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Rapinato il regista dei The Jackal che, a sorpresa, difende Napoli dagli attacchi mediatici

Creato il 15 aprile 2014 da Vesuviolive

rapina the jackal

Napoli è una metropoli e come tutte le grandi metropoli può essere anche pericolosa, a volte fin troppo. La criminalità esiste, spesso a buon mercato, farcita dall’ignoranza e dal degrado di famiglie che per generazioni non hanno conosciuto niente di meglio che povertà, disagio sociale, mancata istruzione e nemmeno una sola opportunità di riscatto.

La nostra è una città con troppe facce e innumerevoli identità e non sempre ti mostra la sua faccia migliore. Lo sa bene questo Francesco Ebbasta, regista dei “The Jackal” che, domenica sera, ha subito un tentativo di rapina nei pressi della Stazione Centrale.

Francesco racconta sul social la  brutta domenica napoletana: «Ieri sera mi si è fermato il motorino nei pressi della stazione centrale di Napoli, avevo il cellulare rotto, e non avevo soldi (…) Quindi scendo, e inizio a spingere. E mentre spingo, citando in shuffle versi vari della bibbia, mi si avvicina un tizio in motorino» che senza pensarci due volte inizia a minacciarlo con un dialogo insensato e surreale.

T’aggia spara‘?”. Questa l’unica vera frase comprensibile ripetuta a loop dal criminale. Un’esperienza forte quella di Francesco perché, siamo sinceri, a nessuno piacerebbe sentirsi dire in piena notte “T’amma spara’ in petto, accosta!”. E ognuno di noi proverebbe la sua gran bella dose di paura.

Il suo post è stato ovviamente condiviso dal popolo di facebook e numerosi sono stati i commenti di sdegno nei confronti di Napoli e soprattutto dei napoletani, ignoranti, criminali e retrogradi. Ma a sorpresa, Francesco ha preso le difese della città con un post che, a nostro avviso, vale la pena leggere:

“In molti hanno condiviso la storia della TENTATA RAPINA A FRANCESCO EBBASTA, giornali inclusi, e la cosa mi fa riflettere un po’. (e anche un po’ imbarazza, soprattutto se penso che hanno postato una foto di me con una pistola in mano)
Mi fa riflettere pensare che probabilmente se mi avessero rapinato in Molise (non me ne voglia nessuno, ma cazzo, il Molise!) tutta quest’attenzione sarebbe stata nettamente più bassa.
Vedo gente che posta il mio stato scrivendo “vedi napoli e poi muori” o “un buon motivo per non scendere mai al sud”.
Dunque, voglio fare un test. Facciamolo insieme.

Io mi chiamo Francesco, e a Napoli ci ho fondato una società di videoproduzione, e ci lavoro ogni giorno, e ogni giorno vado a lavoro in motorino (una volta sono rimasto anche a secco, e un tizio mi ha spinto fino alla pompa di benzina successiva. Mi ha spinto, senza che io gli chiedessi niente).
A napoli mi sono innamorato, ci ho bevuto (e ci bevo) la birra rossa più buona dell’universo. A napoli ci sta il bar di Pasquale, che mi fa il caffè tutti i giorni e mi tiene un quarto d’ora a parlare di cose che fanno bene al cuore. A napoli ci sta la discesa di Capodimonte, che quando scendi verso santa teresa trasforma il panorama in una cartolina altissima, gigantesca, a tre livelli, e ognuno si muove in un senso contrario all’altro, una roba che ancora non mi spiego, e che ancora mi fa un tuffo al cuore. A napoli ci sta autogestione, sopravvivenza, saper campare, i quartieri spagnoli che organizzano autonomamente la raccolta differenziata in piena emergenza rifiuti, gli scugnizzi che ti recitano a memoria le carte dei pokemon, l’ave maria, e la formazione del Napoli. A napoli ci sta un teatro greco fuso in un teatro romano fuso nella casa di una signora, e la signora stende tutti i giorni le sue mutande lavate su un pezzo di storia, e forse nemmeno se ne fotte più di tanto, di sto fatto, perché a Napoli nessuno se ne fotte più di tanto. A napoli ci stanno tre, quattro, forse cinque-cento realtà diverse che provano a portare un po’ di musica che non sia d’Alessio, e ce ne stanno tre, quattro, forse cinque che veramente ci riescono. A napoli ci sta la signora sul ponte della sanità, che resta aperta tutta la notte col negozietto a vendere birre, con la mamma che dorme affianco.
A Napoli ci stanno pochi pub, ma ci stiamo lavorando. Ci sta la gente di piazza bellini, che prima era la gente di piazza santa maria, che prima era la gente del kestè, che prima era la gente di piazza gesù, che prima era la gente di piazza bellini. Però, insomma, sempre quelli sono, e si sta bene.
Ci sta il vecchio perditempo, e ci stanno i miei amici, il tizio del supermercato sotto l’ufficio che mi trita parmigiano e noci insieme, l’enoteca che mi sconta le bottiglie di vino e io non capisco perché cazzo me le sconta, cosa ci guadagni?
A napoli ci sta mia nonna, piazza plebiscito, i portici colorati vicino piazza Miraglia, i bar che trasmettono le partite all’aperto gratis, la sensazione di essere sempre a casa, i vecchi che si lamentano, higuain, il ristorante giapponese, il negozio di fumetti di piazza carlo terzo, (sta ancora aperto?), il lungo mare di sera, non il sabato, per l’amor del cielo, il signore che qualche settimana fa ha intrattenuto i vigili per evitare che mi facessero una multa, il casatiello, il tizio che due anni fa si incazzò con me fuori la cellar al vomero, e che prima di scattare in una rissa si scusò dicendo “sto tutto incazzato perché mazzarri ha sbagliato di nuovo i cambi”. A napoli ci sta il tramonto visto dalla vecchia casa della mia amica Antonella, che vi giuro, valeva la pena di otto piani di scale a piedi.
A Napoli ci sta pure la gente di merda, ce ne sta tanta, ma proprio tanta, ma la definizione di tanto è sempre proporzionale al tutto, e probabilmente nessuno scriverà un articolo su questo.

Con questo noi di Vesuviolive.it non vogliamo negare l’esistenza di una realtà sociale fatta di degrado, solitudine, abbandono e tanta ignoranza di cui invece siamo assolutamente consapevoli. Ci preme piuttosto salvaguardare la nostra città da insulti facili e pregiudizi capaci di condurre alla ghettizzazione di un intero popolo e alla formazione di uno stereotipo che, invece, andrebbe pian piano smantellato. Come detto in un precedente articolo: Napoli non è inferno e non è paradiso. Napoli è Napoli: contraddittoria, umana, pericolosa, affascinante, ignorante e colta. Ha tante facce, e non sempre ti presenta la sua faccia migliore.


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