L’annata quasi giunta alla sua conclusione verrà ricordata come quella delle remastered e della guerra alla risoluzione, ma non s’è fatta mancare diversi titoli capolavoro in ambito strategico/RPG, dall’anima puramente old-school, per giunta arrivati esclusivamente su PC. Un genere che invece ha avuto poco da dire, nel 2014, è stato quelle delle avventure grafiche: ne contiamo davvero sulla punta delle dita, di meritevoli e di stampo classico perlomeno, e tra tutte spiccano l’ultimo capitolo della serie The Blackwell ed il remake di Gabriel Knight, analizzato qualche settimana fa. Proprio per questo, per gli amanti delle avventure una delle produzioni più interessanti dell’ultimo quarto dell’anno è Randal’s Monday, del quale abbiamo discusso già da tempo, ma considerato il recente rilascio ne approfittiamo per stilare il nostro consueto resoconto, in modo tale da evidenziarne pregi e difetti, per quella che si presenta come un’avventura irriverente e spassosa, ma al tempo stesso dura e matura in molte altre circostanze, quindi di certo non adatta a tutti.
Immaginate di avere pochi e strani amici. Di avere seri problemi a lavoro, a casa, di denaro; cosa fareste se, improvvisamente, una sorta di maledizione si abbattesse su di voi, facendovi vivere soltanto i lunedì, tra salti temporali ed eventi via via diversi, ma che vedono sempre sopperire il vostro miglior amico Matt? In breve, questa è la storia di Randal Hicks, o meglio, è quel che il cleptomane protagonista dovrà fare in modo di evitare, riparando ai suoi errori, tornando sui suoi passi, arrivando così a quella maturazione che decenni di vita non gli hanno mai permesso di ottenere. Tutto ha inizio nella squallida taverna/pub di Elaine: Matt e Sally festeggiano assieme a Randal l’imminente matrimonio, ma la nottata è breve e ci riserverà alcune sorprese: fiumi di alcol e birra riempono i boccali e scorrono nelle vene dei protagonisti, che ben presto si troveranno ubriachi attorno ad un tavolo. Matt, adulto complessato tutt’altro che sicuro di se stesso, non è mai stato un gran bevitore; scappato nel retro del pub, darà vita ad uno spettacolo niente male, mentre riverserà a terra. Iniziano i primi riferimenti di cui Randal’s Monday è pregno, e si arriva all’evento clou: Matt fa cadere il portafogli a terra, Randal lo raccoglie e lo tiene per sé, noncurante del fatto che al suo interno ci siano i soldi dell’amico, ma cosa più importante, l’anello speciale che vuol dare all’amata. Si scatenerà così una sequela di eventi che porteranno Randal avanti ed indietro, all’interno della sua cittadina, cercando di venirne a capo, di rimediare agli errori commessi, che gli faranno vivere ad oltranza lo stesso lunedì, le stesse situazioni e la morte dell’amico, suicida perché depresso come non mai. È la storia di uno sbandato, di una nullità, di un ragazzo che in fondo sa di poter cambiare, ma è troppo pigro per farlo; di un uomo mai diventato tale, vittima della mediocrità alla quale si aggrappa con forza, per non rimaner deluso. Una storia a tinte fantasy, anche, considerata la maledizione che avvolge quel misterioso anello – i riferimenti a Il Signore degli Anelli si sprecano, NdR – e il loop di eventi e lunedì che gettano il protagonista nello sconforto, che troveranno modo di risolversi entro sette capitoli, che abbiamo ultimato in poco meno di otto ore.
Un’avventura grafica dalla doppia faccia, quella sempliciotta, che ci propone tematiche leggerissime e battutine spesso anche un po’ sconce, dall’altra una più dura, quasi splatter, che si fa portatrice di tematiche e scene violente e cruente. Eppure, nonostante le ottime premesse e l’ispirazione old-school, qualcosa non ha funzionato. Randal’s Monday pecca nello sviluppo della trama e delle situazioni di gioco, stupisce dapprima il suo giocatore, per poi abbandonarlo in situazioni di gioco stagnanti e tutt’altro che divertenti. Il loop temporale che saremo costretti a rivivere ci porterà all’interno delle solite ambientazioni, difronte ai soliti personaggi, a spostarci nella cittadina con continuità, cercando di venire a capo del puzzle strambo di turno; un backtracking come mai così elevato, che fa calare il ritmo di un racconto che non decolla, anche a causa dei frequenti caricamenti per gli spostamenti da un luogo ad un altro, per mezzo della metropolitana. Demolite le impressioni iniziali, quando pensavamo di trovarci dinnanzi ad un titolo divertente e serio al tempo stesso, e nei panni di un personaggio che avesse qualcosa in comune con il Rufus di Deponia, c’è tempo per chiedersi a cosa abbia portato un’impostazione di questo genere, se non a scoramento in molte fasi di gioco e a noia dominante. Troverete centinaia di riferimenti a videogiochi d’un tempo, a Monkey Island, ai cabinati arcade, a film come Rocky, Le Iene di Tarantino, ad Half Life di Valve a X-Men, ma davvero poca sostanza in termini di trama, di sviluppo armonioso e coerente della stessa, per quanto la parola “coerente” possa sembrare non poco eccessiva in un’avventura grafica di questo piglio. Al tempo stesso, una molteplicità di dialoghi, dapprima spassosi, poi sempre meno, che riempiranno ore ed ore del vostro tempo senza regalarvi quel dettaglio in più tanto atteso, quel quid necessario all’evoluzione del canovaccio, che rimane sempre piuttosto banale e un poco prevedibile, pur regalando qualche fase umoristica niente male. La sensazione è quindi quella di essere immersi in un mondo pensato come omaggio per i nerd, ma sconnesso a quello di Randal e compagni; un universo colorato e stupendo da vedere, per mezzo di un’ottima grafica cartoon e tonalità di colore delle più disparate, ma inconsistente, che non riesce e che non può fornire quel ritmo elevato di cui aveva bisogno il videogioco, aiutandolo nel porsi come un tentativo poco riuscito rispetto a quello che era il concept iniziale.
Ed è davvero difficile parlarne in questi termini, perché gli ingredienti utili per farne un gran bel prodotto c’erano tutti, e possiamo citare anche le buone animazioni (cosa rara in questi tempi, anche nelle avventure 2D), il doppiaggio esemplare, una soundtrack composta da brevi brani e jingle, della durata totale di oltre 75 minuti, un po’ meno per numero di location, una decina di macro-ambienti in totale, ognuno dei quali composto da un numero variabili di tavole. La seconda parte del gioco è un’ulteriore dimostrazione del grosso passo falso commesso da Nexus Game Studio, in grado di confezionare un intero capitolo (il sesto, all’interno della prigione) che da solo surclassa in termini di qualità tutta la restante parte dell’avventura; un insieme, quindi, davvero poco omogeneo, che ne ha decretato il parziale insuccesso, emerso anche a causa di puzzle dalla risoluzione priva di logica e un calderone di elementi poco legati assieme: da una commedia a tratti snervante a dei personaggi poco interessanti, ad un inventario (una rivista in pratica, richiamabile in basso a sinistra dello schermo) poco adatta al genere al sistema di aiuti che un titolo ispirato ai prodotti old-school non dovrebbe contemplare, agli spostamenti da effettuare obbligatoriamente tramite metropolitana, anziché tramite l’utilizzo di una più pratica e meno stressante mappa di gioco. Insomma, il centro è stato mancato di parecchio stavolta, speriamo soltanto che Nexus Game Studio e Daedalic Entertainment ci provino con più convinzione la prossima volta, anche perché l’impegno c’è stato ed è fuori dubbio che per confezionare così tanto materiale, riferimenti e dialoghi, ci siano voluti mesi e mesi di lavoro senza sosta.