QUESTA RECENSIONE E’ OSPITATA SU
Lo spagnolo Luis (Fernando Tielve), reduce da una brutta rottura amorosa, arriva a Berlino per trascorrere un weekend estivo spensierato e, soprattutto, per buttarsi nei club gay della capitale, fare nuove amicizie e, magari, innamorarsi di nuovo. Tuttavia, la forte somiglianza di Luis con un giovane studente greco scomparso qualche settimana prima, fa sì che lui sia coinvolto in una serie di misteriosi eventi che, fra l’altro, riguardano anche l’ucraino Viktor (Marko Mandic), un ragazzo che ha conosciuto proprio nell’underground omosessuale notturno.
Una detective story senza detective. Un giallo diverso ispirato al reale caso di scomparsa del portoghese Tiago Afonso e che prende in esame il fascino, ma anche i pericoli, di una giungla urbana anonima, confinata sottilmente fra realtà e paranoia. Non sono molti i thriller in cui si propongono con forza personaggi e ambientazioni gay (ancora ottusamente e fanaticamente censurati nel loro tema). Sotto quest’ottica, l’elemento omosessuale è usato dal cinema principalmente nelle commedie e con la sola funzione di aggiungere una certa “piccantezza” alla trama. Diventa, quindi, un interessante punto di partenza il fatto che proprio il protagonista sia gay, influenzando il modo di relazionarsi con gli altri personaggi, ma anche parlando allo spettatore, senza troppi peli sulla lingua, delle ferite che sono sul punto di rimarginarsi. Luis non le nasconde, ne comunica l’esistenza, come ne avrebbe parlato qualsiasi protagonista eterosessuale. Una “scandalosa” (ma non troppo) novità in un certo tipo di genere che è sufficientemente gustosa per reggere l’interesse verso Lose Your Head.
Sfortunatamente, in questa progressiva discesa verso il mistero e nella perdita di controllo di Luis, non si sfugge a certi stereotipi che guastano la visione del film, invecchiando di molto la sceneggiatura che rimane, comunque, ben costruita e gradevole e che passa, con una solida struttura, dal dramma al thriller ipnotico. Purtroppo rimane gravemente anche carente la regia di Westerwelle e Schuckmann che, spesso, perde il contatto con la realtà e fa scivolare la pellicola nell’assurdità, anche se la scelta di certe inquadrature, che sottolineano fortemente la pressante alienazione e il senso di anonimato che Berlino può offrire, sono un interessante spunto di comprensione di una vera realtà tedesca.
Lose Your Head è, in conclusione, un film che si raccomanda a chi ama il giallo, le sue sorprese, le sue freddezze.
Fabio Secchi Frau