Il Carnevale attraverso i tempi.
Fin dalle epoche antiche, i popoli, dai più barbari ai più civili, hanno dedicato un certo periodo dell'anno a manifestazioni di provvisoria ed allegra follia. Da ciò è nato il Carnevale.
Una volta all'anno, gli uomini provano il curioso bisogno di abolire la propria personalità per assumerne una fittizia, e di commettere, sotto una maschera grottesca, le più stravaganti bizzarie, di dire in forma scherzosa tutto ciò che non è consentito dire seriamente, di ridere impunemente di tutto e di tutti. Da questo umano desiderio di distensione e di libertà ebbero origine i Baccanali greci e i Saturnali romani, dai quali , in linea diretta, discende il Carnevale, che ancora sopravvive.
I Saturnali furono istituiti per solennizzare l'eguaglianza regnante sotto Saturno, quando questi, scacciato dall'Olimpo dal sommo Giove, riparò nel Lazio e vi fece fiorire l'età dell'oro, epoca felice in cui gli uomini non conoscevano ancora servitù e miseria. Originariamente i Saturnali duravano un solo giorno: l'imperatore Augusto li portò a tre giorni, e Caligola a quattro. Successivamente la loro durata fu estesa ad una settimana. In quei giorni sparivano tutte le differenze sociali e il popolo dimenticava le sue pene nei godimenti, che culminavnao il giorno dedicato alla dea Opi.
In questo periodo di libertà senza limiti, il popolo non rispettava nulla e non imponeva alcun freno alle proprie intemperanze. I potenti sentivano delle dure verità proferire da bocche che in altre circostanze non avrebbero osato fiatare. La "libertà di Dicembre" (la festa si svolgeva dal 17 al 23 Dicembre) era una di quelle prerogative popolari contro cui nessuno, per potente che fosse, avrebbe mai pensato di sollevarsi. Oltre che il dio Saturno, i Romani festeggiavano anche il dio Bacco, coi Baccanali, manifestazioni nelle quali sarebbero state impiegate, secondo l'opinione più diffusa, le prime maschere. Risultati di studi più recenti autorizzano però a credere che la maschera fosse conosciuta dagli Egiziani e dagli Indiani ancora prima della istituizione dei Baccanali.
Anche nei Lupercali, feste in onore di Fauno, oltre che in altre circostanze, i Romani facevano uso della maschera. Gli uomini si coprivano il volto con foglie di vite, sulle quali praticavano due fori in corrispondenza degli occhi. Altrettanto facevano i soldati, che, così mascherati, formavano un corteo al seguito di caricaturali carri di trionfo che facevano girare per le strade, mettendo in ridicolo i generali più temuti dall'armata.
Come mai, ci si chiede, quei riti pagani hanno potuto sopravvivere durante l'era Cristiana?
Forse perchè l'uomo non si distacca che molto difficilmente dai costumi del passato, ed anche quando, seguendo l'impulso della ragione, li respinge o li combatte, essi finiscono per trionfare, trasformati in apparenza, ma di ben poco variati nella sostanza.
Così il Carnevale deve annoverarsi tra, le eredità pervenuteci dal più remoto passato. Con ragione è stato scritto che il Carnevale è il re del mondo, a suo modo. Nessuna usanza, può dirsi infatti, più universalmente diffusa di quella del Carnevale. Sotto forme più o meno svariate, secondo il carattere dei diversi popoli, ma identico nella sostanza. Dappertutto ed in tutte le epoche storiche si ritrovano queste feste della follia.
Il Carnevale è un periodo dell'anno caratterizzato da animato divertimento e festeggiamenti burleschi; pur non essendo una festa liturgica, tradizionalmente coincide con i giorni precedenti la Quaresima. Consiste in un rovesciamento buffonesco della realtà, spesso celebrato con balli, sfilate e cortei di carri allegorici, situazioni di incontro e festa collettiva, caratterizzate tutte dalla presenza di maschere.
La parola deriva forse dal latino carrus navalis, o dal latino medievale carnem levare, "togliere la carne" dalla dieta (in osservanza al divieto cattolico di mangiare carne durante la quaresima); dal latino medievale carnem laxare, "lasciare la carne", derivò anche la forma "carnasciale", da cui il termine letterario quattrocentesco canti carnascialeschi.
Il giorno d'inizio del carnevale varia da paese a paese. In Baviera e in Austria, dove si chiama Fasching, il carnevale comincia il giorno dell'Epifania; a Colonia e in altre zone della Germania inizia alle ore 11.11 dell'11 novembre. Nell'Europa meridionale comincia il giorno di quinquagesima (la domenica precedente il mercoledì delle Ceneri, inizio della quaresima) e finisce il martedì successivo, detto martedì grasso (dall'uso di consumare un pasto a base di carne e grassi prima della dieta di magro vigente in quaresima). In Lombardia, il carnevale ambrosiano prolunga le celebrazioni fino al sabato seguente.
Il Carnevale di Roma gareggia con quello di Venezia per grandiosità pittoresca e per sovrana eleganza. Essi hanno ispirato innumerevoli poeti ed artisti, che ne hanno fissato immagini d'abbagliante splendore. Il Carnevale romano ebbe il suo grande momento sotto il pontificato di Papa Paolo II (1466), il quale volle rimettere in auge le corse ch'erano tanta parte delle feste di Monte Testaccio e del Circo agonale. Inoltre, ordinò artistiche mascherate organizzandole egli stesso e sostenendone le spese. Caratteristica del Carnevale romano fu, per molto tempo, la famosa "Corsa dei barberi", tanto cara alla popolazione. Partivano i cavalli da Piazza del Popolo e, a corsa sfrenata, attraversavano la via Lata (il Corso) e venivano fermati in piazza Venezia. Vi prendevano parte i più rinomati cavalli da corsa, i cui proprietari, patrizi della più alta nobiltà, della vittoria dei loro cavalli si facevano un merito morale superiore al premio dei palii assegnati. L'acclamazione di un vittorioso barbero (di Barberia) d'un principe, significava infatti, molto spesso, dimostrazione di attaccamento alla Casa principesca.
La sera dell'ultimo giorno di Carnevale le strade di Roma offrivano lo spettacolo d'un agitato mare di fiammelle. Ognuno reggeva un moccolotto e cercava di spegnere quello del vicino, difendendo il proprio. La folla coi moccolotti rappresentava burlescamente il corteo funebre del Carnevale defunto, il cui simulacro veniva arso in piazza del Popolo.
Ma il poeta Byron dice che, di tutti i luoghi della Terra, Venezia era quella che offriva il Carnevale più divertente e il più celebre per le danze e pei canti, pei balli e le serenate e per le maschere.
Piovevano dai balconi, sulle maschere, grandinate di confetti, mentre ai tavoli da gioco, disposti nelle pubbliche piazze, non disdegnavano di prendere posto perfino i magistrati. La notte, poi, lo spettacolo diventava fiabesco. Le gondole, illuminate da palloncini, fiaccole e lanterne multicolori, scivolavano sui misteriosi canali e sulle acque della laguna cariche di canzoni, di musica e di maschere ebbre di spensierata letizia. Le maschere entravano nelle case anche delle persone sconosciute e vi erano amabilmente accolte, o s'adunavano nella splendida piazza S. Marco, trasformata in un immenso salotto festante. Tutto era gioco e briosa eleganza, tutto era sorridente oblìo della vita consueta.
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