1.117 chilometri. Più o meno da Reggio Calabria a Milano. Questa la lunga strada che 82.181 tir carichi di rifiuti potrebbero coprire. Una interminabile autocolonna “immaginata” sommando i quantitativi di rifiuti (2 milioni di tonnellate) sequestrati solo in 12 delle 29 inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell’ordine nel corso del 2010. Una strada impressionante eppure ancora sottostimata, perché i quantitativi sequestrati sono disponibili per meno della metà delle inchieste ma anche perché, com’è noto, viene normalmente individuata solo una parte delle merci trafficate illegalmente.
540 campi da calcio, invece, possono rendere l’idea del suolo consumato nel 2010 dall’edilizia abusiva, con 26.500 nuovi immobili stimati. Una vera e propria cittadina illegale, con 18.000 abitazioni costruite ex novo e la cementificazione di circa 540 ettari.
Bastano questi semplici esempi a illustrare la gravità del saccheggio del territorio descritto e analizzato nel rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente, presentato oggi a Roma, presso la sede del Cnel, durante una conferenza stampa che ha visto la partecipazione di Antonio Marzano (Presidente CNEL), Vittorio Cogliati Dezza (Presidente nazionale Legambiente), Enrico Fontana(Responsabile Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità – Legambiente), Alfredo Mantovano (Sottosegretario Ministero Interno), Fabio Granata (Vice Presidente Commissione Antimafia), Marcello Tocco (Coordinatore osservatorio socio-economico sulla criminalità – CNEL), Alessandro Bratti (Comm. Bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti), Paolo Russo (Presidente Comm. Agricoltura Camera dei Deputati), Roberto Della Seta (Comm. Ambiente, Senato), Cristiana Coppola (Vice Presidente Mezzogiorno Confindustria), Francesco Ferrante (Comm. Ambiente, Senato), Luca Palamara (Presidente Ass. Nazionale Magistrati).
Sono 290 i clan benimpegnati nel business dell’ecomafia censiti nel rapporto, 20 in più rispetto al 2009; 19,3 miliardi di euro invece è il giro d’affari stimato per il solo 2010. Nel complesso, la Campaniacontinua a occupare il primo posto nella classifica dell’illegalità ambientale, con 3.849 illeciti, pari al 12,5% del totale nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri, seguita dalle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa: nell’ordine Calabria, Sicilia e Puglia, dove si consuma circa il 45% dei reati ambientali denunciati dalle forze dell’ordine nel 2010. Un dato significativo ma in costante flessione rispetto agli anni precedenti, in virtù della crescita, parallela, dei reati in altre aree geografiche. Si segnala, in particolare, quella nord Occidentale, che si attesta al 12% a causa del forte incremento degli illeciti accertati in Lombardia.
“Come un virus, con diverse modalità di trasmissione e una micidiale capacità di contagio. Questa l’immagine dell’ecomafia che emerge dal rapporto 2001 – ha dichiarato Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità dell’associazione -. Un virus che avvelena l’ambiente, inquina l’economia, mette in pericolo la salute delle persone; che ha un sistema genetico locale e una straordinaria capacità di connessione su scala globale: può nascere, infatti, in provincia di Caserta o di Reggio Calabria e riprodursi a Milano, entrare in simbiosi con altre cellule in altre città europee, saldare il suo Dna con ceppi lontani, fino a Hong Kong. I fenomeni di criminalità ambientale continuano a diffondersi senza incontrare adeguate resistenze, determinando impressionanti sottrazioni di risorse naturali e gravi distorsioni dell’economia, con significativi contraccolpi sulle possibilità di crescita per le imprese virtuose. Eppure, nonostante i ripetuti allarmi, poco o nulla è stato fatto sul versante della prevenzione e degli strumenti indispensabili per prosciugare il “brodo di cultura” del virus eco mafioso, che così continua a diffondersi e moltiplicarsi approfittando di gravi sottovalutazioni, molte complicità e troppi silenzi”.
“Numerose indagini e i rapporti sull’ecomafia finora realizzati dimostrano che il business dell’ecomafia, con la sua capacità pervasiva e la possibilità di occupare stabilmente posti chiave dell’economia, si propaga e si rafforza anche grazie al coinvolgimento dei cosiddetti colletti bianchi (impiegati e quadri in ruoli chiave delle amministrazioni) e alle infiltrazioni nell’imprenditoria legale – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Fenomeno che si aggrava notevolmente nelle fasi di crisi economica e di scarsità finanziaria e che rende difficoltoso la svolgimento delle indagini e la ricerca delle responsabilità che si perdono in un percorso travagliato tra legalità e malaffare. Per porre rimedio a questa situazione, avevamo atteso con ansia il decreto col quale il governo deve recepire la Direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, inserendo finalmente i delitti ambientali nel Codice Penale. Purtroppo, ad oggi, lo schema approvato rappresenta una vera e propria ‘occasione mancata’. Si rimane, infatti, nel solco delle fattispecie contravvenzionali, senza riuscire a individuare i delitti, con l’effetto di continuare a fornire alle forze che devono indagare e reprimere armi spuntate: nessuna possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali, impossibilità delle rogatorie internazionali, tempi brevissimi di prescrizione”.
Gli illeciti accertati sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto 2009: più di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. I reati relativi al ciclo illegale di rifiuti (dalle discariche ai traffici illeciti) e a quello del cemento (dalle cave all’abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41% sul totale, seguiti dai reati contro la fauna, (19%), dagli incendi dolosi (16%), da quelli nella filiera agroalimentare (15%), mentre tutti le altre tipologie di violazioni non superano complessivamente il 6% degli illeciti accertati.
Dietro questi numeri c’è l’impegno, costante, di tutte le forze dell’ordine: il lavoro svolto in generale dal Corpo forestale dello Stato e da quelli delle regioni a statuto speciale, soprattutto per quanto riguarda il ciclo illegale del cemento; l’attività d’indagine sviluppata dal Comando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri in particolare per quanto riguarda i traffici illegali di rifiuti; l’incremento dei reati denunciati dalle Capitanerie di porto, quasi raddoppiati rispetto al 2009; l’azione della Guardia di finanza per i reati economici in campo ambientale; quella in crescita, così come i risultati, dell’Agenzia delle Dogane e in particolare dell’Ufficio antifrode contro i traffici internazionali di rifiuti e di specie protette; l’attenzione crescente della Polizia di Stato e quella diffusa sul territorio delle diverse Polizie provinciali. Attività a cui si deve aggiungere il lavoro svolto, come sempre, dal Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale e il contributo specifico, che pubblichiamo anche quest’anno, della Direzione investigativa antimafia, impegnata in particolare nell’analisi dei fenomeni d’infiltrazione dei clan nel ciclo dei rifiuti.
Il 2010 è un anno da record per le inchieste sull’unico delitto ambientale, quello contro i professionisti deltraffico illecito di veleni (art. 260 Dlgs 152/06): sono state ben 29, con l’arresto di 61 persone e la denuncia di 597 e il coinvolgimento di 76 aziende. Altre 6 inchieste di questo tipo si sono svolte nei primi quattro mesi del 2011, mentre in totale – cioè dalla sua entrata in vigore nel 2002 a oggi – sono salite a quota 183. Il fenomeno si è oramai allargato a tutto il paese, consolidandosi in strutture operative flessibili e modulari, in grado di muovere agevolmente tonnellate di veleni da un punto all’altro dello stivale. I numeri e i dati relativi alle attività d’indagine svolte sui traffici illeciti non esauriscono l’azione di contrasto dei fenomeni di smaltimento illegale. Sempre nel corso del 2010, le forze dell’ordine hanno accertato circa 6.000 illeciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa 1 reato ogni 90 minuti). La classifica a livello nazionale è guidata, anche in questo caso, dalle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (nell’ordine Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), ma cresce anche il numero di reati accertati nel Lazio e in Lombardia.
E dove ci sono rifiuti c’è sempre qualcuno che ha la sua ricetta facile di smaltimento, illegale, ovviamente. Da Ascoli Piceno a Montenero di Bisaccia, da Brescia a Reggio Emilia, da Palermo a Cuneo, da Chieri a Teramo, il copione svelato dagli investigatori è sempre lo stesso. Si fanno carte false e si spediscono lungo le rotte illegali, che possono anche essere marine e spingersi fino in Cina. Dai porti di Venezia, Napoli, Gioia Tauro, Genova ma anche Cagliari, dove i carabinieri la scorsa estate hanno scoperto una organizzazione che spediva carichi di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) verso Cina, Malesia, Pakistan, Nigeria, Congo. L’Agenzia delle Dogane ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti (art. 259 Dlgs 152/06) e sequestrato nei porti italiani ben 11.400 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, il 54% in più rispetto al 2009.Il 60% di questi diretti in Cina, il 12% in Corea del Sud, il 10% in India, il 4% in Malesia e così via.
Per quanto riguarda il ciclo del cemento, nel 2010 sono stati accertati 6.922 illeciti, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. La Calabria è la prima regione come numero d’infrazioni (945) seguita dalla Campania, dove si registra il maggior numero di persone denunciate (1.586) e dal Lazio. Secondo le stime del Cresme, nel 2010 sono stati 26.500 i casi gravi di abusivismo, tra nuove costruzioni (18.000), ampliamenti e cambiamenti di destinazioni d’uso. E, come se non bastasse, si continua a costruire abusivamente e fuori controllo in un territorio ad alto rischio idrogeologico. Sempre la Calabria, regione con il 100% dei comuni interessati da aree a rischio idrogeologico solcata da torrenti e fiumare, nulla ferma l’avanzata del cemento abusivo. Lungo la costa è accertato un abuso ogni 100 metri, 5.210 in tutta la Regione e 2.000 nella sola Provincia di Reggio Calabria. La Campania dal 1950 al 2008 è stata fra le regioni più colpite da eventi franosi, piangendo anche 431 vittime, e da inondazioni con 211 vittime (Fonte: Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche Cnr-Irpi). Ebbene, in un così fragile territorio in soli dieci anni sono state realizzate 60.000 case abusive, 6.000 ogni anno, 16 al giorno.
Anche le frodi alimentari sono state al centro dell’intenso lavoro di tutte le forze dell’ordine, in particolare del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute e del Nucleo Agroalimentare e Forestale del Corpo forestale dello Stato. Nel 2010 sono state 4.520 le infrazioni accertate nel settore, 2.557 le denunce e 47 gli arresti; mentre il valore dei sequestri ha raggiunto una cifra che supera i 756 milioni di euro. Il maggior numero di reati è stato riscontrato nel settore delle carni e allevamenti (1.244), della ristorazione (1.095) e dei prodotti alimentari vari. Le strutture chiuse e sequestrate sono state 1.323 con il sequestro di quasi 24 milioni di chili/litri di merci. Secondo la Cia il fatturato si aggira intorno ai 7,5 miliardi di euro.
In questo rapporto viene stimato, dal Comando carabinieri tutela patrimonio culturale, anche il business dell’arte rubata: il valore di opere e reperti recuperati ammonta, solo nel 2010, a più di 216 milioni di euro. In leggera flessione il numero di furti (983, l’anno prima erano stati 1.093), quasi 3 al giorno, ma cresce in maniera esponenziale il numero di oggetti trafugati: 20.320 lo scorso anno, erano 13.219 nel 2009. Nel totale ci sono state 1.237 persone indagate e 52 arresti. Da segnalare anche i furti nel settore dei libri, documenti antichi e beni archivistici di rilevante interesse storico-culturale, a danno di istituti, enti e biblioteche pubbliche e private dove spesso gli ammanchi sono ignorati a causa della incompleta catalogazione dei testi, della estrema facilità di trasporto e parcellizzazione dei beni sottratti. Nel 2010 il numero di documenti e libri denunciati come sottratti è stato nettamente superiore a quello registrato nel 2009 (11.712 a fronte di 3.713). Da sottolineare gli ottimi risultati investigativi in fatto di recupero di oggetti d’arte: nel 2010 la cifra sale a quota 84.869, dei quali 79.260 provenienti direttamente da furti.
Sempre nell’ultimo anno le forze dell’ordine hanno accertato 5.835 reati commessi contro la fauna, quasi 16 al giorno: +13,2% rispetto al 2009 per un business che ogni anno si aggira intorno ai 3 miliardi di euro ed è sempre più globalizzato. Secondo il Corpo Forestale dello Stato, la stragrande maggioranza degli accertamenti, oltre 39.000, è avvenuta in ambito doganale a causa dell’espansione globale dei mercati orientali (a partire da quello cinese) con un volume d’affari di specie animali e vegetali e di prodotti lavorati che supera ormai, a livello mondiale, i 100 miliardi di euro all’anno.
A concludere affari con l’ecomafia è spesso un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi. Ampia disponibilità di denaro liquido da una parte, competenze professionali e società di copertura dall’altra hanno trovato nel business ambientale una perfetta quadratura. I ‘Sistemi criminali’ (dalla definizione del magistrato Roberto Scarpinato) sono la sintesi migliore per capire l’ecomafia di oggi. I ‘Sistemi criminali’, sono network illegali complessi dei quali fanno parte soggetti appartenenti a mondi diversi: politici, imprenditori, professionisti, mafiosi tradizionali. Il ‘sistema nervoso’ che mette in comunicazione tra loro tutti i soggetti è costituito dai cosiddetti colletti bianchi, persone con un curriculum di rispettabilità, sociale ed economica. Senza il loro concorso, molti affari illegali non si potrebbero neppure immaginare. È in questo ‘Sistema’ che il virus si modifica, cambia strategia di diffusione, cerca di diventare invisibile agli anticorpi.
Ecomafia 2011. Le storie e i numeri della criminalità ambientale
a cura dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente