Si fa presto a dire “razzista”. È un concetto vago, del quale spesso l’ipocrita o il superficiale abusa. Oggi porsi il problema dell’immigrazione equivale a stamparsi in fronte il marchio del razzista e a stampartelo sono proprio quei benpensanti che poi, al primo disordine, invocano rimedi e pene esemplari. Negare il problema equivale a gettare le basi perché esso diventi più grave, ma è molto più facile trincerarsi dietro un finto buonismo che rischiare di essere etichettati a nostra volta come razzisti.
Eppure il problema c’è ed è preoccupante. La massiccia immigrazione degli anni passati ha fatto sì che oggi vi siano numerosissimi extracomunitari in Italia. Se questo era tutt’altro che un problema fino a qualche anno fa, ora la crisi economica e sociale che stiamo vivendo ha invertito il processo. La situazione è dura per tutti ma gli Italiani sono più strutturati: hanno famiglie consolidate, capitali, reti di amicizie e conoscenze che aiutano a superare questi momenti difficili. L’extracomunitario non ha nulla di tutto ciò.
Alcuni sono riusciti ad integrarsi, hanno comprato la casa in cui vivono e si sono inseriti nella società. Questi probabilmente potranno affrontare la crisi come gli Italiani o quasi. Ma ve ne sono tantissimi che questo processo di integrazione non l’hanno seguito, vuoi perché arrivati troppo recentemente vuoi perché esiste anche il razzismo dall’altro lato. Qui si crea il problema.
Difficoltà economiche, degrado sociale, alienazione, tutto questo può portare – e lo vediamo, purtroppo, spesso sulle cronache – ad episodi di microcriminalità e teppismo che possono degenerare il qualcosa di molto più grave. In particolare gli immigrati di seconda generazione appaiono spesso disadattati rispetto ai propri coetanei italiani e fanno fatica ad inserirsi in contesti definibili normali.
A tutto questo bisogna porre rimedio con urgenza, e non lo si può certo fare con l’assistenzialismo fine a se stesso. È necessario creare occasioni di incontro e scambio culturale, anche tramite l’uso di mediatori e assistenti sociali. Bisogna evitare situazioni di ghettizzazione e alienazione. Bisogna intervenire sulle giovani generazioni perché si integrino nella società attraverso la scuola e il tempo libero. E bisogna porre particolare attenzione alle situazioni di degrado dove serve controllo e repressione dei comportamenti pericolosi. Occorre, quindi, un intervento ad ampio raggio. In tutto questo l’assistenzialismo economico serve a poco o niente, anzi: può diventare controproducente.
Luca Craia