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[Racconto] “Sole sulla madunina” di Alain Voudì

Creato il 20 ottobre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Ogni tanto sul forum di Scrittevolmente vengono organizzati dei contest. Nell’ultimo veniva richiesto di scrivere un testo ispirandosi a una canzone a scelta. Ha vinto Alain Voudì con il suo splendido racconto “Sole sulla madunina” ispirato alla canzone “‘O sole mio”. Buona lettura e complimenti al vincitore!

Sole sulla madunina

“Una mattina / mi son svegliato / e ho trovato l’invasor…”
Apro gli occhi seccato contro il sole, basso sull’orizzonte, in direzione di Quarto Oggiaro.
Cazzo, è sì e no l’alba. Qualcuno prenda a calci Stefano, per favore.
Sono tanto addormentato che mi ci vuole un secondo a realizzare.
“Ste” lo chiamo bisbigliando, allarmato. “Che cazzo fai, sta’ zitto!”
Stefano smette di cantare e viene a scrollarmi dal sacco a pelo.
“È finita! È finita!” mi urla in faccia spiritato.
“Finita cosa?”
“Finita la guerra, bello addormentato! Se ne vanno! Si ritirano!”
Sbatto le palpebre, facendomi schermo dalla luce con la mano per guardarlo meglio in viso.
Non sta scherzando. O è impazzito, o dice il vero.
“Hai capito o no?” mi chiede frenetico. “Si ritirano, abbiamo vinto!”
“Aspetta, aspetta” lo calmo. “Come sarebbe, si ritirano? Come lo sai?”
“Lo ha trasmesso ora Radio Bruxelles: si stanno ritirando dappertutto” mi spiega eccitato. “Hanno lasciato Perpignan durante la notte, e i francesi stanno già rientrando in città; dall’altro lato non c’è più nessuna attività a ovest dell’Oder; e i Servizi ci hanno trasmesso che le ultime retroguardie sciite stanno attraversando il Po proprio adesso, dirette a Genova per imbarcarsi! Abbiamo vinto, ti dico!”
Mi fissa con impazienza, attendendo una mia reazione.
Non ci posso credere. Non voglio crederci. Morirei per la delusione, se scoprissi che è una balla.
Due anni, Cristo. Due anni di resistenza, di notti all’addiaccio per sfuggire ai rastrellamenti, due anni di amici persi in azione, o nelle prigioni, o nelle rappresaglie. Due anni: e ora, così, di punto in bianco, quelli decidono che ne hanno abbastanza e se ne tornano a casa.
È troppo bello per essere vero, non voglio crederci. Non ancora. Prima devo vederlo.
Annuisco verso Stefano senza aprire bocca. Lui mi fissa trionfante, ma tace. Mi capisce.
Abbasso la mano dagli occhi e fisso il sole, rosso sull’orizzonte, mentre sorge su una città che è di nuovo mia. Non ho mai visto un sole così bello. In un’alba come questa, perfino Molino Dorino sembra bella. Respiro a fondo, e mi pare un’aria nuova.
“Sai qual è la prima cosa che faccio appena in città?” mi chiede Stefano.
“Ti fai una doccia” lo canzono, agitandomi una mano sotto al naso.
“Vado a pregare in Duomo” conclude, ignorandomi.
“In quello che ci sarà rimasto, del Duomo.”
“Lo ricostruiremo” promette, assorto. “Ricostruiremo la madunina. Rifaremo tutto come prima.”
“Speriamo meglio.”
“Sì, meglio di prima. Meglio di prima.”
Sospiro, scettico. I nostri bisnonni avevano detto la stessa cosa, ottant’anni fa, quando avevano scacciato i nazisti. A loro in effetti era andata meglio, per un po’. Poi siamo arrivati noi, abbiamo rovinato tutto, e la storia ci ha ripresentato il conto: un conto salatissimo. Speriamo almeno di avere imparato un’altra lezione, e che ci voglia un po’ di più di tempo, prima della prossima volta.
Perché ci sarà, una prossima volta: oh, se ci sarà. C’è sempre stata. La storia non aspetta altro che una generazione dimentichi le lezioni della precedente, o le travisi come abbiamo fatto noi, per riproporci gli stessi errori e pretendere poi un altro bagno di sangue purificatore.
Porgo la mano a Stefano, che la stringe e mi tira in piedi.
Osservo il cielo sopra Milano, e torno a stupirmi dell’assenza della cappa marrone che ero abituato a respirare un tempo. A quanto pare, potrò davvero tornare a respirarla ancora.
“Ma prima vediamo di non fare cazzate” avverto Stefano, e me stesso. “Ci saranno i cecchini, in città.”
“Sì, ma saranno i soliti fanatici: vedrai che tempo un giorno o due spariranno anche loro.”
“Attento ai fanatici, Ste” gli ricordo. “Gente del genere è disposta a tutto. Si saranno barricati ovunque, con una montagna di munizioni ed esplosivi, pronti a far saltare tutto per aria pur di portare con sé un po’ di infedeli.”
“Staremo attenti, Franco, staremo attenti. Però, cazzo, abbiamo ripreso la città, ti rendi conto?”
“Non l’abbiamo ancora ripresa, Ste. Badiamo di non farci piccionare proprio adesso, eh? Sarebbe il colmo, lasciarci le penne proprio sotto casa, dopo due anni di vita all’inferno.”
Stefano ride. È incredibile: nell’ultimo anno siamo diventati come fratelli, eppure solo adesso mi rendo conto di non averlo mai visto ridere, nemmeno una volta, fino a ora.
Scuoto la testa, sorridendo, e lo aggiro avviandomi al lavoro. Sarà una giornata lunga, e ci sono un sacco di cose da organizzare. La mia ombra, lunga nel sole nascente, mi precede in direzione della tenda che ospita il quartier generale. Sento fin da qui lo sfrigolio della radio accesa.
D’un tratto il sole alle mie spalle sembra esplodere, inondando il campo di una luce abbagliante che mi pietrifica a metà di un passo.
Dopo un tempo che mi pare infinito, poso il piede a terra e mi volto in direzione della luce.
Mentre fisso inorridito la nuvola a fungo che si sta formando proprio sopra la mia città, riesco solo a pensare che due soli, in un solo cielo, sono troppi.
Non vedrò più la madunina, rimpiango. Poi arriva l’onda d’urto.


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