Una parte di marocchini, circa il 2% secondo una recente statistica (da prendere con le molle) non segue il quarto pilastro dell’Islam, il digiuno del Ramadan. Ovviamente vivono molto male questo fatto in quanto la paura di essere giudicati (e arrestati) è molta. “Chiunque notoriamente conosciuto per la sua appartenenza alla religione musulmana rompa ostentamente il digiuno in un luogo pubblico durante il Ramadan, senza motivi ammessi da questa religione, è punito con il carcere da uno a sei mesi”, recita l’artciolo 222 del Codice penale marocchino. Lungi da me entrare nell’interpretazione di questa legge che torna alla ribalta nei giorni sacri del Ramadan, ma è importante capire chi non digiuna e perchè? Come può non urtare la famiglia, i colleghi o semplicemente la società? “Non digiuno da quando frequentavo l’università”, sostiene in in noto quotidiano un giornalista arabofono di 46 anni. La ragione: è credente ma non rispetta il secondo pilastro dell’Islam, la preghiera, quindi si chiede a che serva rispettare il digiuno del Ramadan, quarto pilastro. “Il Ramadan è il tipico periodo dove la relazione con la religione, che io considero strettamente personale e intima, è totalmente pubblica. Non digiunare davanti agli altri, è in primis una forma di ipocrisia che, nella nostra società, circonda un mese dedicato invece alla pietà, alla solidarietà con chi soffre di malnutrizione e durante il quale si svolge una vita sottotono. Lo spettacolo che si presenta è esattamente agli antipodi di queste raccomandazioni e non desidero fare parte di questo circo”, conclude questo casablanchese decisamente contro il Ramadan. Per un giovane funzionario di Fès, il suo rifiuto di digiunare durante il Ramadan ha a che fare con la sua educazione “senza contratti religiosi”. “Mio padre non è mai stato ligio alle obbligazioni religiose. Ci ha insegnato a pregare, ad aiutare i poveri, ma gli obblighi non erano per noi fondamentali. Infine, ho conservato questa filosofia e tutto procede al meglio essendo in osmosi con Dio e con me stesso. Lui sa che non sono cattivo”, spiega il ragazzo. Se questo ragazzo è stato educato alla religione ma senza obblighi, altri invece con gli stessi pensieri, non scappano al controllo vigile ed attento dei familiari e della società e sono obbligati a nascondere il loro non-digiuno. “Ho fatto uno sforzo quando sono ritornato a El Jadida, il week-end, perchè il Ramadan è sinonimo di raggrupamento famigliare. Ma il resto della settimana, non ho nessun interesse a questo. Dove lavoro, pochi fanno il Ramadan, ma come me, moltissimi marocchini che non rispettano il digiuno, si nascondono dalle loro famiglie e dai loro vicini. Si tratta di ipocrisia del Ramadan.” Una giovane ragazza che vive a Casablanca dichiara: “Per mangiare, molti sono obbligati a nascondersi o di rinchiudersi in casa. Durante il Ramadan io mangio a casa o nel mio luogo di lavoro se le condizioni me lo permettono”. Quest’ultima dichiara anche che non è contro l’articolo penale 222 che proibisce ai muslmani di mangiare in pubblico durante il Ramadan in quanto si tratterebbe di “ordine pubblico” e la società marocchina non è pronta a vedere gente che mangia seduta ad un bar o a un ristorante. Stesso discorso per un giovane impreditore malato il cui medico ha consigliato di non osservare il digiuno. “Durante il Ramadan, torno dalla nonna tre volte al giorno, per parlare, prendere un caffè e fumarmi una sigaretta. Non mangio un pasto completo per non urtare le persone che sono nella casa e che digiunano” precisa il ragazzo. Per lui non è un problema il non mangiare in pubblico e neppure sul luogo di lavoro, ha trovato una nonna compiacente. Al di là dell’articolo 222 del Codice penale, altre sono le cose che danno fastidio e provocano collera tra i fondamentalisti. Secondo Abbdelbari Zemzami, membro del Consiglio degli Oulemas, la più alta carica teologica dello Stato, parlando ai musulmani dal sito goud.ma, consiglia di rompere il digiuno se non si può resistere al forte calore presente nel paese. Interrogato su questa affermazioni, a dir poco pagana, Zemzami ha risposto: “la società non ha niente a che fare con questa questione. Il digiuno è un fatto tra l’individuo e Dio quindi nessuna persona può interferire”. Parole che potranno in futuro aprire un largo spiraglio di dibattito nella società marocchina.
Negli altri paesi come è vissuto il Ramadan:
In Turchia, la laicità è provata da un governo islamista molto rigido sul rispetto dei pilastri dell’Islam. A Istambul, a differenza del Marocco, ristoranti e bar sono aperti duranti la giornata e servono i clienti che lo desiderano, turisti e non. Il mese sacro corrisponde anche ad un periodo ancora più animato del normale, durante il quale la città turistica vive a ritmi incandescenti.
In Niger, paese che dichiara una popolazione con oltre il 97% di musulmani, il Ramadan è, come in Marocco, l’occasione per tornare nel percorso dettato dalla spiritualità. Le moschee si riempiono, il digiuno è strettamente rispettato, anche se bar e ristoranti rimangono aperti al pubblico. La sera, l’alcol cola a fiotti e alcuni si permettono qualche sigaretta durante la giornata, per togliere la fame. Stessa cosa per il Senegal.
Crédits: AuFait Maroc