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[Racconto] Dopo la morte e dopo la vita di Danilo Giannelli

Creato il 23 settembre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Cialledda ha scontato venticinque anni per omicidio nonostante tutti sapessero come erano andate veramente le cose.
Comunque venticinque o cinquanta non fanno più differenza e Cialledda lo ha scoperto a sue spese: con successo si impicca in carcere ma di morire nemmeno a parlarne.
Infatti Cialledda non respira più mentre sua madre sì, perché e meglio una figlia maritata con il ricco figlio di chi davvero l’ha fatta vedova che un Cialledda a piede libero a riscaldare le panchine della piazza. Certi conti una madre li deve pur fare. Altri ancora ne sciorina Cialledda che ha un posto come bidello mentre il servizio sociale fa il suo dovere e Cialledda si fa
l’ assistente sociale in cerca di emozioni. Solo la nonna Lisetta che chissà quanti anni ha e che con le carte ci vede meglio che se avesse gli occhi è buona con lui e gli dà una qualche spiegazione di ciò che gli è toccato. Tant’è che gliela fanno fuori e Cialledda si rende conto che è meglio non perdere la calma se non si vuole ritrovare circondato da cadaveri. Decide allora di seguire il consiglio della nonna e di andare via.
1:

Quanto aveva percorso trenta? Cinquanta chilometri allontanandosi dal paese? Sul treno che lo conduceva altrove ed in relazione solo al biglietto che aveva potuto comprare, Cialledda si rese conto di avere sì l’animo di partire, ma il quando doveva essere di sua spontanea volontà e non lo era stato. Non gli andava affatto bene che nessuno sentisse più parlare di lui all’improvviso, esattamente come era stato anni prima e proprio come volevano. No, proprio per niente.
Scese alla prima fermata e guarda caso i soldi che aveva in tasca erano giusto giusto il biglietto di ritorno. Fino in città almeno, che dopo le otto di sera tutti i treni e gli autobus per il paese si fermavano per ricominciare il giorno seguente. Era uno dei tanti modi per tenerci la gente appiedata come Cialledda ed impedirgli di svagarsi un po’ e cambiare aria, in modo tale da rimuginare, cuocere ed impazzire per bene per combinare qualche casino di giorno in una località scelta a caso, oppure altrettanto creativo esprimersi  sul posto, la sera o la notte.
Altrimenti, senza le persone legate come cani alla catena che solo il padrone può allungare o stringere – non avrebbe lavorato più nessuno. Polizia, carabinieri, psichiatri, dottori, super dottori, contro dottori… nessuno.
Cialledda se la fece a piedi ed arrivò a casa tardi, ma non tanto da non potersi permettere un po’ di sonno e presentarsi a scuola, per il lavoro di bidello, più strafottente che mai.
Nessun sogno.
Nessuno si era accorto che avesse fatto tanta strada avanti ed indietro.
Carlone: il segretario della scuola media.
La sera prima gli avevano fregato la macchina.
Trecento metri: la distanza da casa sua a scuola, che puntualmente percorreva in auto per il semplice motivo che all’interno del cortile aveva a disposizione un posto riservato.
Non occuparlo lo avrebbe fatto sentire fallito come uomo.
In tutto erano tre.
I posti…..
Gli altri due erano per il preside ed il vice preside.
Quindi Carlone… quella  mattina… arrivato comunque con l’auto della moglie (la quale aveva riparato con un passaggio da parte di una collega)… Carlone si sentiva in dovere di rompere il cazzo a tutti coloro con cui poteva permettersi di farlo.
Fra questi c’era Cialledda ed il “suo modo di fare” a quanto pare insopportabile, le “sue arie” e quant’altro avrebbe potuto risolversi con una “telefonata e via”.
Dal canto suo Cialledda lo ignorò per quieto vivere, avendo altro a cui pensare.
La telefonata comunque partì, ma per ora Cialledda non poteva saperlo.
Si trattava invece di sapere chi aveva ucciso coma’ Lisetta.
E fargli tanto di quel male che lui stesso avrebbe chiesto a Cialledda di ammazzarlo purché finisse una volta per tutte.
Figurarsi se c’era tempo e voglia di dare retta a Carlone.
La sua assistente sociale lo aveva coperto quando il giorno della morte della nonna non si era presentato e quindi poteva sperare ancora nel suo aiuto per agguantare quei quattro soldi che gli davano.
Arrivò l’ultima ora, i ragazzini se ne andarono, nessuna attività pomeridiana e dopo un paio d’ore Cialledda avrebbe cominciato a cercare di mettere assieme qualche pezzo.
Fu allora che vide arrivare tutta accaldata la professoressa di educazione artistica della sezione L, una vecchia dai capelli bianchi gonfi e dagli enormi occhiali tondi d’osso che ansimava perché non si poteva proprio sopportare questa continua storia dei furti – usciva in quel momento il professore di inglese – ai danni dei docenti – il professore le fece notare che anzitutto non avevano rubato le auto né da dentro né da vicino la scuola e poi che Carlone era un docente nella stessa misura in cui lui conosceva l’inglese che avrebbe dovuto insegnare – ma questo solo con gli occhi.
Cialledda mentre puliva i corridoi non poteva fare a meno di ascoltare le loro voci rimbombare.
Seppe così che anche il professore d’inglese aveva subito la stessa sorte. E quello di italiano e storia della B e di matematica della A, educazione tecnica della E, educazione tecnica della D e pure la collega tanto brava ma che insegna? Boh?… sempre della D e così via…. quasi tutti i docenti a distanza di tempo avevano visto sparire la propria e di certo non ne avevano comprata un’altra…
Il mistero Cialledda lo risolse quando vide avvicinarsi al gruppo  il bidello della palestra e la custode, con aria  sottomessa, servile e viscida di chi chiaramente ti vuole fregare. Eppure riusciva, credendo fermamente i professori all’esistenza di bassi ed oscuri livelli dello strato sociale con cui cercare clandestini ed occulti accordi. Un bel modo per dire che quei due davano ad intendere che anche questa volta, se si agiva tempestivamente, data la profonda conoscenza di tutti gli abitanti del paese ed i trascorsi del bidello (pentito, espiante) si poteva scovare quale esponente della piccola delinquenza avesse commesso il fattaccio e richiedere la restituzione del mezzo in cambio di una somma di danaro che per quanto non esigua… sempre meglio che…
Insomma chissà quanti soldi si erano mangiati quei due fino ad allora, venendo pure ringraziati e ricoperti di benedizioni mentre rifiutavano fermamente la ricompensa che i coglioni, due volte coglionati gli offrivano.. già li vedeva “Non voglio niente, niente ho detto…” “Perché no?” “Ho detto no!” “Mi offendo se non…” “No, va bene così….” a volte costringevano il malcapitato a ficcargli a forza i soldi in tasca e ad andare via a passo svelto.
Gente che dormiva tranquilla.
Cialledda fu oggetto di una occhiataccia da parte dei due. Senza fretta volse lo sguardo altrove.
Non erano fatti suoi.

Pomeriggio…
Dopo aver mangiato qualcosa, frugando alla bene e meglio in frigo, Cialledda scoprì  l’esistenza e la natura della telefonata di Carlone. Sotto forma di don Antonio Spano, sui settant’anni, con la tonaca e tutti gli ornamenti da prete e con negli occhi la fede incrollabile (in che?) e la determinazione (chi te lo fa fare?) di chi sa che perderà la guerra (che esiste solo nella tua testa), ma comunque non indietreggia ed accetta il martirio (calmati, per favore calmati!).
Difatti Carlone –  che sorpresa quest’uomo – si era messo in testa, proprio quella mattina, che Cialledda doveva essere rimesso sulla retta via. Cialledda pensò subito che sia monsignore qui, che Carlone, non dovevano avere davvero un cazzo da fare.
Glielo disse.
Don Antonio incassò e tirò fuori la storia della prima comunione di Cialledda. Che dal canto suo si ricordava tutto benissimo, compreso il fatto che già da bambino don Antonio gli era sembrato uno stronzo. Più vecchio dell’ultima volta che lo aveva visto, ma altrettanto stronzo.
Disse anche questo.
Don Antonio non mollò: mise in mezzo la galera.
“Ho provato ad ammazzarmi.” chissà perché glielo andava a raccontare, consapevole del disco che avrebbe messo convinto che da qualche parte, attorno a qualche parte, gli sarebbe spuntata l’aureola.
Cialledda in realtà non sapeva se essere gentile o scortese, se mandarlo a fare in culo o magari   dargli retta. Sapeva solo che nonna Lisetta sputava a terra ogni volta che don Antonio incrociava la sua strada – se mai fosse uscita – o comunque lo sentiva nominare, specie nel periodo – Cialledda era piccolo –  in cui voleva allargare la chiesa matrice a spese del paese vecchio e di tutti poveracci schifosi quanto vuoi, ma pur sempre poveracci (anche quando avevano il materasso pieno di soldi, ma in quel caso erano più che altro morti di fame)  e che restavano poveracci. Ed insomma don Antonio voleva costruire tutti i locali nuovi, mense, sale per il catechismo e chissà che altro al posto delle case e di tutta quella gente, di doveva sarebbe andata a finire, poco gliene caleva.
“Si stringano un po’ che diamine!” gli aveva sentito dire Cialledda una volta che usciva dalla messa, di domenica e suo padre lo teneva per il collo della maglia per tenerlo fermo ed impedirgli di andarsi a ficcare nel bar della piazza a giocare ai videogiochi ed a fumare le sigarette assieme agli altri ragazzini del catechismo. Dove si fosse procurato quei soldi il padre non capiva – sempre ai videogiochi, scommettendo con gli adulti – gli aveva spiegato Cialledda. Ed ora? Mi sa che sono andati un po’ troppo avanti… Pomeriggio… già… dell’inverno di un anno che non sembra vero che sia arrivato. Con i numeri Cialledda non è che non avesse, non voleva confidenza.
Esattamente come aveva deciso di non volerne avere con don Antonio.
“Don Anto’…. per favore vai a cacare il cazzo da qualche altra parte.”
Che cacava il cazzo – espressione singolare davvero – a don Antonio Spano non glielo aveva mai detto nessuno in tutta la sua vita. Ecco la novità: doveva arrivare Cialledda da dove era venuto ( o tornato, dipende). Bé ora che lo sai regolati di conseguenza.
“Poi bisogna capire… – disse Cialledda – …se le bombole del gas scoppiano per coprire un qualche casino o davvero fanno casino dopo che scoppiano.” non ci voleva grande scienza per capire cosa volesse dire e don Antonio decise di andarsene non senza lasciare un santino della Madonna della Croce e che a suo parere:  “Se ognuno sta al posto suo non c’è bisogno di tanti ragionamenti.”
“E mi ha battezzato pure… mi ha…” mormorò Cialledda.
Si cucinò due spaghetti.

Sera…
Per fortuna c’era il nome per esteso sulla targhetta del citofono e non l’iniziale… Marianna si chiama la benedetta assistete sociale! Le cose che ci aveva combinato fino ad ora e non sapere nemmeno il suo nome… Cialledda non era questo gran playboy. Marianna quindi.
Suonò, gli fu aperto ed entrò.
Invece di scopare, Cialledda si fece raccontare pettegolezzi e porcherie degli ultimi venticinque anni di paese che si era perso.
Da qualche parte doveva pur cominciare.
2:

Marianna infatti ne sapeva di tutti i colori, un po’ per averne avuto ruolo, un po’ ricomponendo le supposizioni ed i sentito dire con una maestria che Cialledda non credeva potesse possedere.
Anzitutto – per quel che gliene fregava – seppe di essere felice titolare di un posto di lavoro perché sulla pelle sua e di quelli come lui giravano un sacco di fondi erogati e roba del genere.
Anzi, si sperava tornasse presto a delinquere in modo da mettere in moto ancora altre macchinette mangia soldi che avevano il carcere come ingranaggio principale. Palle. Palle a parte cioè, la cosa che fino ad ora non aveva avuto occhi per vedere era che il paese era diventato enorme, davvero enorme e primo si stupì ci fosse gente disposta a venirci a vivere. Secondo: non era la città come pensavano molti, che fagocitava il paese, ma era il paese che si stava avvicinando pericolosamente ed ai cittadini questo non piaceva tant’è che su quello che le carte dicevano essere il confine, le case venivano abbattute,la città si ritirava e subito si cominciava a costruire dalla parte del paese fino ad arrivare alle rovine e mangiarle pezzo per pezzo. Strano certo, ma Cialledda non vedeva cosa potesse averci a che fare la nonna con tutto questo. Proprio no.
Stava per fermarla nel bel mezzo di tutto l’elenco dei divorzi e delle corna più famose quando Marianna pronunciò il nome magico: Cannone. Figlio. Ovviamente. E proprio lì, sul divano dove Cialledda era seduto e con la stessa donna supina sul bracciolo imbottito, che sbatteva la faccia sul pavimento ed aveva le gambe per aria. Cannone grande equilibrista, che si sarebbe a giorni sposato la del Cialledda sorella. E lo dico proprio a te? Ma che dici tesoro? Forse che io mi metto a guastare matrimoni? Il filmino? Hai i filmini delle tue scopate? Massì che mi eccitano!
“Ah, li tieni lì? E loro lo sanno?” mica sono dei veri delinquenti come me.
“Ti fermi qui stanotte?”
“Se mi riprendi ti ammazzo.”
La cosa parve scuoterla tutta, Cialledda aveva paura che gli svenisse dalla libidine.
Andiamo di là…
“Che qui ci sono stati troppi ospiti di mia conoscenza.”

Notte…
Marianna si era addormentata e Cialledda con lei. Ad un certo punto, verso le tre, qualcosa dentro di lui gli fece aprire gli occhi, riposato e perfettamente cosciente di dove si trovasse e di cosa dovesse fare. Si alzò piano, lei con un suono rauco e soffocato si mosse impercettibilmente accoccolandosi fra le coperte. Cialledda prima andò a pisciare, poi si mise ad armeggiare nello scrigno delle imprese erotiche della sua assistente preferita. C’era la data sopra, quelle piccole cassette delle videocamere che fu contento si usassero ancora per ché era un po’ in arretrato con la tecnologia.
Appunto mentale: darsi una mossa su questo punto.
Prese solo quelle del periodo in cui, giusto qualche settimana prima della sua scarcerazione, Cannone si prendeva una pausa dalla fidanzata ufficiale. Era già tutto pronto per lo spettacolo, evidentemente Marianna si rinfrescava la memoria ogni tanto. E beccò quella giusta al secondo colpo, dopo quella con un tizio che non era riusciva a vedere in faccia per via di una maschera di carnevale da Paperino. E nemmeno si riusciva a capire cosa fosse l’utensile con cui armeggiava fra le gambe di Marianna né se a lei piacesse o le facesse solo male tanto simili erano in quella donna le espressioni ed i gemiti in entrambi i casi. Comunque ecco Cannone, nella tasca della giacca di Cialledda che adesso se ne tornava a dormire.

Si svegliarono insieme, prestissimo e fecero anche colazione insieme, ma lei lo guardava come se non lo riconoscesse e si fosse trovata all’improvviso con un tizio che prendeva il caffè nella sua cucina.
Cialledda dal canto suo non le rivolse la parola ed andò via allo stesso modo. Doveva dare il buon giorno ad un suo amico. Un parente addirittura.
Sapeva dove trovarlo a quell’ora. Dove trovare uno che si alza quando ancora non si sa bene se è giorno o notte, al solo scopo di scassare il cazzo al prossimo suo dipendente e di fargli andare di traverso quell’unico caffè?
Al bar.
Proprio il bar dove Cialledda era appena giunto. Ed arrivava anche Cannone. Nemmeno si fossero dati appuntamento.
Si videro.
Nessuno dei due mutò espressione.
Le loro traiettorie collisero davanti alla porta chiusa con la tendina a perline multicolore.
“Testa di cazzo, ti devo parlare.” disse Cialledda
Cannone dal canto suo non ebbe tempo di replicare perché il ceffone di Cialledda gli colpì proprio la bocca spaccandogli il labbro inferiore, tanto veloce che chi, da dentro, aveva notato l’incontro, aveva visto solo Cannone cominciare a sputare sangue tutto ad un tratto e coprirsi con le mani la bocca, nel tentativo inutile di non farselo colare addosso.
Gli occhi di Cannone scoppiavano d’odio.
“Non muori.” lo confortò Cialledda “Vieni qui dietro l’angolo prima che ti apro il melone.” espressione magari sgrammaticata, magari pittoresca, ma che convinse Cannone ad adoperarsi per fare in modo che la bocca restasse l’unica parte danneggiata del melone suddetto.
Voltarono l’angolo. Ma era giusto una tattica di Cannone, che girando armato, aveva deciso di mettersi in mostra. La pistola premeva contro la pancia di Cialledda che alzò gli occhi al cielo come per dire Cristo, ma perché me li trovo davanti tutti io?
L’epilogo per Cannone era chiarissimo, dito, grilletto, bum e di testimoni ne avrebbe avuti a centinaia. Il problema fu che l’incontro fa il suo occhio sinistro ed il pugno di Cialledda aveva molta più fretta di quel suo famoso dito tant’è che vedere rosso si era ridotto a non vedere proprio un cazzo con tutto il sangue che aveva in faccia. A proposito, si accorse di avere il culo sul marciapiede
“E guarda che sto facendo piano.” lo informò Cialledda.
E la pistola santiddio chissà dov’era finita.
Senza l’arma e la posizione eretta non è che di Cannone rimanesse poi molto.
“Ho la cassettina con te che ti diverti con una che mi sa non è mia sorella.”
L’espressione di Cannone non era molto chiara, più che altro impiastricciata.
“Lo so che di mia sorella non te ne frega un cazzo. – continuò – E che probabilmente mia madre sarebbe la prima a dirle di tenerti lo stesso….ma sto’ posto lo sai com’è.. qualcuno che ci marcia con questa roba lo trovo…”
“Che vuoi?” fece Cannone rialzandosi.
“Mi devi portare chi ha ammazzato coma’ Lisetta. Oggi. Lo so che per te è una cosa da niente…”
Cannone si era rialzato finalmente ed adesso guardava Cialledda con l’occhio sano, l’unico aperto.
Cialledda non ci trovò niente di nuovo.
“Tieni. – fece mettendogli la pistola in mano – Togliti il pensiero.”
Cannone sparò. Cialledda non cadde. Aprì la cerniera del giubbotto ed alzò il maglione e la camicia, le sue dita sporche di un icore rossastro.
Cannone vide quel che vide.
Gente uscì dal bar, tapparelle si alzarono, altre si chiusero. “Che è?” gridò uno dei più coraggiosi che era uscito con ancora  il giornale in mano – morisse chi vuole, ma che non gli tolgano le pagine dello sport.
Cannone aveva messo via la pistola. Cialledda si stava riassettando i vestiti.
“Capodanno anticipato.” disse e si allontanò lasciandoli lì come tanti fessi.

3:

Sono vivo. E da vivo devo provare a  vivere, non dico la felicità, ma almeno la dignità ed il valore che il mio essere ha sulla terra. O è probabile che abbia. Il mondo è pieno di cose belle, brava gente, tutte le sofferenze assieme non varrebbero a cancellarlo. Ci sono posti stupendi, quadri meravigliosi – in tanti guardano i quadri – ed il tramonto e l’alba e l’amore anche. C’è l’amore!
E quando me ne andrò, lo farò contento.
Sì, come no, col cazzo!
Pensava Cialledda.
Quasi si era assopito, a scuola, dietro la cattedra con il piano spaccato, che era la sua casamatta nel corridoio. Lo aveva messo all’erta la campanella della terza ora, da sola confermando tutto ciò che stava masticando fra i pensieri. Non poteva ognuno usare il proprio orologio, il cellulare, contare saltando su una gamba sola e con un dito in culo, piantarsi due lancette direttamente in mezzo alla fronte? No?
No.
Persino le pecore scappano se sentono un casino del genere, ma i ragazzini no, non li si vede uscire, sono troppo rincoglioniti persino per alzarsi dalle sedie. A fine giornata… in quel posto ai loro genitori ed a tutta la televisione che si bevono. Lo aveva sentito il preside a ricamare sulla scuola del Sud, la scuola tradizionale. Oh ma come va bene! Ma intanto il maltolto era tornato e  Carlone era rientrato nei suoi confini, sperando che anche la voglia di salvare l’anima  di Cialledda lo seguisse. E lui – Cialledda sempre – era indeciso se fargli un di quelle suonate tanto amate ed addirittura sul fatto di doverselo chiedere. No, meglio no. Già si era esibito troppo quella mattina.
Troppo ansioso, pure, di scoprire come e se la risposta di Cannone sarebbe arrivata e se quello stronzo se l’era capita od aveva intenzione di continuare a fare il vastaso che era.
Si persuase allora, di trovare qualcosa con cui distrarsi per non allungare e rallentare la giornata lavorativa, quando eccoti don Antonio tornare alla carica nientemeno che sul posto di lavoro e con una di quelle facce convinte convinte. Scoperto il perché di tutta la calma di Carlone: doveva, da un momento all’altro, piovere il suo santo protettore.
Sbucato nel corridoio, don Antonio gettò un’occhiata furtiva a destra ed a sinistra e poi di fronte a sé vide Cialledda che nel frattempo si era avviato noncurante, non volendogli dare l’importanza di aspettarlo.
L’accelerazione che il vecchio prese fu impressionante nonostante l’età; lo chiamò.
Cialledda non si voltò.
Chiamò di nuovo. In avvicinamento.
Cialledda come prima.
Ancora.
“Di’, che c’è?!” rispose finalmente, solo dopo voltandosi. Don Antonio che quasi inciampava nella veste oltre che in qualche colpo in meno che oramai il cuore batteva, fu sollevato dalla fine dell’inseguimento.
Cialledda dovette aspettare due suoi grossi respiri. Pure.
“Meh?”
“Ha detto quell’amico che per quel servizio puoi andare fuori da lui.” ma tu guarda chi è il postino!
Don Antonio nella sua autentica natura.
L’amico era Cannone, facile. Fuori voleva dire in campagna e per Cialledda non era difficile immaginare dove, fra tutta la terra che aveva, intendesse aspettarlo.
Probabilmente anzi sicuramente, il prete non aveva idea di che cosa si stesse parlando. Immaginava certo ed azzeccava anche. Ma così tutto è a posto. Per lui.
Raccolto il messaggio diede di nuovo le spalle al prete che se ne andò per i fatti suoi.
Non restava che aspettare.

L’omissione dell’orario dell’incontro voleva dire notte. Ma Cialledda si era messo subito in movimento. Già prima del tramonto si aggirava attorno alla costruzione incompiuta che dominava il fondo in cui suo padre era stato ammazzato e che faceva da sfondo alla vita di Cialledda così come si era messa. Attorno era pieno di muretti a secco, siepi alte di rovi e altri arbusti spontanei, capperi e rosmarino, ora bassi e gonfi, ora alti quanto un uomo, Cialledda si abbassava e ci strisciava dietro e quando rischiava di restare scoperto, si muoveva dietro gli alberi di ulivo oppure, come in questo momento, saliva su un carrubo e si infilava fra i rami. Come qualsiasi ragazziono dei dintorni, quando Cialledda non voleva essere visto, solo le zanzare riuscivano a scovarlo.
Ma doveva essere estate.
E non lo era.
Cialledda contemplava la casa incompiuta, suo padre aveva cominciato a costruirla che lui poteva avere otto o forse dieci anni, ora per un motivo ora per l’altro e per una serie di carte che Cialledda non ricordava si erano sempre rimandati i lavori a tempi migliori con qualche soldo di più in tasca.
Fatto sta che era diventato grande e si era riusciti a finire solo il primo dei due piani che suo padre aveva in mente, un’unica grande stanza con un camino sia per riscaldare che per cuocere. Al secondo piano ci sarebbero state le camere da letto ed il bagno. A volte ci passavano qualche sera d’estate con parenti e amici a mangiare e bere usando come tavola la grossa catasta delle piastrelle che sarebbero servite in futuro, coperta da un pesante panno bianco.
Fra gli invitati anche Cannone padre con famiglia.
Nel fondo accanto c’era un’altra costruzione, più bassa e piccola, ma del tutto rifinita e con un piccolo porticato su cui si aggrappava un rampicante dalle foglie larghe. Quello era il successo di Cannone padre.
Che aveva ammazzato il caro vicino proprio quando aveva ottenuto tutti i permessi per continuare a costruire. E forse allora non era il metro di terra di confine che gli aveva fatto saltare le rotelle, ma solo il fatto che Cannone padre si sentiva di fottere che l’altro fosse riuscito, pure in una cazzata, dove non era riuscito lui. Anche il padre di Cialledda, del resto, faceva parte di quella mezza mafia fatta di assessori, preti e agricoltori con il diabete. C’era effettivamente una qualche mancanza e troppe chiacchiere.
Cannone non poteva sopportare.
A detta del paese: ancora ben fatto.
Per inciso, il fondo e la costruzione erano passati alla madre di Cialledda, ma fra tutta la terra che aveva, Cannone figlio lo aspettava nell’unica che non era sua a sottolineare che era comunque lui a farla da padrone e che se la madre di Cialledda era riuscita a mantenere intatta la proprietà era proprio ed anzitutto per questo. Cialledda proprio non riusciva a capire dove andasse a parare il modo di pensare di quelli come lui.
Adesso era buio del tutto, la campagna era nera sotto un cielo con poca luna e Cialledda riusciva a distinguere solo a tratti la striscia pallida della strada, finché non spuntarono due fari di una automobile che prima sparirono ad un curva stretta e poi ricomparvero avvicinandosi.
Eccolo là.
Con il buio e sopra l’albero, Cialledda era invisibile, e sì che anche in pieno giorno non sarebbe cambiato molto. In quel momento, dopo tanto tempo da quando era accaduto, mentre stava per saltare giù dal carrubo, Cialledda ripensò al suo arresto. Tante volte si era chiesto ma perché non sei scappato? e rivedendo tutta la scena al rallentatore trovava sempre un momento, un varco, sempre uno in più della volta precedente in cui sarebbe potuto fuggire ed una volta uscito di casa non l’avrebbero preso più.
Se il Cialledda di allora, si diceva, fosse stato come quello di adesso… invece erano venuti a prenderlo di notte, mentre dormiva, sua madre aveva fatto entrare gli sbirri in casa facendogli cenno di fare piano e mentre sua sorella spariva a nascondersi – lei poi! – Cialledda veniva afferrato e preso a calci e pugni ed in caserma arrivò con la faccia gonfia, le labbra spaccate, due denti di meno e piegato in due, tanto il dolore al ventre. A stento si reggeva sulle gambe e non riusciva a parlare e nemmeno a sentire perché tanti di quei colpi gli erano arrivati  sulle orecchie da maciullargliele.
Sei, armati, contro uno, un ragazzo che si era fatto rotto il culo in campagna  tutta la giornata e che dormiva. Adesso fossero stati pure cento…..
Scese. Vide una luce disegnare il vano della porta d’ingresso, la porta restò aperta ed una figura scura si fermò sulla soglia. Doveva essere Cannone. La macchina era ancora in moto, l’uomo sparì per poi ricomparire chinato, camminando all’indietro, come se stesse trascinando qualcosa.
Ritornò indietro ancora ed il motore della macchine si spense. Silenzio. La luce aumentò, doveva aver acceso un secondo lume, più grande, tanto che Cialledda – adesso dietro un cespuglio – riusciva a vedere bene tutto l’interno che la porta permetteva. E tutto era famigliare ed ogni cosa dove l’aveva lasciata, la catasta di piastrelle ed il grosso buco nell’angolo immediatamente di fronte all’ingresso a livello del pavimento,  nel punto in cui dal piano superiore sarebbero scesi gli scarichi.
Cialledda ricordava… da bambino aveva paura a guardarci dentro perché una volta ci aveva visto infilarsi una serpe che prima di sparire si era voltata a guardarlo, malissimo. E Cialledda aveva paura. Suo padre gli aveva detto che non era possibile: “Solo le persone ti guardano male.”
Ed aggiunse, dandogli una manata benevola ma mica tanto, sulla testa: “Lo vedi? – ed indicava il buco – Quello arriva al mare!”
Cialledda, allora come oggi, non riusciva ad immaginare perché suo padre, a volte, dicesse cazzate simili. Lo sapeva benissimo che non arrivava al mare, ma il buco finiva in una specie di tunnel, rivestito di cemento, che da sotto la casa finiva due o trecento metri più in là e sbucava da un rialzo nel terreno sopra una sorta di pozzo nero a cielo aperto dove confluivano almeno un’altra decina di fogne abusive come quella e che in realtà erano solo grossi tubi, grandi come quelli che si trovavano a volte vicino ai cantieri ed in cui Cialledda e gli altri bambini giocavano a rincorrersi.
La terra si beveva tutto.
Sapeva anche Cialledda, che a meno di cinquanta metri dalla casa c’era un tombino e fu da lì che decise di infilarsi in modo tale da arrivare a capire che cazzo stesse combinando Cannone.
Girò quindi attorno alla casa senza passare davanti alla porta che nel frattempo era rimasta aperta, camminando quasi a quattro zampe fra i filari di carciofi sul lato destro ed arrivando, di nuovo fra gli ulivi sul retro. Individuò il punto, sotto l’albero più storto e che era cresciuto nel verso che potando gli aveva dato suo padre e con sotto la pila di pietre che probabilmente aveva sistemato suo nonno. Difatti…
Ora però si trattava di cercare, di scavare al buio, con le mani, sotto la terra arata e dura. Tlak sentì proprio  mentre affondava le mani, rumore di rami spezzato, di qualcuno che ci è passato sopra, Cialledda si guardò attorno proprio mentre le nuvole scoprivano la luna e lui diventava distinguibile persino dalla strada, ma niente, non c’era nessuno. E niente nemmeno riusciva a trovare. Tlak Tlak di nuovo e di nuovo Cialledda a scrutare, abbassandosi, doveva esserci qualcuno cazzo! E nel frattempo continuava a smuovere la terra Tlak! Tlak! Tlak! Il suono giunse più forte e Cialledda si rese conto che veniva dall’ulivo storto, di fronte a lui. Forse aveva deciso di spezzarsi una volta per tutte. “Fanculo…” mormorò fra sé e riaffondo le mani nella terra Tlak! Tlak! Tlak! di nuovo e non ci badò stavolta ed il tombino era sparito e tanto valeva presentarsi direttamente Tlak! Tlak! Tlak! Tlak! Tlak! Tlak!  fortissimo  e prolungato
“Ma che cazzo? – fece Cialledda – Proprio in testa a me devi cadere?”
Tlak.
Cialledda riprese a scavare fissando l’albero. Tlak! Tlak! Indietreggiò di qualche passo. Tlak! Tlak! indietreggiò ancora Tlak! Tlak!  e ancora…
Tlak.
Smosse qui un po’ di terra: ecco il tombino.
“Che storia…” e aprì. Alle narici gli salì l’odore di tutti i morti del modo e delle cacate stratificate di tutta la sua famiglia. Non era più un bambino e per procedere doveva piegarsi e camminare piano soprattutto perché il fondo era scivoloso oltre che maleodorante.
E popolato. Sentiva un sacco di cose camminargli in faccia e dietro il collo e dovette uccidere con una strana acrobazia la cosetta che gli si stava infilando lungo la schiena. Si frugò in tasca e decise di farsi luce con l’accendino, ma lo spettacolo brulicante che vide lo convinse a proseguire al buio ed a non cercare di scoprire fino a che punto riuscisse a non essere impressionabile.
E del resto era lui che aveva deciso di irrompere in casa altrui. Rispettosamente continuò ed arrivò sotto la casa.  Aveva pensato di poter solo sentire, ma invece il buco si apriva direttamente sullo scolo e Cialledda poteva vedere, anzi quasi poteva infilarci la testa, tanto era vicino e sbucare dal pavimento.
Da lì riusciva a vedere Cannone in piedi, fino alle ginocchia e perfettamente il ragazzo legato ed imbavagliato, steso a terra a pochi passi da lui. Cannone si era deciso quindi… e lo aveva accontentato….
Il ragazzo era terrorizzato. Cannone camminava avanti e indietro nervoso, ora assestando un calcio nello stomaco a quel poveraccio inerme, ora piantandosi davanti alla porta.
“Ma quando cazzo arriva quel bastardo?” gli sentì dire e quasi gli veniva da ridere.
Il ragazzo mugolava, imbavagliato e dolorante e si dibatteva come un pesce tirato fuori dall’acqua.
Ed aveva gli occhi di chi non riusciva a capire per quale motivo gli stesse succedendo tutto questo.
Eppure… quella faccia la conosceva…. alla luce che scendeva dalla casa, Cialledda si guardò la mano destra e la faccia del ragazzo che cadeva lungo le scale, colpito in volto, mentre cercava di impedirgli di raggiungere la nonna Lisetta, non furono più un mistero.
In mezzo a tutta la folla non aveva collegato…. ed i parenti del ragazzo non erano arrivati in massa per vendicarlo, ma per rendersi conto di cosa avesse combinato. Evidentemente ne procurava spesso di guai. E l’aveva scampata in quella strana esplosione. E Cannone senza magari nemmeno volerlo, sapeva tutta la storia chissà da quanto e la sua parte doveva essergli costata ben poca fatica
Adesso toccava a Cialledda.
Fu allora che sentì qualcosa avvolgersi attorno alla gamba sinistra, qualcosa di vibrante e tanto pesante e forte da bloccarne ogni movimento. In un istante percorse la sua schiena e con la coda dell’occhio Cialledda la vide posare la testa larga e grigia sulla sua spalla, costringendolo a piegare  il collo dalla parte opposta per starci comoda. Emise un soffio lungo ed intenso e poi si allungò ancora per  voltarsi e guardare in faccia Cialledda con due occhi che anche quella poca luce rendeva accesi e dorati, con due fessure strette e verticali, rosso sangue, per pupille.
Sette denti, lunghi,scintillanti e  ricurvi gli sporgevano dalla bocca.
Soffiò guardandolo male come la prima volta che si erano visti: Cialledda era diventato più grande.
Ed anche lei, non c’è che dire.
Soffiò di nuovo. Cialledda fece due più due e capì che da quel preciso momento, anche di vendetta ne aveva abbastanza. Probabilmente la Regina Vipera, dei pensieri sente l’odore e Cialledda la osservò infilarsi su per il buco. Il ragazzo, la notò subito e forse morì prima per la paura che per il morso al collo, inferto veloce come un colpo di frusta.
Cannone non ebbe nemmeno il tempo di vederla alzarsi su tutte le sue spire e colpire.
Cialledda ebbe di nuovo paura della morte.
Soprattutto mentre, adesso, ritornava verso di lui. Ridiscese lungo il corpo di Cialledda lentamente come se questi dovesse sentirsi onorato di essere ritenuto gradino degno. Cialledda si sentì tirare per la caviglia, gli stava dicendo di andarsene. E non la vide e non la sentì fino a quando, uscito da dove era entrato si rivolse verso l’imboccatura che lo aveva portato di sotto. Lei scattò con la bocca spalancata in direzione di Cialledda, alla luce della luna sembrava ancora più grande ed il suo sguardo stordì Cialledda per un breve istante. L’attimo dopo non c’erano più né la vipera, né la luna.
L’ulivo taceva.
Cialledda rimise a posto il disco di metallo e lo ricoprì con la terra.
Aveva capito: non doveva tornare più.
Solo per questa volta, lo avevano aiutato.
Chissà perché.
4:
Cialledda decise che di fare il bidello ne aveva abbastanza.
Diede l’annuncio il giorno dopo e nel suo primo vero giorno libero, se ne andò a raccogliere un po’ di impressioni ed a prendere un po’ di sole in piazza.
Lo scalpore per la morte di Cannone e del ragazzo non fu eccessivo: avevano tanto di quel veleno in corpo da uccidere tutto il paese.
Cazzi loro, pensarono gli inquirenti ed i parenti.
Il giorno dopo Cialledda venne a sapere che anche Marianna era morta, proprio mentre lui si aggirava per i campi, investita proprio di fronte a casa sua, da un’auto che nessuno, ma proprio nessuno aveva riconosciuto essere quella di Cannone e che sempre nessuno, proprio nessuno, aveva visto fermarsi, fare retromarcia e passare e ripassare sulla poveretta.
Sempre nessuno aveva visto Cannone scendere, assicurarsi del trapasso e ripartire soddisfatto.
Cialledda pensò che dopotutto si era meritato quel che aveva avuto, anche se fuori programma.
Per Marianna un po’ gli dispiaceva.
Chi restava? Don Antonio!
Don Antonio semplicemente, si accaparrò i funerali.


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COMMENTI (1)

Da GaddaLand
Inviato il 19 ottobre a 12:45
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Genio !!! Si può sapere di più di questo autore?