American Hustle – L’apparenza inganna di David O. Russell è carino ma, nulla di più.
C’è una trama che segue un po’ la procedura della preparazione del thé: una fase di bollizione (la più noiosa e lunga), l’inserimento di una bustina (attenzione a non romperla che poi se si spacca son casini e il thé è da buttare), l’inserimento dello zucchero e del limone (dosandoli mi raccomando)… Ma a tratti, degustandolo, sembra manchi proprio di zucchero… che proprio non si trova. Supermercato chiuso? Siete fregati! Non l’ha messo il regista e neppure il suo co-sceneggiatore Eric Warren Singer sulla tavola. Ve lo dovete bere così questo thé! Eppure, da un film che è incentrato sulla reale operazione anti-corruzione governativa Abscam, pareva che gli ingredienti ci fossero tutti… e invece!!!
Insomma, per farvi capire meglio cosa sto cercando di dire: questo film non ha STILE! David O. Russell è un buon regista (con un pessimo carattere) ma sopravvalutato e privo di qualsiasi stile dietro la macchina da presa… Qualcuno glielo dica che non bastano ottimo cast, buoni vestiti, scenografie ok e tutto il resto, per fare un buon film da Oscar: ci vuole l’anima del regista infusa dentro la pellicola. In caso contrario, il film è puramente commerciale. Come le patatine fritte.
Poi abbiamo le attrici. Entrambe sexy come due lingerie intime semitrasparenti. Le trovi a tette scoperte e sempre ben truccate. Due buone caratterizzazioni, convincenti nel loro genere psicologico (oggi sono forbito) e sulle quali chiunque vorrebbe arrivarci ma, proprio non può perché loro non te lo permetteranno (pure poetico con ‘ste metafore). Ma tu ovviamente, come tutti i protagonisti del film, ci provi. Hanno vestiti che lasciano trasparire tutto quello che hanno sul davanti e tu vorresti solo affondarci dentro la faccia. Rendo l’idea?
Ma Amy Adams è meno intensa di Jennifer Lawrence che, con un ruolo minore, è il berrettino col pon pon di questo film. Una moglie scontenta con la faccia da Wendy di Peter Pan e il nervosismo isterico e folle di Karen Walker di Will & Grace dopo la prima sbronza mattutina.
La scena in cui pulisce, balla e canta Live and Let Die merita l’Oscar. Mi hai sentito Academy?!? Per un ruolo del genere dovevi darle la statuetta, non regalargliela per Il lato positivo! Academy sucks.
Ma veniamo al punto. Christian Bale e Bradley Cooper. Grandi. A un certo punto, si apre una porta e compaiono loro che sono la cosa più bella che un critico cinematografico che apprezza la buona recitazione abbia mai incontrato in anni di visioni filmiche di qua e di là (per intenderci, è come se a Renzi dicessero “Stai facendo un buon lavoro”… ecco, lo stato d’animo di Renzi sarebbe lo stesso mio). Due gioielli di performances di cui sospettavo l’esistenza trovando il primo impanzonito e il secondo arricciato. E preciso che sapevo fin dall’inizio che erano due bravi attori ma, trovare l’ennesima conferma trovandoseli davanti è una cosa che ti farà tifare per loro sempre e a lungo. Sto parlando del primo che veste i panni del truffatore con toupet Irving Rosenfeld e del secondo che invece è l’ambizioso agente dell’FBI Richie DiMaso.
Il film è tutto qui.
Dunque, mi costringo da solo a risparmiarvi i dettagli per concentrarmi sul freddo motivo per cui non prenderanno l’Oscar.
Innanzitutto, sono due ruoli in modalità commedia e normalmente chi vota l’Oscar preferisce premiare il dramma, causando anche danni irreparabili a interpretazioni primarie e secondarie (la lista è lunga ma non sfidatemi perché vi potrei fare nomi e nomi) che, al di là della loro funzione narrativamente meccanica di sostegno e riempimento, avevano incantato gli spettatori e i critici, anche con una sola scena della durata di due minuti che però nella tua mente rivedi in loop per ore. Vedasi l’effetto Jennifer Lawrence in questo stesso film (e i pensieri tipo “Ecco, è magnifica!” che si accavallano ricorrentemente negli istanti di visione…).
Secondo motivo, con buona pace dell’Academy forse, quest’anno l’Oscar si fermerà nelle mani di Leonardo Di Caprio, finalmente uscito dalla sua comfort zone composta da una recitazione salvaspazio, all’interno della quale, nel bene o nel male (come io e Andrea abbiamo più volte sottolineato), non era Leonardo Di Caprio che interpretava un ruolo, ma semplicemente un Leonardo Di Caprio con dei vestiti diversi addosso. Per farla breve, continuava a fare le stesse facce di sempre, senza alcuna caratterizzazione, inquietantemente bloccato nelle solite funzioni base dell’arte di impersonare qualcuno. Non aveva ancora capito che, se voleva stringere quel dannato Oscar, gli serviva qualcosina in più… A questo proposito, The Wolf of Wall Street è stata una missione compiuta, perché mi ha catturato completamente… Anche se…
Anche se c’è chi, come il sottoscritto, è un tantino scettico ed esitante, perché Leo deve stare di fronte alla grande prova d’attore che ha fatto un interessante Matthew McConaughey in Dallas Buyers Club. Perché (questione più importante di tutte e definitiva) l’Academy tende a premiare quegli attori che prendono l’accortezza di calarsi talmente tanto nella parte da svilire la loro immagine di sex symbol dimagrendo, imbruttendosi o ingrassando. Più l’effetto sorpresa è alto, più sarai promosso con una bella statuetta in mano e potrai affermare che, drammaturgicamente parlando e non, che la tua è stata un completa personalizzazione del ruolo all’interno della SUA immaginaria esistenza. Christian Bale è chiaramente geniale sotto il travestimento del suo personaggio ma, per qualche ragione dovuta alla combinazione di registro, lascia un filino perplessi il fatto che possa avere una seconda statuetta nelle mani… E questo nonostante si sia imbruttito abbestia.
Nonostante questo, non sono ancora pronto a sparare di getto un pronostico e ancora mi guardo circospetto, come un cane che nasconde una bomba.
Fabio Secchi Frau