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Titolo: Suite Francese Autrice: Irène Némirovsky Editore: Garzanti Numero di pagine: 415 Prezzo: € 4,90 Sinossi: "Suite francese", pubblicato postumo nel 2004, è l'ultimo romanzo di Irène Némirovsky. Scritto agli albori del secondo conflitto mondiale a Issy-l'Évèque, in Borgogna, è un affresco spietato, composto quasi in diretta, della disfatta francese e dell'occupazione tedesca, in cui le tragedie della Storia si intrecciano alla vita quotidiana e ai destini individuali. È un caleidoscopio di comportamenti condizionati dalle aberrazioni della guerra, dalla paura, dal sordido egoismo, dalla viltà, dall'indifferenza, dagli istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dall'ordinaria crudeltà, dall'ansia di amore. È il racconto della passione, ambigua e tormentata, che nasce tra una giovane donna il cui marito è disperso al fronte e un ufficiale tedesco. Con lucida indignazione ma anche con pietà, Némirovsky mette a nudo le dinamiche profonde dell'esistenza umana di fronte alle prove estreme e scrive un insperato capolavoro della letteratura del Novecento. La mia recensione Ho un'immagine che non riesco a togliermi dalla testa. La Némirovsky sopresa dai tedeschi mentre, seduta alla sua scrivania, con la stella a cinque punte cucita sul petto, pensava ai movimenti conclusivi della sua lunga suite francese. Un poema sinfonico in cinque atti, di fughe disperate e furtiva dolcezza e poi boh. Appunti sparsi, indecifrabili, che forse comprendevano altre trame, altro amore; finalmente la pace. Volano dalla finestra, in una nevicata di fogli bianchi, e lei viaggia su un treno che non torna indietro e non vola. Magari anche allora aveva continuato a pensare ai suoi figli e ai suoi personaggi. Ma non ci si ferma davanti all'odio, all'incompiuto, e quell'opera a metà – decenni e decenni dopo – è stata pubblicata postuma. Prima delle aste tra editori e della conquista delle librerie era già un classico. All'inizio troppo piccolo per apprezzarlo, poi - nell'età della ragione – incerto su come parlarne, l'ho inserito nella lista dei desideri sicuro che lì, in tutta franchezza, se ne sarebbe stato: mi fanno paura le promesse di capolavori, il senso d'infinito che un punto mancato sa dare, le pagine vuote. Le melodie che si interrompono perché hanno sparato sul pianista. Quindi, il sangue sugli spartiti. Suite Francese era incompleto, ma in che senso? Complice la trasposizione cinematografica, accolta senza particolari clamori e con tanta commozione, sono fioccate ristampe in economica e nuove recensioni. Gli occhi puntati sul racconto, in parte una storia d'amore, e solo alla fine sul dramma dell'autrice. Irène Némirovsky avrebbe voluto così, che fosse ricordata attraverso una storia. L'ultima. E recentemente, coi trailer in tivù e i paragoni, mi sono accorto di come Suite Francese non stesse tutto lì, nel pensiero cupo della deportazione, ma fosse un romanzo vero e proprio; un testamento spirituale e narrativa insieme. Per gli indecisi cronici, sappiate che Suite Francese si lascia leggere con impensata velocità, amare e all'evenienza – ma non è il mio caso - criticare. Non ci sono pensieri e reazioni fuori luogo; va bene tutto. Diverso da come lo immaginavo, da molti custodito su una specie di altarino con ceri e incensi, è aperto, e aperto alle chiacchiere, alle critiche, alle confutazioni di lettori medi. Che leggono tanto, i classici a tratti li temono e, capaci di sostenere pazientemente i ritmi lenti dei capitoli introduttivi, non siano per forza dotati di puzza sotto il naso e gusto sopraffino. Il romanzo è per tutti e, alla reverenza iniziale, a quello sfogliare le pagine pianissimo che è un po' come camminare sulle punte, vanno sostituendosi un interesse vero e un'immediatezza che, al contrario del libro stesso, invece non è da tutti. Le autrici di oggi si danno arie da gran dame in melodrammi guerreschi che, con uno stile infiocchettato che sembra soltanto lento e pacchiano, ambirebbero alla serietà e invece conquistano scaffali con tutte le sfumature del rosa.
Chiamasi polpettoni, quei romanzi: studiati nel dettaglio, fiutano lo strazio, il profumo delle lacrime, la possibilità facile di farsi cinema. Ogni tanto mi piacciono, ma Suite Francese per fortuna è diverso. Semplice, quotidiano e un filino ironico, perché la Nèmirvosky – persona che ci sarebbe piaciuta molto – rideva tra se e se anche allora, coi soldati armati sotto casa e gli sguardi sdegnati dei suoi concittadini. Il tipo di donna che, come quella di cui canta Hozier, sghignazza in chiesa e ride ai funerali. Avrei dovuto saperlo, avendo letto anni fa un suo racconto, Il ballo; aspettarmi perciò descrizioni evocative, splendide, di quelle che non si trovano più, e l'umorismo inopportuno ma irresistibile che ogni tanto rimproverano anche a me. La Némirovsky disprezzava più il borghese del nemico tedesco, si fidava meno del vicino di casa che del giovane invasore che sbucciava un'arancia, un mandarino, e con un sorriso buono offriva spicchi succosi ai bambini. Questa guerra vissuta nelle campagne e nei borghi delle cartoline scoppia col caldo e le bombe, mentre i ricchi si riversano per strada con gli abiti dei giorni di festa e i gioielli cuciti nelle tasche – confidando nel potere del denaro, che trova la sua kryptonite in una miseria che non guarda in faccia nessuno – e i poveri sperano, nelle casupole di paglia che il soffio del lupo fa crollare. Il Suite Francese che leggiamo noi, sprovvisto dei tre movimenti conclusivi, è piccolo ma contiene due volumi.
Nel primo, quello che si muove piano piano, l'autrice – in terza persona – salta da un punto di vista all'altro, seguendo personaggi che in molti casi non troveremo andando avanti e scappano per mettere tutti i chilometri possibili tra loro e il fulcro dell'uragano. Inizia la guerra. La combattono i figli e i mariti, i giovani, con città abitate solo da donne e codardi radical chic che si barricano nell'ozio letterario. La signora Péricand che ricorda il servizio di piatti buono e scorda a casa il suocero; l'intellettuale Gabriel Corte derubato di un paniere pagato un capitale; i pacati coniugi Michaud e il loro figlio sfortunato che sopravvive al conflitto ma non alle insidie dell'adolescenza; la timida signorina Labarie che si è innamorata del suo ospite, un soldato ferito, e prega che il marito disperso non bussi alla porta tanto presto. Il secondo movimento, Dolce, è la quiete dopo la tempesta. Ma il vento si è fermato in città, il tifone indossa la divisa di un altro colore e in quella pace fasulla, al tramonto dell'Armistizio, francesi e tedeschi siedono alla stessa mensa. Inconciliabili come la pioggia e il fuoco, coinquilini per forza, tra un silenzio che riempie e la musica del pianoforte, scoppia con discrezione la passione tra Lucile Angellier e il tenente Bruno von Falk. Lei misura le parole, sorvegliata da una suocera gelida, ma bastano ottantotto tasti e lui riesce a mettere in musica la guerra che ha visto. Sono significativi e si lasciano leggere in un soffio, loro, ma non perché al centro della più grande storia d'amore mai raccontata che le fascette promozionali annunciano - si danno per sempre del lei, si scambiano appena un bacio, ma diventano esempio di una concordia che ancora non esiste, svariate generazioni dopo, ma per chi la desidera forte appare comunque a portata di mano. La Nèmirovsky riconosce con pietà e compassione l'umanità degli stessi uomini che un giorno l'avrebbero uccisa e, se anche avesse potuto, sfuggita agli orrori di Auschwitz, non sarebbe ritornata sui suoi passi. Avrebbe ugualmente ignorato l'accento straniero; riportato la galanteria e la delicatezza di chi obbediva all'ordine di essere cattivo; descritto quei giovani abbronzati e biondi che avevano fatto innamorare anche mia nonna, che al tempo era appena bambina; perdonato. Questione di prospettive e punti di vista, e lei sa mostrarceli tutti. Una vinta tra tanti racconta i vincitori, con la leggerezza di chi guarda le cose dalla giusta distanza e non mette chincaglierie a nascondere le crepe delle nostre contraddizioni e i fiori della loro indulgenza.
“Lo sappiamo che l'essere umano è complesso, molteplice, diviso, sorprendente, ma ci vuole un tempo di guerra o di grandi rivolgimenti per scoprirlo. E' lo spettacolo più appassionante e terribile. Non possiamo illuderci di conoscere il mare senza averlo visto nella tempesta come nella calma. Solo chi ha osservato gli uomini e le donne in un tempo come questo, li conosce. Solo lui conosce sé stesso.” Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Patrick Doyle – Kissing in the Rain
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