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Recensione a “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa

Creato il 08 luglio 2015 da Soleeluna
La recensione

La recensione

Cecilia, sedici anni, è ospite di una struttura religiosa che si occupa dell’educazione delle orfane. Ogni notte, scrive lettere alla madre che l’ha abbandonata in fasce. Diventa una musicista e suona il violino, nascosta dietro una grata con il resto dell’orchestra femminile. La vita di Cecilia cambia quando all’Ospitale arriva don Antonio Vivaldi, detto anche il prete rosso. L’uomo nota le capacità di Cecilia, che diventa una delle sue favorite. Una notte, don Antonio le propone di diventare il primo violino ai suoi concerti, a patto che respinga qualsiasi proposta di matrimonio. Cecilia rifiuta l’accordo e tra i due si spezza il legame di amicizia che si era creato. Un giorno Don Antonio accompagna Cecilia a visitare il macello pubblico e la costringe a tagliare la gola a un agnello. Qualche giorno dopo, il sacerdote sostituirà le corde del violino di Cecilia con le interiora dell’agnello ucciso. L’episodio sconvolge la ragazza, che trova il coraggio di abbandonare l’Ospitale per mettersi sulle tracce della madre.

La storia di Cecilia riflette i temi esistenziali della morte, dell’amore, della preghiera, della musica. Onnipresente la figura della madre mai conosciuta. Siete talmente importante che vi metto dappertutto. Cecilia le scrive, pur non ricevendo risposta, pur non conoscendo il volto della donna che l’ha messa al mondo. Spera, ogni giorno, che lei torni a prenderla.

Una storia che mi ha sorpresa più volte, durante la lettura. Ho resistito alla tentazione di abbandonare, nei punti in cui la narrazione rallenta fino alla monotonia.

Le lunghe riflessioni di Cecilia sono troppo costruite, per essere frutto della mente di una donna così giovane, che del mondo non sa nulla, al punto da pensare d’essere rimasta incinta, quando il sacerdote compone per lei un brano.

Mi hanno confusa e a volte irritata gli incontri tra la protagonista e la figura della Morte. Una testa dai capelli di serpente che ricorda una compagna d’istituto di Cecilia. Sogni, allucinazioni, o dibattiti immaginari privi di contenuto. Ho trovato molte di queste fantasie eccessive.

Ma Scarpa mi ha anche sorpresa, con una capacità unica di trasformare la musica in parole. Mi è parso di sentirlo il violino di Cecilia e di cogliere le false stonature, che alla ragazza piaceva infilare qua e là, per sembrare meno brava, per restare nell’anonimato. Le voci delle cantanti mi hanno raccontato lo scorrere delle stagioni, storie di uomini, di donne, di guerre.

Nel complesso, tuttavia, è una storia banale, con un bel sottofondo musicale. Le mie stelle per quest’opera si fermano a tre.

     Angela Gagliano

   23 Giugno 2015


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