Dopo sole due fermate, l’aria ormai irrespirabile, gli arti del corpo addormentati, l’unica speranza è riposta nello scorgere tra poco, incisa su piastrelle di lucida maiolica, la scritta bianca su sfondo blu: ‘Republique’. Nonostante sia un gran pensatore di futilità, il nostro è infatti un gran abitudinario e non vede l’ora di potersi sedere per osservare meglio la variegata e variopinta realtà che gli scorre davanti, e spera di riuscire a trovare qualcosa da leggere, un giornalino free press, magari scandalistico, in modo da attenuare un poco la fantasia galoppante della mente, dovuta agli eccessivi stimoli sensoriali della grande città.
Assorto così nei suoi pensieri quasi si dimentica la meta del suo vagare sottoterra, lo scopo della sua improvvisa fuga da casa, destato da una telefonata che non avrebbe mai voluto ricevere.
Ora, superata la grande stazione di cambio, nel convoglio si è fatto più spazio, impiegati e studenti sono scesi per risalire in superficie verso gli uffici commerciali del centro, oppure hanno preso un’altra linea, probabilmente la numero 11 che arriva fino a Châtelet; alcuni scenderanno e andranno incontro alla luce del giorno, raggiungeranno boutique e grandi magazzini dove lavorano, altri invece, studenti e docenti universitari, proseguiranno verso le facoltà sparpagliate nel dedalo urbano ed altri ancora verso le principali stazioni ferroviarie, trascinando rumorosamente sul pavimento di linoleum piccole valigie compatte dalle cui tasche lasciate aperte spuntano giornali e riviste acquistati di fretta al primo chiosco trovato aperto.
Finalmente l’uomo trova posto, si siede e con attenzione osserva sopra le porte del convoglio il pannello che mostra il percorso colorato di viola della linea; poi snocciola ad una ad una le fermate soffiando con voce leggera i loro nomi: Strasbourg-Saint Denis con le porte di Saint Martin e di Saint Denis che racchiudono l’inizio della Rue Saint Martin e il del boulevard de Sebastopol: perpendicolare giunge la rue Meslay, salita e discesa attraverso negozi e magazzini di vendita all’ingrosso, tutti gestiti da africani francofoni e tutti uguali nell’offrire lo stesso assortimento di cinture, calzature e pellame; Bonne Nouvelle vicino all’antica rue Beauregard e non distante dalla Gare du Nord, attraverso la quale in un paio d’ore si approderebbe comodamente su suolo inglese: sarebbe sufficiente scendere e prenotare un biglietto, sperando che ci siano posti disponibili con il primo treno. E infine Grands Boulevards e Richelieu-Drouot che conducono in superficie verso le grandi multisale i cinefili del sabato sera e ogni giorno dell’anno turisti in cerca del bagliore da grandi magazzini.
Ora, non essendo più possibile trovare dei sinonimi adeguati per indicare il protagonista di questo racconto, bisognerebbe assegnagli un nome, o un soprannome, non per forza adeguato e fedele alla sua personalità, anche perché della sua personalità non sappiamo (e forse non sapremo) proprio un bel niente. Il narratore può leggere nei suoi pensieri, conoscerli e riportarli al lettore, ma chi ci dice che questi pensieri non siano pensati per ingannarci, farci andare fuori strada, confonderci sul suo conto e perderlo di vista mentre lui fugge e si nasconde nell’intricato labirinto sotterraneo della sua immaginazione?
D’altronde nessuno sa se egli si sta allontanando da qualcuno o lo sta raggiungendo, la meta del suo percorso metropolitano potrebbe essere un nuovo punto di partenza, e i nomi di cui si serve potrebbero costituire solo un diversivo per passare il tempo e per tenere lontani dalla mente pensieri ben più importanti. Si tratterebbe allora di autoinganno.
Va bene, per ora accontentiamoci solo di chiamarlo in qualche modo, magari trovando ispirazione in qualche dettaglio esteriore, di sicuro più affidabile di ogni possibile lettura del pensiero.
Per esempio, si potrebbe cercare di indovinare, o di approssimare, la sua professione e, se siamo bravi, la sua specifica mansione. È vestito accuratamente, segue una moda personale e moderna, non si rade con regolarità ma ci tiene ad avere una barba ordinata, porta capelli leggermente più lunghi rispetto alla media ma non significa che si trascuri, potrebbe benissimo non aver avuto voglia di recarsi da un barbiere negli ultimi mesi.
Anche così risulta però difficile giungere a qualche certezza sulla sua identità. Per convenzione lo chiameremo allora ‘l’occupato’, nel senso che anche se non svolge regolarmente un’attività soddisfacente dal punto di vista economico è comunque impegnato a far qualcosa di gratificante – e scusate se è poco rischiare un cortocircuito mentale – nel momento in cui lo stiamo osservando (nel tentativo di seguirlo).
L’occupato sta pensando alle stazioni ferroviarie e a eventuali fughe dal caos cittadino. Ecco allora che bisogna riferire della passione che lo anima, passione a tratti malinconica per i luoghi destinati agli arrivi e alle partenze. Gli aeroporti, sostiene, sono troppo grandi e dispersivi, grandi spazi staccati dal tessuto urbano, come il Charles de Gaulle, struttura modernissima e tuttavia costruita senza relazione con il paesaggio circostante, oppure Orly, più raccolto ma sempre immerso in una delle aree commerciali più grandi della banlieue. Preferisce dunque le stazioni, spesso frutto di espressioni architettoniche capaci di integrarsi con il contesto in cui sono collocate; e poi ogni nome di stazione porta con sé il nome e l’essenza dei paesi e dei luoghi che si possono raggiungere, se si è certi che, dal suo punto di partenza, un binario arriverà sempre da qualche parte: una lunga striscia di ferro che dal suo principio lascia già immaginare la sua conclusione e le tappe intermedie che attraversa. Gare de Lyon: partire alla volta del Midi, dei colori del Sud, l’azzurro del Mediterraneo, il viola della lavanda, l’ocra delle case di campagna. Immagina naturalmente, poiché nella sua vita non si è mai spinto più a sud di Fointenbleu.
Allora, se l’immaginazione lo consente, tenta di fantasticare anche sulla Gare de Montparnasse: attraversare tutto il paese fino all’Aquitania, all’Atlantico con larghe spiagge protette da dune che sembrano montagne, da una parte il mare agitato mosso dal vento, dietro la fitta pineta odorosa di resina e sale.
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