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Realtà e finzione: la forza di Lizzani

Creato il 18 maggio 2012 da Emeraldforest @EmeraldForest2

 

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Realtà e finzione: la forza di Lizzani

Con Banditi a Milano (1968) quel grande e instancabile artigiano del cinema, che è Lizzani, ci ha regalato un altro asciutto e perspicace affresco di realismo cinematografico. Questa volta sono il grande Gian Maria Volontè, nel ruolo del criminale Piero, e il mitico Tomas Milian, nel ruolo del commissario Basevi, a interpretare i due opposti poli di attrazione, entrambi carismatici, attorno ai quali si dispiegano le vicende della celebre banda Cavallero, che insanguinò realmente le vie di Milano nel 1967 nel corso di numerose rapine. Carlo Lizzani ebbe quindi il coraggio di mettere in scena fatti di veramente scottante attualità all’epoca, ma soprattutto dimostrò la capacità di fare ciò attraverso uno sguardo sempre vigile, oggettivo e privo di qualsiasi tendenziosità. Nessuna esaltazione è ammessa nel cinema di Lizzani, specialmente se confrontato con gli attuali “Romanzi criminali”: nessun mito, nessun buono o cattivo, ma solo l’evidenza dei fatti. Finzione e documentario si fondono in un solo linguaggio. Le scene d’azione non sono gratuite o costruite, ma sono d’azione perché sono state “azioni” vere a scatenarle nella realtà. Ciò che ci sembra cinema di genere è invece accaduto davvero perché i fatti superarono la finzione. Quindi la macchina cinema di Lizzani assume due funzioni: quella di intrattenere con delle sequenze degne di un poliziesco americano, tra inseguimenti e sparatorie, e quella di raccontare ciò che successe documentandolo con la finzione cinematografica. Il genere poliziottesco anni Settanta deve molto a questo film, pur non possedendone la stessa forza proprio perché verrà a mancare la forza della realtà. Per non parlare della sagacia con cui Lizzani pedina le vittime della sparatoria finale mostrandone l’innocenza e di-mostrando l’assurdità della violenza stessa.



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