliduccia.”
“Con tutte queste curve e il piedino da ballerina di Vanessa! Sembra che stia guidando un camion!”
Avevamo raggiunto la macchina dei ragazzi. Parcheggiammo accanto a loro, sullo spiazzo, e uscimmo nell’aria fresca di una giornata di metà luglio che stava per finire in uno splendido tramonto. Le creste rocciose si coloravano di rosa e la foresta diventava più cupa.
Daniel e Nat ci aiutarono a tirare fuori i bagagli, con un occhio di riguardo per le bottiglie. Vanessa se la filò con Daniel, ridicolo in una camicetta a mezzamanica e occhialetti da manager, mentre Nat e Lisa iniziavano a litigare per qualcosa che faceva sorridere di orgoglio lui e accendeva lei di uno sguardo inviperito.
“Posso?”
Ilai si fece spazio per prendere la griglia, incastrata nel bagaglio. Mi scostai e restai a guardarlo sollevarla senza troppo sforzo. Mi porse i due sacchetti di carbonella che pesavano una quintalata – la cavalleria è la trovata geniale di qualche film per ragazze sbadate che credono ancora al principe azzurro- e seguimmo gli altri per lo stretto sentiero che tagliava il bosco. Non c’era nulla di strano in Ilai, se non uno sguardo azzurro da far ribollire il sangue e un sorriso da attore francese.
“Ci sei già stata?” mi chiese dopo qualche minuto di silenzio.
Arrancavo sotto il peso dei sacchi, ma cercai di tenere ferma la voce. “No. Però dicono sia un bel posto.”
Lui piegò le labbra di lato. “Per fare sedute spiritiche e sgozzare qualche caprone?”
“Pensavo che ti piacesse l’idea della gita.” Tanto lo sapevano tutti che quelle erano stupide storielle, neppure tanto originali. Di streghe, sabba e demoni.
“Sapevo che ci saresti stata tu, e ho pensato che poteva valerne la pena.”
Conoscevo bene gli amici di Daniel e Nat. E tutti i loro trucchetti per far cadere nella tela le nuove prede. Per poi scaricarle il giorno dopo. Anche se c’era un tono sincero nella sua voce. A cui cercai di non pensare.
“Quindi, nessuna paura delle streghe?” sorrisi.
Lui scosse il capo, senza guardarmi. Arricciò le labbra in un’espressione incurante.
“Lisa, Vanessa e io ogni tanto facciamo delle sedute spiritiche o leggiamo i tarocchi”, dissi esagerando un po’. In realtà ci avevamo provato, ma avevamo passato tutto il pomeriggio a ridere come delle cretine per le stupidaggini che sparava Lisa e per la finta tavola Ouija mossa da me e da Vanessa. “Anche le linee della mano”, rincarai.
Lui si fermò, appoggiò la griglia a terra. Gli altri erano andati avanti ed eravamo soli. Circondati dagli abeti che sapevano di resina tra fasci di luce che filtravano attraverso i rami. Mi porse il palmo sinistro.
Mi feci più seria e inarcai le sopracciglia prendendo un profondo respiro. Qualcosa da inventare l’avrei trovata. Qualcosa di abbastanza comune da suonare credibile.
“Beh…” La lingua era a un tratto insensibile. La bocca secca, arsa dal calore che impastava la voce. Quasi fosse difficile emettere un suono, una sola parola.
Lui ritrasse la mano sorridendo.
“Non sei una brava strega, Sara. Da’ qua.” Prese la mia mano e la aprì davanti a sé, scorrendo le dita sui segni che l’attraversavano. “Una stella sotto il monte di Venere”, disse sfiorandola, “Sei una persona speciale.”
Soffiai. Certo… Ma lui mi inchiodò con uno sguardo affilato, limpido. “Non si scherza con i segni, piccola. Sono cose molto serie, queste. E molto pericolose”, sussurrò. Sembrava a un tratto più maturo, scuro. Per un istante ripesai a quello che aveva detto Lisa.
“Non sono tanto piccola, Ilai”, lo schernii, sciogliendomi dalla presa. Afferrai i due sacchi e ripresi a camminare. Frequentava la mia stessa classe, quarta superiore. Aveva poco di che vantarsi.
“E quelle macchie, Sara?” Era ancora fermo, lo sguardo serio.
Mi voltai. “Quelle non ti riguardano”, dissi in tono deciso. Quella mattina avevo messo una t-shirt. Non lo facevo spesso. Le chiazze scarlatte che coprivano le braccia erano una cosa di cui mi ero sempre vergognata. Che ero convinta desse fastidio agli altri quanto ne creava a me. Però faceva caldo. Ed ero tra amici. Potevo fregarmene anche di Ilai.
“Anche quelli sono segni. E dovresti averne cura”, urlò per farsi sentire.
Ma io ero già nella foresta, lontana un chilometro da Ilai e sempre più convinta che Lisa non avesse ragione. Quel ragazzo non metteva i brividi. Aveva soltanto bisogno di qualcuno, o qualcuna, che lo mettesse in riga e gli smorzasse quel sorriso impostato, da finto tenebroso.
Cenammo intorno al fuoco preparato da Nat. Arrostimmo gli spiedini e bevemmo quello che serviva per non pensare ai brutti voti a scuola, quello che bastava per vedere il mondo più colorato e il Sasso del Diavolo come qualcosa di vero. Di elettrizzante, sinistramente vicino.
“Ci fanno ancora i riti satanici”, disse Nat a voce bassa. Bevve un altro sorso di birra e si stropicciò i capelli arruffati con una manata vigorosa, quasi dovesse ritrovare lucidità. “E dicono che sia scomparsa una bambina da queste parti. Non molto tempo fa.”
Romina Casagrande: è nata a Merano nel 1977. Laureata in lettere con indirizzo classico, insegna presso la scuola media Giovanni Segantini di Merano. Ha collaborato con il Museo del Turismo-Touriseum di Merano e con il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano-Museion, sotto la direzione dell'artista Heinz Mader. Appassionata di storia, tradizioni e folklore, divide il suo tempo tra scrittura e pittura in una casa piena di animali. Amailija è il suo primo romanzo. Ultimamente è stato pubblicato anche il suo secondo romanzo, Dreamland Forest.
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