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Recensione a: “La mia vita a 90 anni, scritta a 36, finita di scrivere a 37” di Federico Fabbri

Creato il 21 novembre 2015 da Soleeluna

20150721_073353_Cover-1-192x300A volte ho la sensazione che sia il destino a darci in mano alcuni romanzi da leggere e recensire. Questo è quello che credo sia accaduto con il libro di Federico Fabbri, il vincitore della seconda edizione della nostra CoverTime.

La mia vita a 90 anni è uno spaccato romanzato del percorso nel mondo del nostro giovane scrittore, dalla nascita alla morte. Federico s’immedesima in un vecchio che ricorda e racconta quella che è stata la sua vita fino al momento della dipartita.

Alcuni passaggi sono molto esilaranti, altri di una tristezza infinita. Mi è impossibile raccontarvi una trama perché questa non è una storia che ha un intreccio da sviluppare, è vita vissuta senza colpi di scena. Eppure il lettore che inizia a scorrere le pagine di questo romanzo non può fare a meno di andare avanti per conoscere le parole di Federico, per sapere come ha vissuto, quali gli episodi che gli sono rimasti tanto impressi da influenzare il suo percorso.

Ma vi parlavo di destino e voglio spiegarvi il motivo.

Premetto con il dire che Federico Fabbri era un nome a me del tutto ignoto, solo dopo aver scorso il suo profilo per comunicargli la sua vincita al nostro concorso, mi sono accorta che abita in un paese dove anche io ho vissuto per sei anni. Questo non mi ha comunque fatto capire chi lui potesse essere perché, sapete, nei piccoli paesi di provincia, ci si conosce molto spesso solo per soprannome.

Quando ho iniziato a leggere mi sono trovata a vivere posti che conoscevo benissimo, dai Rovereti, la frazione in cui vivevo, alla Contessa dove andavo a mangiare la pizza. Ho letto nomi di persone che conosco, alcuni di vista, altri molto bene e per me è stata un’esperienza davvero nuova. Non avevo mai letto niente che mi facesse vedere con tanta chiarezza ciò che veniva descritto.

Eppure, credetemi, per tutto il romanzo non ho fatto altro che chiedermi chi fosse questo scrittore che non riuscivo a riconoscere, almeno finché non ha svelato il suo soprannome e non ha parlato del suo amico di sempre.

E allora ho avuto il sentore che questo lungo racconto di vita avesse uno scopo ben preciso che fosse quello di ricordare un ragazzo la cui vita si è interrotta troppo presto. Non so se questa sensazione sia giusta, quello che ho percepito è che si volesse ricordare e imprimere nero su bianco una persona scomparsa senza cadere nei luoghi comuni del ricordo, ma semplicemente raccontandola. Questa è una delle parti più toccanti del romanzo.

Federico scrive poche righe sui fatti molto importanti della sua vita, come ha chiesto alla fidanzata, (fra l’altro mai nominata prima), di sposarlo o la morte del suo migliore amico. Lo fa con una sorta di pudore che diventa parte anche del lettore che non sente il bisogno di ficcare il naso, che non vuole sapere dettagli, ma che vive esattamente la situazione.

È un romanzo molto particolare, inserito sicuramente in un contesto di narrativa generale, e qui devo anche ricredermi sul fatto che questa tipologia di romanzi sia tutta uguale e noiosa. Lo stile di quest’autore è molto personale, inconfondibile, a tratti poetico, altri molto crudo.

Fra le righe si denota una profonda malinconia per un passato che inevitabilmente influenza presente e futuro. Molte cose sono invenzioni, mai fini a se stesse, sempre mirate a farci capire uno stato d’animo o una sensazione. In alcuni passaggi a me ha ricordato Ammaniti di “Che la festa cominci”, con questi momenti surreali che non tolgono nulla alla realtà , ma ce la mostrano con occhi differenti.

“Fai una femmina o al massimo, visto che ti piacciono tanto, fai un maschio di cavallo.”

Per fortuna mia mamma non gli diede ascolto.

Non fece un cavallo.

Mi fece a me.

Non tutti erano contenti.

Mio babbo vinse 200 lire a scopa.

Tornò comunque a casa contento.

Per fortuna hanno inventato la scopa.

Se giocava a rubamazzo magari tornava a casa arrabbiato con me perché non ero un cavallo.

Sono sicura che se inizierete a leggere questo romanzo, faticherete a staccarvi dalle parole e vorrete arrivare dritti al capolinea.

Un capolinea che è la giusta conclusione di un viaggio perfetto. Io, lo ammetto, ho pianto e quando un romanzo ti regala emozioni non ha bisogno di altro.

Recensione a cura di Laura Bellini


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