Ma voi l'avete mai fatta la merenda con il sorbo?
Si tratta di un frutto che matura in autunno, spesso conservato nelle dispense a seccare e mangiato quando ormai diventa bruno e dolcissimo.
Domani è il Giorno dei Morti, e tutti abbiamo un nonno o una nonna da ricordare, un racconto in un angolo remoto della memoria, tra le pieghe dei giorni e degli anni trascorsi, come questo di oggi.
La merenda di sorbo dai nonni
Pioveva di quelle gocce miti che delicatamente si posano senza neanche un rimbalzo. La lunga salita era faticosa per chi aveva il respiro corto o per gli anziani carichi di spesa, ma ai bambini poco importava. Sotto l’ombrello c’era comunque da fermarsi a curiosare per riprendere fiato: una finestra illuminata a cui affacciarsi, un cortile da guardare dal buco della serratura o un animaletto nascosto dietro il palo della luce.
Così a più riprese arrivavano in cima, prima della curva dietro il quale scomparivano le altre case. L’abitazione dei nonni era lì proprio, un’apparente primo piano con una terrazza, un uscio piccolo di servizio e la porta dell’ingresso principale con le tendine alle finestre. I bambini venivano accolti dall’uscio di servizio, quello dove si entrava con la legna o con la bombola di ricambio, il soggiorno doveva restare lindo e immacolato perché era la stanza “buona”, infatti finì, come tutte le cose messe da parte per tempi migliori, che lo usarono solo per i funerali.
La prima fu la nonna, sedici anni dopo lo zio, ultimo il nonno dopo altri vent’anni.
Ma allora di queste cose non si sapeva nulla e un pomeriggio alla settimana i bambini arrivavano in visita, erano accolti con gioia e severità, davanti al camino scoppiettante della cucina tre seggioline venivano disposte in ordine di grandezza e i piccoli si sedevano composti.
A quel punto c'erano le domande di rito: “come state”, “come va la scuola?”, “mamma cosa sta facendo?”. Loro rispondevano educati e un po’ imbarazzati, lanciando fugaci occhiate intorno, soprattutto verso lo strano e affascinante ripiano con tanti sportelli in metallo. Fino a quando qualcuno azzardava una domanda e il nonno raccontava che l’aveva costruita lui quella cucina in muratura, apriva gli sportelli e mostrava come dentro si mettevano le braci per cucinare, spiegava che aveva fatto il suo egregio lavoro fino a quando non erano arrivate le cucine a gas e la modernità l’aveva relegata al ruolo di ripostiglio.
La visita dai nonni aveva un suo rituale, scandita dalle stesse azioni cadenzate, prevedeva anche una durata precisa. Così, dopo i convenevoli, a un certo punto la nonna si alzava e usciva fuori in cortile, sulla destra c’era uno stanzino di un metro per un metro, con una piccola porta azzurra sempre chiusa a chiave. Tirava fuori il chiavistello dal grembiule, apriva e si affacciava perché dentro non ci si poteva entrare tanto era pieno di roba, allungava una mano, prendeva dei rametti che pendevano dal soffitto e li poggiava nel piattino che si era portata dietro. Poi tornava a passi lenti, si sedeva al tavolo della cucina, delicatamente staccava dai rametti ormai secchi dei frutti tra il rosso e il color mattone, li distribuiva ai piccoli, che li afferravano e li portavano alla bocca. Una volta in bocca toccava schiacciarli per far uscire una specie di marmellata dolcissima: era il sorbo.
In bocca restava la buccia, qualcuno la metteva sul piattino, ma capitava anche che qualcuno si vergognasse a sputarla, così la metteva di nascosto nella mano, la teneva stretta, fino alla fine della visita, poi la buttava in strada, dopo aver salutato e augurato la buonanotte. (Rosalba 1 novembre 2012 - Tutti i diritti riservati)
Il sorbo
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