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Racconti inediti d'autore: "Sasso del diavolo" di Romina Casagrande (II parte)

Creato il 25 gennaio 2012 da Maila Tritto
Buon pomeriggio lettori. Ieri ho pubblicato la prima parte del racconto inedito Sasso del diavolo, scritto da Romina Casagrande. Oggi pubblico per Racconti inediti d'autore, la seconda e ultima parte del racconto. Enjoy yourselves! ^^

Sasso del diavolo di Romina Casagrande (II parte)
Lisa rabbrividì. Si strinse nel cardigan. “Per strapparle il cuore?” chiese da sotto il caschetto nero. Esagerata come sempre.
Nat prese un profondo respiro con l’aria di uno che sta valutando varie possibilità dall’alto di una certa esperienza. “Può essere oppure no. Ma succedono cose strane su queste montagne. La scorsa primavera hanno trovato delle ossa, laggiù nel crepaccio. Alcuni capi di bestiame. Quasi si fossero lanciati nel burrone.”
Ilai trattenne a stento una risata. Doveva ritenere i discorsi di Nat molto buffi.
Il Sasso del Diavolo, il pretesto della nostra gita. Eppure nessuno sembrava più averci voglia di andare. Daniel e Vanessa scomparvero con una scusa banale. La loro tenda ondeggiava in ritmi che non lasciavano spazio all’immaginazione. E Lisa aveva deciso che le stava venendo un febbrone.
“Lisa?” sussurrai contro la tenda che dovevamo dividere. I patti erano: ragazzi da una parte e noi dall’altra. Anche se avevo intuito subito che avrei dovuto passarmi qualche ora all’addiaccio o in giro per il bosco.
“Soltanto un attimo, Sara”, rispose con voce soffocata. Nat era con lei. E poi risolini e qualcuno che rovesciava la lampada.
“Non preoccuparti, torno dopo”, dissi mentre mi rialzavo, sperando di non dover passare tutta la notte fuori.
Non credevo alle storie che giravano su quel posto. Però non avevo voglia di trovarmi là da sola.
“Sembra che siamo di troppo”, mi sorrise una voce calda e gentile, dietro di me.
Ilai mi guardava da sotto il cappuccio della felpa, le mani in tasca. “Ti va se facciamo un giro?” chiese indicando con un cenno della spalla la radura.
Non avevo molte scelte.
La notte nel bosco è più luminosa di quanto si possa immaginare. La luna, piena e rotonda, ci guardava tra i rami, rischiarando il sentiero. Ilai mi aiutò a scavalcare dei cespugli. Sapevo dove voleva portarmi. D’altronde ero stata io a provocarlo con le mie storie di aspirante fattucchiera.
Arrivammo al masso, niente più che uno spuntone schiantato dalla parete. Nero, coperto di muschi che accarezzavano il palmo, dolci sotto la mia mano.
“Speriamo che si sbrighino”, sospirai.
“A me non dispiace questo posto.”
“Ho visto che ridevi delle storie di Nat, prima”, dissi cercando il suo sguardo per valutarne la reazione.
“É come ti ho detto. Certe cose vanno trattate con rispetto, Sara. Puoi crederci oppure no, ma non sono solo storielle.”
“Oh oh…” un esperto… “A proposito, mi devi spiegare da chi hai imparato a leggere la mano.” Monte di Venere, stelle, almeno un libro di chiromanzia doveva averlo leggiucchiato. Non conoscevo molti ragazzi che si interessassero di quelle cose. In realtà, neppure uno.
“Storie di un passato noioso”, sorrise, ma lo sguardo era serio, freddo.
“E tu non sei uno di quelli che raccontano i fatti loro.”
“Non molto. Ma a volte faccio delle eccezioni. E tu. Come te le sei fatte?” mi chiese appoggiandosi al sasso, il viso rivolto alla luna. “Le macchie, intendo.”
“Non c’è nulla da spiegare. Sono nata così. Semplici voglie.”
Lui mi guardò. Era uno sguardo magnetico, profondo. Senza pudore. Quasi mi conoscesse.
C’era qualcosa di familiare in lui, che mi faceva sentire protetta. E un brivido più profondo, la brezza che ti accarezza la pelle quando guardi giù nel baratro. La stessa voglia di tuffarti. La stessa paura nella consapevolezza che basterebbe un passo, un passo soltanto.
Nessun suono riempiva l’aria fresca della radura. Non il verso di un animale né il canto rauco di un gufo.
“Ti fanno così schifo?” Non sapevo perché glielo avessi chiesto e con ogni probabilità me ne sarei pentita al tempo di un respiro.
Ilai mi sfiorò delicatamente il braccio, accarezzando le voglie. Una a una, lentamente. Avrei dovuto ritrarmi. Avrei dovuto essere più saggia di Lisa e Vanessa. Ma il suo tocco mi riempiva di un calore piacevole. Stavo bene. Stavo decisamente sulle nuvole, con il cuore che batteva a mille. Sembrava che a Ilai non dispiacessero quelle chiazze, che le trovasse anzi incomprensibilmente attraenti. Da come aveva socchiuso gli occhi, respirando piano.
Poi mi afferrò entrambi i polsi in una presa salda e appoggiò i miei palmi sulla pietra.
“Ascolta, Sara”, disse con voce carezzevole. Profonda.
La pietra aveva assorbito il calore del sole e ora lo rilasciava in un tepore confortevole. Ma che aumentava. Feci per ritrarmi, ma Ilai bloccò le mani sul sasso. Sbarrai gli occhi.
“Fidati.”
Ascoltai il calore farsi rovente, un fuoco che bruciava la pelle. Ma non gridai, né allontanai le mani.
L’aria era a un tratto piena di voci. Grida. Socchiusi gli occhi. E le ascoltai.
Il vento trasporta ceneri che volteggiano lente, oscurando il cielo pieno dell’odore di pioggia e di qualcos’altro. Di più pericoloso. Le voci si fanno più insistenti, più lamentose. Mi lascio guidare. Come mi ha detto Ilai. E apro gli occhi. Sono nella stessa radura, con il masso nero nel centro. Ma quasi non lo vedo, coperto da una folla in stracci, grigia e lamentosa. Le donne hanno cuffie luride in testa e volti sporcati dalle lacrime e dalla fuliggine, polsi legati in corde che segnano la pelle. Mi guardano, come se mi conoscessero. Ma nulla è familiare. Mi guardo le braccia candide, lascio scorrere lo sguardo sulla veste logora. Due guardie mi spingono avanti.
Dei bambini, con le guance arrossate, corrono verso l’immensa pira. Hanno le mani piene di frasche. Si voltano verso di me, quasi fossi un mostro di cui hanno paura, gli occhi lucidi per la fatica. Lasciano i rami ai piedi del cumulo e se ne corrono via veloci. Sento un prete, da qualche parte. Versi in latino che comprendo, nonostante io non lo abbia mai studiato. È una preghiera, ma ha tutto il colore e la cantilena di una marcia funebre. Le guardie mi trascinano e mi legano alle frasche, le braccia tese verso il cielo. Guardo la folla, dietro le ragazze che piangono e cadono quasi non avessero più forze. Sono visi duri e sporchi. Eccitati. E sono tutti rivolti su di me.
Poi un debole sfrigolio. E il fuoco che brucia i rami di nocciolo. Il fumo sale, insieme con il calore, mentre le grida si spengono in un mare grigio di braccia che si alzano e bocche che si spalancano in urla che non sento più. Socchiudo gli occhi e li riapro sulle nuvole dense che corrono ora lentamente, umide come il sasso nero su cui vedo le ciocche bionde e accanto la lama che me le ha tagliate senza pena.
Brucio. E il dolore si mescola con l’adrenalina che scorre bagnando la pelle di sudore e di un brivido. E quando diventa insopportabile, quando sento che sto per lasciarmi andare e il mare non è più che una distesa di grigio e di nero, lo vedo.
Tra la folla che si agita, lui è l’unico a restare immobile, gli occhi azzurri fissi nei miei. Come a darmi coraggio. Una cicatrice attraversa la guancia sinistra. È triste e il pallore che sbianca il volto lo rende uno spettro bellissimo e senza tempo.
Poi le labbra si stendono piano, in un sorriso che vale come una promessa. Lo porterò come me, anche se perderlo lacera l’anima più di questo fuoco che morde e divora mentre l’aria si fa cenere che blocca il respiro.
Ilai spostò dolcemente le mie mani dal masso mentre aprivo gli occhi, cercando di abituarmi di nuovo al buio. Ma non mi lasciò andare.
Ero confusa e frastornata. Imbarazzata. Respiravo piano, assaporando l’aria fresca e limpida della montagna. Quasi non avessi mai respirato prima. Guardai le mie braccia. Macchie, rosse e frastagliate come bruciature.
Non reggevo un goccio di birra, ma questo…era stato così reale, così vero. Ilai era vicino a me, silenzioso. Aspettava. Era come prima, la stessa sensazione di stare sul baratro, ma non avevo più paura di tuffarmi nel suo vuoto. Era irrazionale e incomprensibile. Ma, mi fidavo di lui.
Gli sfiorai la guancia, toccando il piercing d’argento, lì dove avevo visto la cicatrice. Gli accarezzai i capelli, affondando lentamente le dita nella loro matassa morbida, scendendo sulla fronte, sul collo. Mentre lui socchiudeva gli occhi e mi bloccava la mano.
“Ti ho trovata, Sara”, sussurrò, tanto vicino da sentire l’odore della sua pelle, il sapore del vento.
“Chi sei?” chiesi senza guardarlo negli occhi, la mia fronte scaldata dal bacio lieve delle sue labbra calde.
“Sono simile a te. Siamo fatti della stessa sostanza. Gli uomini ci hanno cercati, ci hanno uccisi. Molte volte. Ma sapevo che ti avrei ritrovata. Mille e mille vite ancora.”
“Hanno ucciso le streghe, qui”, pensai ai volti delle ragazze, ai loro occhi pieni di paura.
Lui annuì. “Innocenti. Centinaia di innocenti. Per avere noi.”
Avrei potuto non credere alle parole di Ilai. Sarebbe stata la decisione più logica, e più semplice. Ma i ricordi riaffioravano. Lentamente, come da un lago dalle acque scure, attraverso le quali non potevo vedere, ma che lasciavano sulle sponde immagini apparentemente senza logica né senso. Un villaggio. Il sapore di Ilai nel nostro letto. Le mie vite e il suo rincorrermi.
“Tornerai a vedere il futuro, Sara”, disse divertito.
“Io posso…”
Lui annuì. “E molte altre cose. Del resto”, disse alzando il palmo, “tutto quello che so, me lo hai insegnato tu.”
“Non capisco”, la testa pulsava, “perché io non ricordo?”
“Forse perché sono stato più buono. O più cattivo di te”, disse. Ma un rumore mi fece voltare.
“Stanno arrivando”, sussurrai. Vanessa e Daniel, Lisa. “Che facciamo?”
“Come abbiamo sempre fatto, piccola”, disse abbassando di nuovo il cappuccio. “Nessuno ti crederebbe. Sono soltanto storie… da trattare con rispetto”, sorrise, lo sguardo acceso da un lampo di divertita perfidia.
Esistono molti Sassi del Diavolo sparsi in tutto l’arco alpino. Su alcuni si dice siano incisi gli artigli del demonio, di altri si racconta siano silenziosi testimoni di sparizioni, riti. Residui di epoche lontane. Di quando il mondo era un luogo popolato da razze diverse, creature dai poteri straordinari che si nascondevano tra gli uomini. Storie.


Fine

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