RE DELLA TERRA SELVAGGIA
di Benh Zeitlin
con Quvenzhané Wallis, Dwight Henry, Gina Montana
Recensione di Ornella Sgroi
È proprio una folgorazione, questo piccolo e prezioso film, indipendente e a bassissimo costo. In cui il Re della terra selvaggia è una bambina di sei anni (Quvenzhané Wallis) che ci mostra attraverso il suo sguardo le coordinate dell’esistenza, a mano a mano che ne fa esperienza. In una terra inospitale, umida e paludosa, che la piccola Hushpuppy descrive come la “grande vasca”e che è poi il Sud della Louisiana, devastato da uragani e continue inondazioni. Un luogo che il regista esordiente Benh Zeitlin, trentenne newyorkese a capo di un collettivo di artisti (il Court13) costituito nel 2004 con i compagni di college, conosce bene, essendosi trasferito a New Orleans dopo la tragedia dell’uragano Katrina del 2005 per documentare con la macchina da presa la distruzione che ha lasciato dietro di sé.
La sua esperienza di documentarista e la sua vocazione per il surreale, esplorato già con diversi cortometraggi, sono la cifra stilistica originale e potente di questo primo lungometraggio che gli è valso ben quattro nomination ai prossimi Oscar: miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista (peraltro la più giovane mai candidata nella storia dei Premi), miglior sceneggiatura non originale (tratta da una pièce teatrale). Un vero record per una pellicola di “outsider”.
Ma allo stile, Re della terra selvaggia aggiunge un elemento imprescindibile. Almeno per un film di questo tipo. Vale a dire il cuore, il cui battito si sintonizza da subito – in un’emozionante sequenza iniziale già piena di ispirazione – con quello della giovane protagonista e degli animali che vivono con lei e con suo padre Wink. Tutti parte di un’unica comunità, quella delle “bestie del selvaggio sud” (Beasts of the Southern Wild è il titolo originale), bianchi e neri, adulti e bambini, ubriaconi e maghe, uomini e animali, cui si aggiungono immense creature preistoriche frutto dell’immaginazione e delle paure di Hushpuppy, il cui sguardo infantile ma coraggioso diventa nelle mani del regista il filtro attraverso il quale sfumare l’aspetto doloroso del film con i toni del realismo magico. Usato con sapiente equilibrio e con grande commozione, come nei momenti di solitudine che Hushpuppy affronta disegnandosi i genitori con un pezzo di carbone. Mentre documenta la sua storia per gli scienziati del prossimo millennio, chiamati a studiare il fenomeno della grande vasca e di coloro che vi hanno abitato, tanto radicati alla propria terra da non volersene separare neanche di fronte ad un’evidente invivibilità.
È un profondo e caparbio senso di appartenenza (e di sopravvivenza) che segna il sentimento del film, ambientato in un Sud che potrebbe essere un qualunque Sud del mondo. Povero, degradato, senza futuro, ma pur sempre “casa”, che chi c’è nato e cresciuto non vuole abbandonare neanche quando dovrebbe. Un non-luogo in cui, nel confronto/scontro con l’uomo, convergono tutte le forze della natura per segnare l’inizio e la fine, in un modo che il regista sublima sfocando il confine tra varie interpretazioni possibili. Tanto da non poter stabilire con certezza se la fine del mondo scatenata da una Natura rabbiosa sia causa o effetto della malattia di Wink, da cui dipende senza dubbio il crollo dell’intero universo per la sua intrepida Hushpuppy. Protagonista assoluta di un’avventura epica e potente, in cui l’immagine – esaltata dalle musiche di Dan Romer e dello stesso regista Benh Zeitlin – fanno di questo “piccolo” film (distribuito in Italia in sole 26 copie) un’esperienza grandiosa, poetica e folgorante.
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri
Il trailer del film