Magazine Racconti

Racconto: Una sporca scommessa

Da Irenecampinoti

anello san valentinoLetta sollevò il foglio molto lentamente. Sollevò prima l’angolo in basso a destra. Era ingiallito. Forse l’intero foglio era ingiallito, così sdrucciolevole al tatto, quasi come la vecchia bibbia della nonna.

Deglutì quando, sollevandolo ancora un po’, intravide qualcosa, forse una scritta.

Decise di farla finita. Adesso basta. Letta era stufa di stillare quel pezzo di carta insignificante. Sì, è vero, avrebbe potuto cambiare tutta la sua vita, ma alla fine, chi se ne frega!

Rigirò il pezzo di carta oleata tutto in un botto e lo lasciò sul tavolo rimanendo immobile ad osservarlo.

Eccolo là, quello che aveva cercato, che aveva desiderato, che aveva voluto, era tutto là in quel foglio. Non erano scritte quelle che aveva intravisto dall’angolo. Erano disegni.

E che altro avrebbe potuto fare una bambina di appena quattro anni?

Se lo ricordava. Piano piano le ricomparivano le immagini di quel giorno.

Le sue lacrime, i singhiozzi forti e soprattutto ignorati.

-Vai in camera e non tornare finché non ti sarai calmata!-, le aveva gridato alla fine la mamma. Lei era corsa immediatamente nella cameretta. Era sempre contenta di correre là, di togliersi un po’ di mezzo. Era arrabbiata, moltissimo. Voleva quella cosa con tutta se stessa. Forse domani se ne sarebbe dimenticata, certamente, ma adesso… L’”adesso” contava per lei, solo quello, solo l’”adesso” era importante per lei.

Era corsa via, ma prima di defilarsi completamente dalla sala da pranzo aveva fatto qualcosa di cui nessuno si era accorto.

Prima di uscire dalla porta un riflesso l’aveva accecata. Era rimasta un attimo imbarazzata, dimentica di ogni altro. Sul mobile accanto al quale stava passando c’era l’anello della mamma, il solitario che si toglieva soltanto per rigovernare e per fare il bagno.

Non ricordava bene che cosa le era passato in quel momento per la testa, Letta, ma fu un attimo. L’attimo dopo era già oltre la porta della sua camera con l’anello stretto nella manina.

Dopo altri dieci minuti era sgattaiolata fuori sentendo i genitori che litigavano ancora a voce alta in cucina. Era corsa in soffitta, Letta. Un posto sudicio e buio. Un luogo in cui si poteva trovare di tutto e spesso qualcosa di non piacevole. I ragni giravano indisturbati e c’era il rischio di incontrare anche qualche topo. Ma Letta era decisa a farlo. Sapeva benissimo dove andare e per questo aveva già preparato la sua mappa.

Nascose l’anello in un posto che conosceva soltanto lei. Aveva disegnato la mappa a memoria, tante volte c’era stata e tante volte era rimasta impressionata. A volte si rinchiudeva al buio nella soffitta con il solo scopo di provare paura e resistere. Dopo aver resistito dieci minuti doveva trovare il coraggio di muoversi e andare a ricercare la porta per uscire.

Letta adesso aveva ritrovato quella mappa che aveva disegnato lei stessa all’età di quattro anni. Osservò con attenzione il foglio ingiallito. C’era disegnato un trapezio, un trapezio rettangolo appoggiato su un lato. Sul momento non capì.

C’era una bambina, che probabilmente era lei. Era lei che sorrideva, ma aveva anche una gocciolina vicina agli occhi. Aveva pianto, certo, voleva ricordarselo. Quello, in fondo, era l’unico motivo per cui aveva nascosto l’anello alla madre.

Poteva ancora udire l’eco delle loro voci, delle grida dei genitori. Dell’ultima volta che aveva sentito le loro urla in quella casa. Il giorno dopo suo padre se ne andò e lei dimenticò l’anello nascosto.

Ma adesso lo ricordava. Lo aveva ricordato qualche sera prima, quando era in macchina con un ragazzo, un coetaneo che le piaceva molto.

Accanto alla bambina disegnata c’era qualcos’altro. Accanto alla bambina c’erano dei tondi. Erano molti, uno accanto all’altro, molto più piccoli rispetto al trapezio.

Non c’era altro disegnato sul foglio.

Non capiva, non ricordava.

Salì tentennante le scale buie della soffitta. Era un caldo afoso che sembrava volesse stringerti la gola con le sue mani sudice. In cima alle scale dovette salire sul solaio di cemento polveroso. Non c’era spazio per alzarsi, da lì in poi si doveva procedere a carponi.

Sentì bucare le ginocchia nude. Andò avanti comunque, seguendo la tenue luce che proveniva dal fondo del sottotetto.

Respirava piano per non fare rumore e ascoltava ogni più impercettibile movimento che le capitava intorno.

Sperava di non trovare ragnatele lungo la strada, cercava di tenere la testa bassa, lontana dal soffitto, ma sapeva bene che le ragnatele, talvolta, possono essere molto ampie e che i ragni lasciati vivere indisturbati possono diventare anche molto molto grossi.

Cacciò dalla testa quei pensieri, ma uno squittio improvviso la fece pensare a cose ben peggiori: i topi.

Deglutì rumorosamente e voltò la testa in tutte le direzioni per vedere da dove provenisse quel rumore indesiderato. In tutta la sua vita non aveva mai visto topi là dentro. Però sapeva che c’erano. Lo sapeva dai discorsi dei suoi genitori e dai resti fecali che trovava ovunque. Anche adesso, lì al buio, probabilmente stava camminando con le mani e le ginocchia sopra alla cacca dei topi.

Non ci poteva pensare. Iniziò a muoversi velocemente a occhi chiusi, serrati. Pareva un gattino in fuga. Un gattino che non fa paura ai topi, però, ma che li teme.

La corsa di Letta si interruppe con una testata in una trave di cemento armato. Dovette sedersi a leccarsi le ferite.

Quando riaprì gli occhi, di fronte a lei c’era una luce. Un trapezio rettangolo che emanava luce.

-La finestra…- esplose Letta.

In tutta fretta prese il disegno ripiegato nella tasca.

Lo aprì e osservò il trapezio. Il trapezio era la finestra che per seguire l’inclinazione del tetto aveva quella forma obbligata.

Letta sorrise, si guardò un po’ intorno dimenticando totalmente i topi. Cercò qualcosa che potesse assomigliare a quei cerchi disegnati uno accanto all’altro.

Eccoli!

A circa un metro di altezza dal solaio sbucavano fuori delle tramezze. Eccoli là i tondi, i buchi. I fori delle tramezze.

Letta si tirò su in ginocchio per avvicinarsi ai fori. Fori grandi, belle tane per i topi o per i ragni giganti. L’anello era nascosto là, in uno di quei fori, ma chissà quale?

Letta spiegò di nuovo il foglio per trovare un’ulteriore indicazione.

Guardò la bambina con il sorriso e la lacrima sotto agli occhi, la gocciolina. E poi guardò i rotondi irregolari. Li contò, uno, due, tre fino a venti. Cinque tramezze con quattro fori ciascuna. Riguardò il disegno, i tondi erano molto irregolari ma, accidenti, aveva quattro anni, che cosa poteva fare di più!

Forse per trovare l’anello doveva infilare le mani in ognuno di quei fori, al buio. Tastare dentro e cercare qualcosa.

“No, che schifo!”, gridò una vocina dentro di lei.

Osservò con più attenzione il disegno.

Eccola finalmente la chiave!

Uno dei fori era nero, non sapeva ancora scrivere, non sapeva ancora fare le frecce, ma aveva ugualmente trovato il modo di identificare un foro in mezzo ad altri venti.

Contò dalla finestra cinque fori e trovò quello annerito. Strusciò le mani fra loro osservandolo bene, scrutando nel nero del suo interno per notare in anticipo un qualche movimento. Una volta infilate le dita sarebbe stato troppo tardi. Si guardò di nuovo intorno per cercare uno strumento da introdurre al posto della mano.

Niente.

Si fece coraggio e infilò due dita, di più non ce ne sarebbero entrate.

Esplorò la zona a tastoni, una possibile tana per un qualsiasi animaletto che poteva essere, in quel momento, proprio là dentro tutto tranquillo. Il cuore a Letta andava a mille e le dita tastavano da sole, lontane dalla sua testa, per farle meno schifo.

Ed ecco ciò che non avrebbe mai voluto trovare. Le dita di Letta toccarono qualcosa di molliccio e di non stabile. Letta ritrasse immediatamente la mano portandosela al seno ad occhi chiusi. Quando riuscì a riaprirli se la guardò per vedere se c’erano dei segni. Niente.

Aveva perso il coraggio di rinfilare la mano in quel buco. Anomali pruriti cominciarono ad invaderle tutto il corpo, le venne quasi da piangere.

Riprese il foglio, lo ridistese in tutta fretta.

Quella bambina sorridente con la lacrima sulla faccia non voleva dimenticarsi di aver pianto.

Sicura? Sicura, Letta, che quella bambina di quattro anni non volesse dimenticare di aver pianto? Sicura che non volesse dimenticare ogni lite dei suoi? Sicura che non volesse dimenticare i piatti che volavano da una parte all’altra della stanza, ogni giorno? Sicura che non volesse dimenticare la sofferenza, la paura di rimanere sola, o anche soltanto la paura di restare con uno solo dei genitori?

Sicura, Letta, che quella sia una gocciolina? Sicura che quella cosa sotto agli occhi, vicino all’angolo della bocca sorridente, sia proprio una lacrima?

Letta tornò a sorridere e si sciolse in un sospiro.

Senza esitare oltre, infilò di nuovo la mano nel foro buio e acchiappò quella cosa molliccia che aveva sentito poco prima.

Eccolo il chewing gum nel quale aveva avvolto l’anello. Ci teneva molto a quell’anello e non aveva trovato altro per preservarlo che ciò che stava masticando. La gocciolina non era una gocciolina ma un chewing gum. Aveva sentito dire, a quei tempi, che nemmeno i topi avrebbero mai avuto lo stomaco per rosicchiare una Bigbabol e non aveva trovato modo migliore che nascondere l’anello avvolgendolo lì dentro.

Adesso non l’avrebbe mai più fatto, sapeva che i topi si mangiano anche i fili della corrente! Non si schifano proprio di nulla, figuriamoci di una bella Bigbabol alla fragola!

Qualche ora dopo era il tramonto e Letta sedeva su un comodo sedile in pelle di un’Audi con l’anello infilato all’anulare sinistro, come da tradizione.

Alla sua sinistra un uomo di circa venti anni più grande guidava facendo molta attenzione.

-E’ questo il posto dove devi andare, tesoro?-

-Sì, è proprio questo, puoi lasciarmi… ecco guarda… vicino a quelle persone là.-

L’Audi accostò vicino a un gruppo di ragazze.

Letta scese, l’uomo alla guida la salutò:

-Ciao Nicoletta, buonanotte amore mio… siamo stati bene, no?-

-Sono stata benissimo!-, rispose Letta a voce alta, -buonanotte anche a te… amore!-

Gli tirò un bacio con la mano e richiuse lo sportello. Lanciò una rapida occhiata ad una delle ragazze che stavano chiacchierando vicino al pontile del lago e si avviò con passo veloce e deciso verso un gruppo di ragazzi più in là. Si mise in mezzo e parò la mano sinistra in faccia a uno di loro.

-Ecco qua. Ho vinto la scommessa, il mio amante mi ha chiesto di sposarlo… avevi dei dubbi?-

Il ragazzo deglutì senza rispondere e mentre i suoi amici lo prendevano sonoramente in giro Letta riprese a passo svelto la via verso il gruppo di ragazze.

Una di loro si avvicinò a lei e insieme continuarono a camminare lungo la riva del lago:

-L’hai trovato sul serio, allora?-

Letta, pelle liscia da sedici anni, annuì senza voltarsi.

-Però, Letta… dire buonanotte amore a tuo padre…. Non ti sembra di aver esagerato?-

-In guerra e in amore tutto è permesso!-

-Sicura? E cos’hai ottenuto? Pensi che adesso Andrea si innamorerà di te?-

Letta sospirò.

-No… ma almeno ho vinto la scommessa.-

-Forse hai vinto una battaglia, ma se per avere l’amore di qualcuno bisogna combattere e ferire, allora… l’amore …. l’amore dov’è?-

Letta guardò lontano un punto imprecisato in mezzo al lago:

-Per quanto mi riguarda è rimasto molto tempo fa in fondo a una soffitta sudicia e abitata da topi…-


Filed under: Cantastorie Tagged: racconto, san valentino, testo

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :