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racconto di un episodio di violenza e indifferenza

Creato il 18 agosto 2010 da Robertodragone

Ieri sono andato al cinema a vedere (l’orribile) Splice di cui non vi dirò neanche una parola (le cose tra parentesi non esistono e non sono mai esistite). Al ritorno sono stato testimone di quella che potremmo benissimo definire l’inizio della fine della civiltà. Ma guardate che è una cosa positiva (in un certo senso – le cose tra parentesi non esistono)! Hanno accusato gli anni ’00 di essere poco originali, e invece ora sappiamo che sono l’inizio del fallimento della civiltà – parola a cui io non ho mai creduto. Se all’inizio dello scorso decennio si diceva che gli anni novanta erano copioni degli ottanta, oggi possiamo dire che invece gli anni novanta sono stati anch’essi (insieme ai sessanta, settanta e ottanta) diventati delle icone di qualcosa. Mentre invece, finito il primo decennio del nuovo millennio, fino a oggi eravamo costretti a dire che questi erano stati anni da mezze-pippe, da declino del buon senso e dalla rivisitazione delle parole giusto e sbagliato (o anche brava ragazza e cattiva ragazza, ma questo è un altro discorso). E invece ci sbagliavamo. E invece, sottovalutavamo la situazione.

(Splice è un film che aveva un ottimo soggetto, tuttavia nella seconda parte scade nel patetico, mostrando alcune scene a dir poco imbarazzanti. la morale è: a prescindere dalla coda, le donne sono dei mostri)

Dicevo di ieri sera – senza parlarvi del film. Tornavo in auto a casa, a passo moderato (sui trenta all’ora) nelle stradine paesane del nuovo comune in cui abito (…), quando vedo una scena, ma una scena, che mi ha fatto incazzare particolarmente. Un uomo, si presume ubriaco, picchiava una ragazza davanti agli sguardi di famiglie e vecchietti seduti fuori dai loro palazzi di proprietà. Io mi sono fermato e sono sceso tenendo un piede in auto, e poiché il coglione era sul marciapiede dell’altra carreggiata ho potuto solo urlare un «Oh!». A differenza di quello che la parola vorrebbe suggerire, i coglioni sono sprovvisti di coglioni, e infatti il tizio si è subito fermato a guardarmi. La ragazza singhiozzava. Io non ho mai fatto a botte e anzi da piccolo le prendevo sempre, ma ieri sera ero pronto a picchiare quel tizio se solo avesse detto A (sarà che ero tutto gasato dopo per aver visto l’enorme poster de I Mercenari al cinema). Approfittando della distrazione del ragazzo, lei è entrata nel palazzo più vicino, poi lui l’ha guardata chiudere il portone ed è andato via in auto, regalandomi qualche occhiata ubriaca di tanto in tanto.

La ragazza abitava lì??

Raccontando questo episodio stamattina ho ricevuto delle risposte che mi hanno terrorizzato. Secondo tutti, infatti, avrei dovuto farmi i cazzi miei. Fare l’indifferente proprio come i presenti – e magari il padre della ragazza, che guardava la scena dalla finestra, probabilmente. L’indifferente?? Dicono, che avrei potuto farmi male, che il tizio poteva essere armato. Allorché io ho fatto un ragionamento:

Mettiamo che il coglione fosse armato. Se mi fossi fatto i cazzi miei avrei trovato dei motivi per giustificare la mia vigliaccheria. Probabilmente avrei dato la colpa alla ragazza perché si era scelta un ragazzo coglione e violento. Insomma avrei trovato quella scusa che non regge – e su cui sembra basarsi la civiltà. Quindi avrei vissuto, probabilmente una vita comune senza pormi mai troppe domande su di me, sull’esistenza, o sul perché passavo la vita a fare cose che odiavo, per comprare cose che odiavo. Sarei stato indifferente, quindi sarei diventato ricco, dalla vita monotona e falsa, che a una richiesta di aiuto dice di no solamente perché chi chiede aiuto è uno sconosciuto. Ma supponiamo che la cosa ieri sera fosse degenerata; io sarei sceso dall’auto, quello mi avrebbe detto di farmi i cazzi miei, io non mi sarei mosso e il coglione mi avrebbe sparato. Sarei morto. Una vita spezzata a ventidue anni per una cazzata, per colpa di un coglione. Tutti avrebbero pensato che ero stato stupido, che non avrei dovuto fermare quell’auto e immischiarmi in fatti che non erano i miei. Avrei dovuto lasciare che un sconosciuto picchiasse una sconosciuta e che i due restassero sconosciuti. Tutti avrebbero voluto che io avessi scelto l’altra opportunità, e che vivessi una vita lunga, un’esistenza normale e pacata in attesa che la morte mi portasse via, a ottant’anni, dopo una vita passata a farmi solo ed esclusivamente i cazzi miei e quelli dei miei conoscenti.

Ovviamente ieri sera non ho fatto questo ragionamento ma ho agito di istinto. Non ho pensato neanche la frase «vorrei che qualcuno intervenisse se vedesse mia sorella picchiata da qualcuno» – perché non ho sorelle. Mi sono fermato e ho detto «Oh», semplicemente, e il carattere sprovvisto di gioielli del coglione ha fatto sì che tutto finisse senza ulteriori cazzotti. Forse le avrei prese, o forse il tipo era armato, che ne so?, e sinceramente non voglio saperlo. Il fatto è che non voglio diventare indifferente come quel numeroso gruppo di imbecilli che sembra popolare questo Pianeta, e quindi mi muovo secondo il mio buon senso.

Nell’indifferenza di chi vedeva la scena senza muovere un dito, ho capito che la paura che alcuni avevano, cioè quella che saremmo diventati degli animali individuali che interagiscono tra di loro solo attraverso la violenza o la distanza di internet, è ormai un fatto. Ovviamente non voglio generalizzare, ci mancherebbe, tuttavia ho paura che questi esseri, cioè quelle persone a cui importa solo ed esclusivamente di loro e dei loro conoscenti, siano la maggioranza. Così fanno gli animali, e io animali li chiamo. Non perché non siano quegli esseri umani con cui la società chiama chi vive tra le righe una vita con il solo obiettivo di portare avanti la nostra razza per chissà quale assurdo disegno (cit.), ma chiamo loro animali perché si muovono e vivono come se non avessero una morale né rispetto per gli altri.

Se prima pensavo che la cattiveria non si potesse eliminare dall’animo umano e dal Mondo, e speravo in chi odia come me la cattiveria, ora ho paura che la cosa degeneri e che si crei una sorta di indifferenza anarchica in chi non è cattivo. Nel momento che vede un episodio violento, non vorrei mai che il mite scelga di non agire – in amore della sua routine e per preservare quella vita silenziosa che ha tanto faticato per costruirsi (..).

Un’altra volta mi fu puntata una pistola in faccia, e anche lì reagii come se la morte non mi spaventasse. In realtà non so se mi spaventa, non ci ho mai pensato. Tuttavia, ho un terrore folle nell’indifferenza, nel diventare stronzo, nel diventare come quelli lì che girano la testa, abbassano gli sguardi e si tappano le orecchie. E se una volta di queste mi massacrano di botte, mi sparano, o chissà che altro, spero solo che nessuno mi prenda per stupido.


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