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Raperonzola e lo shampoo miracoloso

Da Fiaba
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Martedì 26 Febbraio 2013 13:49 Scritto da Martilla

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Inge e Wolfango si sposarono il 3 aprile.

Fu una cerimonia semplice, come desiderato dalla sposa, all’aperto in un bel parco, con pochi invitati e un prete bonario e sintetico.

Inge e Wolfango non avevano molti soldi, lui non era che un fabbro, per cui non andarono in viaggio di nozze.

Si trasferirono in una modesta abitazione nei pressi di un grande bosco.

Dalle finestre si poteva ammirare la lussureggiante vegetazione che apparteneva al giardino di un maestoso, ma tetro, castello.

La proprietaria del maniero era un’anziana zitella, Madama Gothel, burbera e inacidita dalla solitudine. Non usciva quasi mai, in pochi l’avevano incontrata, tanto che sul suo conto fiorivano le dicerie.

C’era chi pensava che non uscisse mai di casa perché era talmente brutta da spaventare chiunque incontrasse.

C’era chi pensava che dopo una cocente delusione d’amore avesse deciso di ritirarsi per sempre in solitudine.

C’era chi pensava addirittura che non esistesse, e qualcuno se la fosse inventata perché in realtà il castello era infestato dai fantasmi e tutti volevano starne alla larga.

Invece Madama Gothel esisteva eccome.

Non era particolarmente bella, ma nemmeno brutta da far spavento. Da giovane doveva comunque essere stata una donna interessante.

Non si era mai sposata perché non le interessava. Aveva il Cuore di Pietra, una patologia piuttosto rara, che nessun medico aveva saputo curare. Piano piano si era allontanata da tutti perché non conosceva amore né affetto, e nemmeno il rimorso. Feriva le persone, ma non provava sensi di colpa. Non provava nemmeno dolore.

Provava solo rancore. Contro se stessa, forse, e contro il mondo che l’aveva creata Insensibile.

Trascorreva le sue giornate ricamando e sferruzzando, realizzando pizzi, merletti, coperte, tovaglie, corredi che non avrebbe mai utilizzato.

Inutile dire che Madama Gothel non aveva figli.

E i suoi capolavori di cucito si ammucchiavano negli armadi e ingiallivano.

Inge, la novella sposa, passava le sue giornate a osservare incantata dalla finestra il magnifico giardino del castello.

Sarebbe bastato oltrepassare un alto steccato per poterlo raggiungere. Avrebbe tanto voluto farci una passeggiata, ma non poteva violare la proprietà altrui.

Provava stizza e risentimento nei confronti della padrona del castello, che non si curava minimamente delle erbacce che crescevano dappertutto. Era un giardino incolto e profondamente trascurato.

Inge, che da sempre aveva il pollice verde, se ne sarebbe occupata così volentieri!

Ma non poteva, perché non era il suo.

Chi ha il pane non ha denti. E chi avrebbe i denti, non può avere il pane. Uffa.

Tra le altre cose Madama Gothel era una strega.

Raramente aveva usato la magia, però. Quando da bambina aveva scoperto di possedere poteri magici, non era sufficientemente matura per poterne fare uso, mentre da adulta si era ritirata così presto in solitudine che non sapeva contro chi usarli.

Non le interessava fare dispetti alla popolazione del luogo, verso cui provava indifferenza.

Provava verso ogni cosa la più totale Indifferenza.

Wolfango lavorava sodo tutto il giorno. Il suo lavoro, anche se modesto, lo rendeva soddisfatto. Inoltre, la moglie era una cuoca superba, e la sera gli faceva sempre trovare un’ottima zuppa.

Erano sereni, ma non felici. Quel che mancava era la gioia di un figlioletto. Un pargoletto tutto per loro. I figli non arrivavano, e Inge diventava sempre più triste. Le sue giornate erano tutte uguali, non sapeva che fare. Allora capitava che uscisse a fare lunghe passeggiate in paese o nei campi, sempre sola. Tornava a casa esausta, e si addormentava. Wolfango capiva cosa significasse per una donna avere un figlio, e provava pena per la sua sposa.

Finalmente, dopo qualche tempo, Inge restò incinta. Ne fu molto felice, e cominciò a realizzare abitini per il bambino, o la bambina. Da mattina a sera confezionava tutine e cuffiette con zelo e affetto.

Si sa che le donne in gravidanza sono soggette a voglie improvvise, e ad attacchi di fame.

Nel giardino del castello di Madama Gothel, la strega, crescevano tante rape.

Rosse e invitanti.

Inge fu ben presto presa da questa voglia di rape che non le dava pace, né di giorno né di notte.

Ci avrebbe perfino fatto colazione.

Wolfango correva al mercato dopo il lavoro, a comprargliene grandi mazzi, ma a Inge quelle non piacevano. Le trovava troppo piccole e raggrinzite, e senza sapore.

Avrebbe tanto voluto quelle del giardino della strega. Erano grosse e odorose.

Inge sospirava in continuazione:-Ah, come mi piacerebbe averne un po’, e poterle gustare..-.

Intanto la pancia cresceva, e la voglia di rape aumentava.

Wolfango decise di prendere il coraggio a due mani e andare a chiederne un po’ alla proprietaria.

Aveva sentito le storie sul suo conto, e non gli piacevano per nulla; qualcosa gli diceva che non sarebbe stato facile ottenere quelle rape.

La mattina successiva si svegliò di buon’ora e, prima di andare al lavoro, si recò al castello, sperando che la padrona fosse già sveglia.

Bussò al portone con un pesante batacchio in bronzo.

Nessuno rispose.

Tentò nuovamente.

Nessuno aprì.

Quasi sollevato, Wolfango tornò indietro con il cuore più leggero. In fondo, un tentativo l’aveva fatto. Avrebbe convinto la moglie a rinunciare a quelle benedette rape.

Le donne incinte, oltre ad avere fami e voglie improvvise, sono soggette a repentini sbalzi di umore, e piangono spesso, e spesso per una sciocchezza.

Inge scoppiò in lacrime non appena seppe che non avrebbe avuto i suoi amati ortaggi. E poi si arrabbiò furiosamente col marito che, indignato, andò a letto prestissimo senza nemmeno cenare.

Fissando il soffitto, neanche un’ombra di sonno, Wolfango ebbe un’idea.

Nottetempo, mentre Inge dormiva profondamente, si vestì in fretta e furia e uscì di casa.

“Ora o mai più”, pensò.

Si arrampicò per l’alto steccato che separava la sua casa dal giardino Di Madama Gothel e con un salto fu dall’altra parte.

Vide le famosissime rape e, con gesti bruschi e frettolosi, ne strappò un’enorme quantità.

Mise gli ortaggi in un sacco di tela che si era portato con sé.

La mattina seguente Inge fu svegliata da un delizioso, familiare odorino.

“Rape!”, pensò.

Si sollevò a sedere e si alzò a fatica dal letto, appesantita dalla pancia ormai molto grande. Quando scese in cucina trovò Wolfango ad attenderla con un sorriso smagliante e una pentola colma fino all’orlo di zuppa di rape pasticciate. Inge si avventò sul piatto e se ne scolò ben cinque. Adesso sì che era soddisfatta.

Wolfango le aveva sradicate tutte. Ce ne era una quantità sufficiente per almeno un mese. Inge già pregustava gli ottimi piatti che avrebbe potuto preparare.

Un mese dopo accaddero cose.

Wolfango ebbe una colica di rigetto. Non ne poteva più di mangiare rape.

Inge le cucinava in tutte le salse. Stufate, gratinate, al burro e in insalata. Impanate e fritte.

Aveva addirittura inventato una ciambella dolce a base di rapa grattugiata. Wolfango aveva smesso di mangiare, lasciando la sua razione all’insaziabile consorte. Si era messo a frequentare un corso elementare di cucina, giusto per sopravvivere. Era anche un buon modo per dimagrire, ultimamente si era appesantito. Con una buona dieta a base di pasta scondita, verdure e bistecchina, era tornato in perfetta forma.

Inge diede finalmente alla luce una bambina.

Era una bella bambina paffuta e tranquilla, con una massa incredibile di capelli rossi già appena nata. E un’incredibile quantità di lentiggini.

Fu una vera sorpresa, per due genitori biondissimi.

-Saranno state tutte quelle rape!- scherzava Wolfango.

Ma Inge lo prese sul serio e chiamò la figlia “Rapa”.

-Rapa?! Ma che razza di nome è?- si arrabbiò Wolfango- Io mi rifiuto di chiamare “Rapa” mia figlia!-.

Ma Inge voleva un nome che evocasse quei nove mesi di attesa, nove mesi di fame e ingordigia.

-Se proprio cerchi un nome che richiami il rosso dei capelli, chiamiamola Fulva!-

-Per carità, “Fulva” è un nome da gatto!-

A forza di dai e dai, la spuntò come al solito la capricciosa Inge. La bambina si chiamò Rapa.

E giacché cresceva carina, paffutella e simpatica, la vezzeggiavano chiamandola “Raperonzola”.

Madama Gothel aveva tramato vendetta per quei nove mesi.

Voleva rovinare quella famiglia, con quella stupida bambina dai capelli rossi.

Era arrivato il momento, finalmente.

Per comprendere il motivo di tanta ira, dobbiamo tornare all’indomani del furto notturno di rape, avvenuto sette mesi prima, per la precisione.

Ebbene, la mattina successiva al ladrocinio, Madama Gothel si era svegliata stranamente di buon umore, se di bontà possiamo parlare nel riferirci a lei.

Aveva fame, e decise di uscire in giardino per cogliere qualcosa che aveva intenzione di accompagnare all’uovo che si sarebbe cucinata.

- Ci sono! Una bella frittatona di rapa!-.

Quando però la strega arrivò in giardino trovò qualcosa di brutto ad attenderla.

O meglio, non trovò proprio nulla.

Perché tutte le rape erano state sradicate. Tutte. Nessuna esclusa.

-Per mille fulmini!- tuonò la donna-Chi è stato! Chi è stato a farmi questo! Chiunque sia stato me la pagherà cara, carissima!-.

Poi sentì un odorino, un profumino familiare provenire dalla casa oltre lo steccato….. E dal giardino vide quella donna farsi una scorpacciata di zuppa di rape.

-Ah, è così!Stanno così, le cose! Beh, vedremo..-concluse. E rientrò nel castello.

Attese per nove mesi.

Vedendo la pancia di Inge crescere, le sue intenzioni erano sempre più chiare.

Circa sei mesi dopo la nascita della bambina, Madama Gothel si presentò a casa della coppia con un cesto di rape rossissime, che nel frattempo erano ricresciute.

-Buongiorno, disturbo?- flautò melensa.

-Buongiorno a lei, gentile dama- rispose Wolfango-posso esserle utile?-.

-Direi di sì, vi ho portato questo cesto di rape in segno di amicizia-.

Wolfango, leggermente stranito degli insoliti convenevoli, la invitò a entrare.

Rape. La bambina ne era ghiotta. Beveva certi infusi di latte e rapa, mangiava certe pappe fitte a base di rapa!

Accolse con un risolino entusiasta il bendidio portato dalla strega.

-Che splendida bambina!- esclamò con un sorriso tirato Madama Gothel- Qual è il suo nome?-.

-Si chiama Rapa-.

“Rapa?!” pensò la strega”Questi due devono essere impazziti..”

- Che bel nome! Un po’ insolito, ma le si addice perfettamente!

Ma veniamo al dunque. Sono qui per proporvi un affare, o meglio, uno scambio-.

-Un affare? E di cosa si tratta?- chiesero all’unisono Wolfango e Inge.

-Ecco, immagino che non navighiate nell’oro. Almeno a giudicare dai vostri modesti vestimenti e dalla vostra umile dimora-.

-E con questo?- si inalberò Wolfango- ci siamo sempre guadagnati da vivere lavorando onestamente-.

-Chiedo scusa, non volevo essere indiscreta. Mi spiego meglio: suppongo vogliate dare un’educazione come si deve, alla vostra unica bambina, giusto? Insomma, garantirle un solido futuro, magari accompagnata a un buon partito e stabilmente accasata. Diventerà di sicuro una splendida fanciulla, sarà molto ammirata, e avrà tanti pretendenti..-.

-La prego, arrivi al dunque, non capisco..- sussurrò Inge.

-Ha ragione, mia cara. Sono venuta qui per offrire un lavoro a vostra figlia-.

-Lavoro? Ma ha soltanto sei mesi!-.

-Oh, sto parlando del futuro. Sono la proprietaria del castello. Mi chiamo Madama Gothel. Sarei disposta a diventare precettore della vostra bambina non appena compirà dodici anni. Le impartirò una solida istruzione. La educherò all’arte del sapersi intrattenere con il pubblico. Diventerà un’ottima donna di rango. Una vera signora. Ho molte conoscenze nella buona società del paese, per me sarebbe una sciocchezza introdurvi anche Rapa-.

-Da..Davvero?- balbettò Inge-Davvero sarebbe disposta a fare questo?- le brillavano gli occhi. La sua bambina introdotta nell’alta società! Magari sposata a un principe! Sarebbe stato magnifico…

Wolfango era sospettoso, temeva ci fosse sotto qualcosa. Ma l’educazione della figlia prima di tutto.

-Ovviamente- proseguì la strega con aria enigmatica- tutto ciò avrebbe un prezzo-.

-Quale?-.

-Beh. La ragazzina si trasferirà al castello e non tornerà più a casa. Abiterà nella torre più alta, la più bella. Voi potrete venire a trovarla ma…-.

-Ma? …….-.

-Ma solo salendo fino in cima alla sua finestra. La ragazza lascerà crescere i suoi capelli, diventeranno lunghissimi. Calerà la sua treccia e voi vi arrampicherete. Condurrà una vita di studio e solitudine. Il sistema educativo più valido per temprarla e renderla pronta per affrontare il mondo al compimento della maggiore età-.

-Eeeeh?!! Ah ah ah, lei si è bevuta il cervello, bella mia- Wolfango le rise in faccia.

-Come osa? Villico dei miei stivali, vi sto offrendo un’occasione d’oro!-.

-Ma non possiamo rinunciare alla nostra bambina…-disse Inge tra le lacrime.

-Pensateci bene:cosa sono degli stupidi capricci di fronte al futuro della vostra bambina?- domandò la strega, gelida.

Inge e Wolfango non sapevano che fare. Pensavano all’educazione di Rapa, ma non volevano lasciarla tra le grinfie di quella donna.

- Vi darò tre giorni di tempo- concluse Madama Gothel- Tra tre giorni tornerò qui e mi darete una risposta- sentenziò.

Furono tre giorni di pianti, strepiti e tormenti. La bambina strillava e non voleva saperne di smettere. Wolfango e Inge non facevano che litigare.

Il terzo giorno, puntuale, La strega bussò.

-Sono venuta per conoscere la vostra decisione. Vi ricordo che sarà definitiva-.

Inge, malgrado il nodo alla gola, parlò.

-Abbiamo riflettuto a lungo sulla questione. In qualità di genitori, pensare la nostra bambina rinchiusa in un castello non può che arrecarci immenso dispiacere. Sapendo inoltre che la ragazzina vivrà in solitudine per dedicarsi unicamente allo studio, senza godere della compagnia dei suoi coetanei, mi sembra crudeltà gratuita-.

-Però le condizioni sono queste. Sa, ho scelto di trascorrere la mia vita in solitudine nel mio castello, dedicandomi al nutrimento dello spirito, e intendo rendere partecipi quanti più giovani sia possibile, di questo sistema di vita, che è l’unico valido per rendere migliore il peggiore dei mondi possibili-.

-Una cosa però non ci è chiara-intervenne Wolfango- Tre giorni fa aveva accennato a un lavoro. Ci aveva proposto uno scambio. L’educazione di nostra figlia in cambio di cosa? La sua solitudine forzata non è sufficiente? C’è altro che ignoriamo?-.

-Ebbene sì. Non chiedo pagamenti in denaro, so che vi metterei in difficoltà. Ciò che vi propongo è l’educazione di vostra figlia in cambio della sua solitudine e della totale dedizione. Sarà la mia dama di compagnia-.

-Questo no!-.

-Ricordatevi che sarà solo dai dodici anni fino alla maggiore età. Non per sempre-.

- Beh ecco..- mormorò Inge- Si tratta in fin dei conti della sua educazione……-.

-Ebbene la risposta è NO!- tuonò Wolfango- Non permetterò che mia figlia sfiorisca prima del tempo per colpa delle insensate, sadiche proposte di una pazza sconosciuta. Al diavolo l’educazione! Siamo persone per bene, noi, e mia figlia crescerà perfetta, e diventerà una vera signora!-.

-Bene-rispose Madama Gothel con una calma granitica- Mi avete dato la vostra risposta. Vi ricordo che non è possibile tornare indietro. L’occasione unica che vi siete lasciati sfuggire non si ripresenterà mai più-.

-Noi… Noi, ecco…- Inge era stordita. Non sapeva più cosa pensare. Aveva l’impressione che il suo piccolo mondo si fosse improvvisamente rovesciato.

Madama Gothel se ne andò.

Uscì da quella casa con animo trionfante, malgrado tutto. E un sorriso beffardo che lasciava immaginare altri più profondi, perfidi progetti.

Rapa compì dodici anni in maggio.

Era una tiepida mattina di primavera, e la ragazzina si era svegliata con il sole che batteva sul cuscino. Il suo appetito fu stuzzicato dal familiare odorino di rapa.

“Oggi è il mio compleanno. Di sicuro la mamma avrà preparato una torta di rapa…”.

La bambina balzò giù dal letto e si vestì velocemente, con l’entusiasmo della prima giovinezza, e corse giù per le scale.

I genitori la attendevano in cucina davanti a una gigantesca torta rossa di rapa, con la tavola imbandita. Dolci, dolcini e regali.

Il più bello fu uno splendido fermaglio dorato a forma di farfalla, con tante piccole pietruzze incastonate, che lo facevano brillare a ogni movimento.

Rapa aveva dei bellissimi capelli rosso fuoco, che aveva lasciato crescere fin sotto la vita, e soleva raccogliere in una lunghissima treccia. Quel fermaglio sarebbe stato perfetto.

-Auguri, Raperonzola!-.

“Grazie, mammina!” gridò entusiasta.

Erano quindi passati dodici anni.

Madama Gothel la strega insensibile, era morta. Non aveva lasciato eredi perché non ne aveva.

Il suo castello era rimasto abbandonato per qualche tempo, alimentando ancora di più le storie di fantasmi che erano proliferate in quegli anni.

Il sindaco del paese e l’assessore ai beni culturali avevano deciso di rendere il castello un edificio pubblico, e di aprirlo al pubblico, organizzando visite guidate sia diurne che notturne. Era stato nominato un custode che avrebbe gestito l’accesso ai visitatori.

Tramite una gara d’appalto, una società di ristrutturazione aveva sistemato l’edificio per renderlo agibile: era rimasto disabitato per un bel po’ e necessitava di una risistemata.

La fitta selva incolta tutt’intorno al castello fu trasformata da un’efficiente squadra di giardinieri in uno splendido giardino all’inglese.

Il fazzoletto di terra retrostante il castello, però, fu destinato alla coltivazione di rape rosse.

D’altronde, il castello prese il nome di “Castello Gothel”, un po’ banale, in realtà, ma si preferì dargli l’appellativo dell’antica proprietaria, per una sottile e atavica superstizione: sempre meglio tenere a bada la collera degli spiriti, specialmente se questi sono streghe.

Adesso Rapa dalla finestra della cucina non osservava più un cupo maniero, ma quello che sembrava un magico castello fatato.

Inutile dire che i turisti accorsero a frotte.

Erano previste visite guidate anche per scuole elementari e medie.

Compreso l’istituto di Rapa.

La professoressa di storia aveva coinvolto gli studenti in un progetto di ricerca sui castelli magici, inserendo un’inevitabile escursione a Castello Gothel.

-Allora, ragazzi, mi raccomando, domattina puntuali a scuola, e portate i panini per il pranzo!-.

Rapa era eccitatissima:-Ti rendi conto, mamma? Il castello! Quel castello!-.

Inge e Wolfango non erano affatto entusiasti dell’iniziativa, ma non avevano avuto il coraggio di precludere la gita alla figlia, vista la sua gioia incontenibile.

-Acqua in bocca sullo spiacevole episodio di cui ti abbiamo parlato, però- si raccomandò Wolfango- Non si sa mai, è sempre meglio evitare che le voci corrano-.

Due classi di ragazzi, una seconda e una terza media, accompagnati da due professoresse, giunsero all’ingresso del castello dove ad aspettarli c’erano il custode e la guida turistica.

La visita cominciò: dapprima le stanze al piano terra.

Erano stanze ampie, ariose, luminose, arredate con mobili antichi. Nella stanza dei passatempi c’era un grande camino spento.

La guida cominciò a riassumere la storia del castello e della sua proprietaria.

Al piano superiore c’erano numerose stanze da letto, con sontuosi letti a baldacchino, e tende dai tessuti pesanti.

La guida illustrava agli studenti camera per camera, soffermandosi sulla descrizione della preziosità della mobilia.

Arrivati all’ultimo piano del castello, rimase da visitare la torre più alta.

-Ragazzi, questa è la Torre. È la più alta del castello. Leggenda vuole che sia sotto l’effetto di un incantesimo. Dovete sapere che la proprietaria era una strega, Madama Gothel. Molti anni fa lanciò una maledizione su una povera famiglia che aveva rifiutato una sua proposta. Non conosciamo esattamente il motivo dell’incantesimo, né tantomeno quale sia il nesso con questa torre. Finora l’hanno visitata in molti, ma nessuno ancora si è tramutato in rospo..- scherzò l’insegnante, suscitando l’ilarità degli allievi.

-Potete dare un’occhiata- disse il custode- ma la Torre è molto piccola, la metà di una stanza normale. Ci si sta dentro a malapena in due, per cui entrerete a coppie-.

A due a due i ragazzi si introdussero nella Torre.

L’ultima coppia fu quella formata da Rapa e dall’amica Clarissa.

Rapa era stata silenziosa per tutto il tempo, consapevole di custodire un segreto importante, e di essere suo malgrado la protagonista della leggenda. Per certi versi era elettrizzante conoscere parte della storia, senza che nessuno lo sapesse. A volte però Rapa avrebbe tanto voluto confidarlo a qualcuno. Probabilmente dopo quella gita avrebbe parlato con la professoressa.

Anche se non riusciva proprio a spiegarsi di che incantesimo si trattasse, e nemmeno i genitori. Avevano vissuto in tranquillità fino ad allora, senza che accadesse nulla di insolito.

Quando Rapa entrò nella Torre rimase lievemente delusa: non era come l’aveva sempre immaginata, fiabesca, magica: era una semplice stanza-torre, senza nessuna pretesa, spoglia, fatta eccezione per uno scrittoio.

La coppia di amiche si apprestò a uscire. Per prima uscì Clarissa, piegandosi per non battere la testa. Quando Raperonzola fece per varcare la soglia la porta si chiuse immediatamente, con un tonfo, senza che nessuno avesse avuto il tempo di accorgersene.

Rapa era esterrefatta. Troppo esterrefatta per avere paura. Perché in un angolino in fondo a sé si aspettava che sarebbe successo qualcosa al suo ingresso. Però era voluta entrare ugualmente.

All’esterno tutti inorridirono. Nessuno seppe cosa dire.

-Rapa, sei lì dentro?- chiese stupidamente l’insegnante.

Il custode provò inutilmente ad aprire la porta.

Qualche allievo di terza particolarmente forzuto provò a sfondarla, ma la porta era solidissima.

-Bisogna chiamare i pompieri-concluse il custode con apprensione-Vado subito.

Rapa provò un paio di volte ad abbassare la pesante maniglia. Al terzo tentativo la porta si aprì di scatto.

Rapa sembrava in trance, ma cercò di dissimularlo.

Dopo una manciata di interminabili minuti di confusione e sbalordimento, durante i quali ciascuno tentò di motivare l’accaduto, più per rincuorare se stesso che per trovare seriamente una spiegazione, il clima di tensione si stemperò.

-Probabilmente c’è una spiegazione plausibile, alla quale sul momento non avevo pensato-disse il custode-Non è ancora stata effettuata la manutenzione della Torre. L’addetto avrebbe dovuto arrivare proprio ieri, ma si è ammalato, così ho dovuto rivolgermi a un altro manutentore che però, a causa di impegni, non potrà venire prima di lunedì-.

Giornata movimentata. Dopo il pranzo, consumato a dire la verità con fatica, ognuno tornò a casa. Rapa non dovette percorrere molta strada, dato che casa sua confinava con la parte retrostante del giardino, quella destinata alla coltivazione di rape.

La ragazza preferì tacere l’accaduto ai genitori, non volle spaventarli.

La giornata trascorse senza ulteriori sorprese, e in serata Rapa si lasciò alle spalle l’episodio.

Il mattino dopo però accadde un fatto grave.

La ragazzina si svegliò di malumore, dopo un sonno agitato, popolato da strani, indefinibili sogni.

Si alzò, fece per vestirsi, ma si rese subito conto che qualcosa non andava.

Tutte le mattine la sua cascata di capelli rossi le ricadeva sulle spalle e sul viso, ma quella volta avvertì come uno strano freddo alla testa. Istintivamente si portò una mano alla nuca e….

“Oddio”pensò Raperonzola”No…..”

Corse davanti allo specchio, inutilmente, perché tanto si era già accorta di essere completamente calva.

Un grido disperato squarciò quel mattino ancora incerto.

Wolfango e Inge si fiondarono in camera dalla figlia, giusto il tempo di vederla accasciata per terra, in lacrime. L’intero pavimento era cosparso da una massa di capelli rossi, come piante recise.

-L’incantesimo…-fu tutto quello che Wolfango riuscì a pronunciare.

Inge svenne.

Inutile soffermarsi sul tempo che trascorse immediatamente dopo quel fatto, perché sarebbe indescrivibile.

Wolfango si era fatto confezionare una parrucca con i più fini e brillanti capelli rossi, pagandola a peso d’oro. Fu difficile mantenere il segreto, perché in un piccolo paese le voci corrono, e ben presto Rapa fu riconosciuta come “la Bambina dell’Incantesimo”.

Inge e Wolfango consultarono luminari della medicina, nel disperato tentativo di guarire la loro Raperonzola.

Nessuno riuscì a venirne a capo.

Chi prescriveva unguenti, chi cure ricostituenti, chi bagni caldi alla luce della luna piena, chi polveri miracolose.

Nessun rimedio servì.

Allora i due disperati genitori si rivolsero a guaritori, sedicenti maghi e stregoni, molti dei quali si approfittarono della loro ingenuità per spillare soldi vendendo bugie.

Inge era dimagrita molto. Aveva perso ogni speranza. Wolfango cercava di resistere, sentendosi in dovere di gestire la situazione in quanto capofamiglia, ma non era facile.

Rapa non riusciva più a guardarsi allo specchio. Aveva incubi tutte le notti. Era calva, i suoi capelli non erano più ricresciuti.

Allora cominciò a indossare la parrucca anche per dormire, illudendosi che la mattina seguente si sarebbe svegliata con i suoi veri capelli.

Ma questo purtroppo non accadde.

Raperonzola aveva smesso di mangiare rape. E così Inge.

Nessuno toccava più rape.

Per qualche strana ragione, la caduta dei capelli della ragazza aveva coinciso con la mancanza di voglia di rape. In maniera spontanea, Inge aveva smesso di cucinarne, e Rapa non ne aveva più chieste.

Si consumavano altri tipi di ortaggi, pane, formaggio, le cose che di solito si mangiano, insomma.

Fu una mattina di qualche tempo dopo che Wolfango si svegliò con un’idea, all’inizio una fioca lampadina, poi invece una luce abbagliante.

Si precipitò che era ancora l’alba al mercato, a scegliere le rape più rosse, più grosse, più succose.

Tornò che Rapa e la madre erano scese per consumare una svogliata colazione.

Wolfango si mise ad armeggiare con rape e coltelli, e poco dopo presentò in tavola un enorme bicchiere di liquido rosso- violaceo.

-Succo di rapa- disse, trionfante.

-E allora?- chiese Raperonzola di malumore-L’ho sempre bevuto.

-Beh, magari se riprovi……. Magari succede qualcosa. Non so..-.

- Intendi dire che bevendo del concentrato di rapa dovrebbero ricrescermi i capelli? Guarda, ti accontento subito-.

E bevve il liquido tutto d’un fiato.

Non successe nulla.

Aspettarono minuti. Ore. Nulla accadde.

Rapa andò a dormire con la speranza, in fondo in fondo, che la sua chioma ricrescesse durante la notte.

La mattina successiva era ancora calva.

Giurò a se stessa che non avrebbe più fatto nessun tentativo. Mai più.

Cacciò indietro le lacrime con rabbia, indossò la parrucca e andò a scuola.

Nel pomeriggio, dopo i compiti, decise di farsi un bagno tonificante. Almeno quello l’avrebbe calmata.

Passò in cucina per uno spuntino e vide che in un angolo della dispensa il padre Wolfango aveva preparato ancora un po’ di succo di rapa, a sua insaputa.

“Proprio non demorde” pensò Rapa, tra sé e sé.

Entrò nella vasca d’acqua bollente e cominciò a lavarsi.

D’istinto portò la mano alla testa, come per sciacquarsi i capelli, ma poi, con stizza, gettò la spugna sul pavimento.

“Ancora non mi sono abituata”pensò.

Poi le venne in mente il beverone.

Chissà perché. Talvolta la nostra mente compie strane, curiose capriole, che quasi mai comprendiamo.

Raperonzola uscì dalla vasca, si buttò con noncuranza un telo addosso e infreddolita scese in cucina.

Aprì la dispensa e prese il bicchiere col succo di rapa.

Salì nuovamente le scale e tornò in bagno.

Tirò nuovamente acqua calda, rientrò nella vasca.

Si vergognò un po’ di quello che stava per fare, perché si sentiva come una stupidella che si appiglia alle più ridicole speranze.

Prese il bicchiere e osservò il liquido rosso al suo interno.

Versò il succo sulla testa. L’acqua nella vasca si colorò di rosso.

Passarono alcuni minuti.

Raperonzola toccò la sua testa liscia liscia, e con rabbia uscì dalla vasca, scagliando per terra il bicchiere vuoto, che si ruppe.

“Stupida. Cosa credevi?” si disse Rapa.

Quando fu nella sua stanza si chiuse a chiave e si rovesciò sul letto a piangere.

“Maledetta Madama Gothel. Maledetta, maledetta! Maledetta strega!”

Improvvisamente avvertì un lieve pizzicore alla testa.

Non ci fece caso, continuando a piangere.

Il pizzicore aumentò e diventò bruciore, ancora più intenso, ancora più fastidioso.

Rapa piangeva sempre più forte, tenendosi la testa tra le mani.

Terrorizzata, corse allo specchio e si sentì mancare.

Lucidi, setosi e rossi più di un tempo, i suoi magnifici capelli ricadevano sulle sue spalle, lunghi fino alla vita.



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