Recensione del Sole e Luna Blog
Buondì lettori del Sole e Luna Blog. Oggi ci troviamo a recensire un romanzo più thriller che horror, a nostro avviso, anche se definirlo ‘thriller’ non è completamente esatto. Ma vediamo perché.
Gli ingredienti ci sono tutti: un’apparente vacanza tranquilla tra le campagne di Castelchiasso, con soggiorno presso lo Zeitgeist Hotel, il cui nome già tinge di macabro la storia. Due personaggi, Gustav e Inès, che cercano di recuperare il tempo perduto ma, soprattutto, il loro amore. Un amore che però non riusciranno a ricostruire, specialmente a causa dell’arrivo di Boris che irromperà nella storia conferendogli una piega che vorrebbe essere del tutto inaspettata.
L’hotel, come presentato dall’autore, presenta caratteristiche particolari, in alcune zone è fatiscente, il personale è strano. Sembra che celi dei segreti.
Quindi, fin qui, tutto bene: gli ingredienti per un thriller/horror ci sono. Ma poi non vengono adoperati bene.
Sicuramente questo romanzo non è un horror, noi non ci siamo mai spaventati né sorpresi, la suspence era assente, certo un po’ di mistero aleggia tra le pareti dell’hotel e nella vita di Gustav e Inès, ma non basta e non viene utilizzato bene per trasmettere delle emozioni al lettore. Quindi, l’horror non c’è. Il thriller forse. Un po’ di azione si rivela soprattutto a partire dalla metà della storia, ma anche questo genere non viene esaltato molto. L’azione è troppo veloce, poco ricamata e non lascia spazio, ancora una volta, alle emozioni, quando invece sembra che lo scrittore voglia suscitarne.
Lo stile è ancora acerbo, l’autore dovrebbe farsi aiutare da un editore oppure da qualche amico che legga il testo prima che venga pubblicato e gli possa dispensare consigli utili per migliorarlo.
Dal canto nostro possiamo suggerire di leggere il testo ad alta voce e ripetutamente. Sarà così più facile individuare ciò che non va, ad esempio le troppe ripetizioni. Spesso alcuni verbi e sostantivi vengono utilizzati in una maniera eccessiva, bisognerebbe che l’autore prendesse in considerazione l’utilizzo di sinonimi.
I discorsi diretti, cui l’autore fa ampio uso, vanno anch’essi rivisti un po': non rispecchiano spesso la realtà, e poi sono colmi di espressioni fumettistiche: “wow, ok, non so, mah, tipo…”, certo le persone le usano nella vita di tutti i giorni, ma lo scrittore non deve abusarne e potrebbe palesare i dubbi dei suoi personaggi non con un “boh” o un “mah” ma attraverso le sue movenze, ciò che pensa, quello che fa. Spesso invece qui i personaggi hanno comportamenti macchinosi, e francamente si fatica a prendere le parti di uno di loro e quindi ad affezionarsi, anzi sovente appaiono insopportabili.
Una storia, quindi, che vorrebbe inaugurare una saga ma che per esserlo dev’essere totalmente sottoposta alla supervisione di un esperto, perché possa esaltarne gli elementi positivi (che sono presenti) e affinare la scrittura di questo giovane scrittore.
Recensione a cura di Dylan Berro e Laura Bellini