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Rashomon a Perugia

Creato il 07 ottobre 2011 da Dailyblog.it @daily_blog

Di Gianni Pardo il 6 ottobre | ore 08 : 34 AM


Tanti anni fa il Giappone sorprese l’Europa con un film che ebbe un indimenticabile successo. Si intitolava “Rashomon” e raccontava la storia di un delitto rispetto al quale fornivano indicazioni diverse parecchi personaggi, in particolare l’accusato, la moglie della vittima e perfino il morto, evocato magicamente.
Questo film a torna in mente in Italia dove tanta parte del pubblico (e delle televisioni) segue con passione i casi criminali che la colpiscono. Ne discute instancabilmente quando sono appena avvenuti e poi durante le indagini, durante il processo, dopo la sentenza, mente si aspetta l’appello, dopo la sentenza di appello, chiamando alla fine i protagonisti per nome e credendo di essersi fatta un’opinione molto fondata: è bastato ascoltare i dibattiti. L’ideale di ognuno è quello di arrivare in breve tempo ad una rocciosa convinzione – innocentista o colpevolista – per poterla poi ribadire in ogni occasione e trionfare se la vicenda si conclude nel senso desiderato, o stramaledire i giudici e la loro imbecillità se le cose vanno diversamente.
Naturalmente questi tifosi non hanno mai letto un fascicolo giudiziario, non hanno mai seguito un processo in aula dal principio alla fine (come sono costretti a fare i giudici e gli avvocati) non hanno mai studiato una sentenza. Non conoscono la complessità e, a volte, l’opinabilità dei fatti; non hanno idea delle distinzioni giuridiche che impongono; non hanno sofferto il contrasto a volte sapiente tra le tesi dell’accusa e della difesa. E tuttavia, diversamente dagli avvocati, che di queste cose hanno esperienza diretta, sono assolutamente convinti di due cose:
1) la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato è sempre chiara come il sole.
2) I magistrati, se sono in buona fede, non possono che arrivare alla conclusione da loro prevista. E se non ci arrivano è perché sono cretini, hanno antipatia (o simpatia) per l’accusato o vogliono fare cosa utile ad una parte politica contro l’altra.
L’errore di questa posizione è evidente. Non è affatto vero che l’innocenza o la colpevolezza siano sempre chiare. Soprattutto nei processi indiziari. Non è affatto vero che si possa arrivare ad una sola conclusione e soprattutto si può essere lacerati dal dubbio di condannare un innocente o permettere a un furfante di farla franca.
Dopo una condanna o dopo un’assoluzione clamorosa, i commenti acidi nei confronti dei magistrati nascono dal pregiudizio della loro infallibilità. I professionisti del ramo sanno che essi sono perfettamente umani ed hanno tante possibilità di sbagliare quanto gli altri. E per questo non si fanno illusioni. I profani invece li credono dotati di superiori poteri di fare giustizia. Se Piero Calamandrei ha potuto dire che, accusato di avere rubato la Torre di Pisa, si sarebbe dato alla latitanza, non è perché pensasse che tutti i magistrati fossero degli imbecilli o ce l’avessero personalmente con lui ma perché, conoscendo da vicino la macchina della giustizia, sapeva che il miglior modo di evitare una condanna non è essere innocenti, è non subire il processo.
Questo spiega il modo in cui i penalisti parlano dei grandi casi giudiziari ai quali non sono personalmente interessati. Il loro atteggiamento è prudente durante il procedimento (“Non ho letto le carte”, dicono) e di disincantato fatalismo quando si arriva alla sentenza. Troppe volte hanno visto condannare un loro cliente che essi ritenevano innocente – magari per autosuggestione, chissà – o assolvere un cliente proprio o altrui che ritenevano un fior di mascalzone. Già normalmente per loro le sentenze sono delle sorprese.
L’interesse della gente per i casi giudiziari nasce dal pregiudizio che essi siano simili ai film polizieschi: la trama è intricata ma immancabilmente, prima della parola fine, si scopre il colpevole. Un colpevole indubbio che per giunta, per tranquillizzare ancor di più lo spettatore, spesso confessa. Nella realtà il dubbio accompagna la maggior parte dei processi, se non per il fatto al centro del caso almeno per la qualificazione del reato e per le circostanze attenuanti o aggravanti da ravvisare.
Solo i telespettatori hanno le idee chiarissime e dormono benissimo. I presidenti di Corte d’Assise soffrono d’insonnia.
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