QUESTA RECENSIONE E’ OSPITATA SU
Nella San Francisco del 1985, Frankie lavora come sostituto in una compagnia di danza moderna e, parallelamente, si avvicina a Todd, un ballerino con più anni di esperienza nel settore. Ma mentre la storia con Todd si approfondisce fra ironia, speranza e passioni comuni, Frankie vede avvicinarsi sempre di più il rischio di un possibile contagio di un allora misterioso virus chiamato HIV.
Questo struggente dramma indie americano, scritto e diretto dall’ex ballerino Chris Mason Johnson (alla sua seconda regia dopo The New Twenty), è stato proiettato al 64° Festival di Berlino e mette in luce una battaglia per liberarsi dalla paura.
Non sono pensieri frivoli quelli che frullano in testa al suo protagonista. Il giovane Frankie sortisce gli effetti di ciò che gli accade intorno, che accade agli altri, e teme quel virus che sta cominciando a mietere le sue prime vittime. Eppure, dentro se stesso, è consapevole del fatto che per resistere al timore deve cambiare il cuore e la mente, con uno sforzo interiore enorme mirato a infrangere le barriere individualistiche e a costruire ponti di comprensione.
Di fronte a una battaglia che allora era appena cominciata (oltre 25 milioni di morti in trent’anni, 34 milioni di persone attualmente affette da HIV e AIDS nel mondo e quasi due milioni di decessi ogni anno, ossia 5000 ogni giorno), Test spiega quindi che le prime armi di cui si ha bisogno per sconfiggere questa malattia sono la compassione, l’empatia e l’amore. Le sole tre cose che siano in grado di abbattere un sistema sociale e civile carico di panico, incertezze, odio e intolleranza.
La sceneggiatura è perfetta sotto ogni punto di vista e descrive (fra l’altro con una fotografia veramente splendida) quel preciso contesto storico, esprimendo bene l’omofobia dilagante e mettendo in evidenza elementi di angoscia ed esitazione di fronte a quella che fu la vera novità: il lancio del primo efficace test HIV. Lo fa in una maniera sorprendentemente leggera e tenera, così naturale da accattivarsi fin dalla prima inquadratura l’interesse dello spettatore, che poco può fare di fronte a un titolo pieno di sentimento. Per queste ragioni, la pellicola è meritevole dei premi per il miglior film e la migliore sceneggiatura ottenuti all’Outfest di Los Angeles del 2013.
Fabio Secchi Frau