(…) Anche Peppino era uno di razza guerriera che un giorno, ancora bambino aveva capito che don Tano Seduto era in realtà un viso pallido. E allora, appena aveva imparato a cavalcare da solo, era salito sulla groppa del suo mustang pezzato e aveva saltato la staccionata dell’accampamento, che era la sua casa, piena di visi pallidi. Lui sapeva chi comandava a Mafiopoli e anche il come e il perché. E allora cavalcò sulla piana di Punta Raisi dove don Tano Seduto aveva deciso di costruire la nuova pista e trovò i viddani, a testa bassa e con le zappe in spalla, che avevano cominciato a sciamare verso un destino incerto, ancor più di quello riservato loro da quella campagna più pietre che terra su cui avevano costruito muri a secco e casolari. Si era piazzato davanti alle ruspe insieme a loro, ma non era riuscito a fermarle. Peppino Impastato, però, era un guerriero di razza e avrebbe fatto della sconfitta uno sprone. Cominciò a dire, alzando la voce, quello che tutti sapevano, ma che nessuno diceva. Per via di quelle mani sulla bocca, sugli orecchi e sugli occhi. Cominciò a dire forte che la mafia c’era, eccome, e che era “una montagna di merda” (…)
Giorgio Di Vita da Non con un lamento