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Reading da "Gli arraffa terre.Il coinvolgimento italiano nel business del land grab"- Re:Common

Creato il 14 settembre 2012 da Marianna06

Copertina-land-grab

 

“Il punto resta quello di mantenere una ferma opposizione ad ogni forma di accaparramento di terra, che espropria le comunità locali del diritto di gestire le risorse naturali grazie alle quali sopravvivono, non di modificare il modo in cui questo avviene, al fine(a detta degli accaparratori) di renderlo più accettabile, sostenibile, trasparente. Si tratta di una vera e propria trappola, da cui occorre guardarsi, così come è necessario decostruire l’associazione impropria tra acquisizione di terra e investimento agricolo".

"Il land grabbing non è sinonimo d’investimento. E’ la stessa Banca Mondiale a confermarlo: circa l’80% delle acquisizioni globali di terra, annunciate negli ultimi anni, non sono al momento produttive e molte potrebbero non esserlo mai”.(pp.34-35)

 

  dal  Rapporto 2012 di Re: Common- pagine 36- a cura di Giulia Franchi e Luca Manes.

 

Antonio Tricarico, sempre  di Re: Common, precisa ancora: Il land grab cui assistiamo su scala globale s’inquadra perfettamente nell’idea di green economy, passata al summit sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro (20-22 giugno), che assoggetta la natura alle logiche del mercato e non mette minimamente in discussione un modello di sviluppo che continua a produrre sempre maggiore povertà diffusa e distruzione ambientale.

Per noi  che auspichiamo la salvaguardia del creato, uomo incluso, nonché giustizia distributiva per tutti, il Rapporto in questione è  il caso di dire che  costituisce un "segnale"  davvero molto forte.

 

E  quali sono, allora, le imprese italiane (l'Italia per altro  è seconda in questa pratica, in Europa, dopo il Regno Unito) che effettuano  il “land grabbing”?

 

Nel Rapporto "Re:Common" è scritto che abbiamo, ad esempio, in Africa, la Fri- el Green Power  di Bolzano con 30mila ettari in Etiopia, pagati 2,5 euro l’ettaro, con un contratto di una durata di 70 anni,terreni che dovrebbero produrre, su coltura intensiva, olio di palma destinato ad usi industriali (probabilmentealimentazione della centrale termoelettrica di Acerra).

Segue l’Avia, società del biellese, attiva nel settore tessile, che dal 2008, in Mozambico, ha costituito una joint venture con imprenditori locali per una filiera completa di 10 mila ettari per la coltivazione della jatropha, pianta tipica, con una spesa di 16 milioni di euro.

E, ancora in Africa, c’è il Senegal, che non si sottrae alla stessa cupidigia d'imprenditori stranieri con il beneplacito della classe politica locale.

Mentre la trevigiana Benetton è attiva in America del Sud,esattamente nella Patagonia argentina.

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

  


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