«In quei territori che hanno un'impronta fortemente religiosa c'è il rischio che si consumi una sorta di grande abuso, cioè che la criminalità organizzata possa strumentalizzare una struttura fondamentale come la religione per finalità antitetiche ad essa.
All'incontro, moderato dal vaticanista del Tg2, Enzo Romeo, hanno partecipato anche Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, e Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che sono intervenuti dopo i saluti del rettore dell'università di Catanzaro, Aldo Quattrone, e dell'arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone.
«Bisogna distinguere - ha detto Ravasi - la fede dalla religione: la prima è il punto più alto della passione umana, è ricerca del senso ultimo dell'esistenza e della trascendenza. La religione, invece, è una sorta di comportamento globale e sociale, ma che può essere, in una forma completamente distorta, privo di fede, una sorta di involucro vuoto. Così si spiega la falsa religiosità dei mafiosi, marcata con altarini e processioni, manifestazione che potremmo derubricare a vuota superstizione».
Ravasi ha parlato anche del rapporto tra fede e opere e dell'impegno sociale dei credenti. «Laddove c'è corruzione e falsa religiosità - ha detto - il vero credente deve mettersi in moto e adoperarsi per trasformare la sua fede in impegno etico e sociale. Non si può tacere limitandosi alla preghiera per chi sbaglia, non è questa l'autentica unione tra fede e religione: il credente deve entrare nella società e combattere le strutture di peccato del mondo».