C'era una volta un regista che sfornava capolavori. Forse, detta così, la cosa potrebbe sembrare esagerata ma, a pensarci bene, per me Clint Eastwood è uno zio americano che quando mi veniva a trovare portava sempre con se bei regali e che invece, ultimamente, non ne azzecca uno. E con questo non voglio dire che i suoi regali facciano schifo, solo che sono quelli che mi avrebbe potuto portare un parente qualunque. Non sono più, semplicemente, i regali di zio Clint. Una metafora sconcertante, la mia, eppure le cose stanno veramente in questo modo: ultimamente le aspettative nei confronti di un film di Clint Eastwood sono superiori al film stesso ed io, che amo questo regista, rimango deluso alla fine di ogni visione almeno da un paio di film (e pure di più) a questa parte.
Ho sempre trovato il cinema di Eastwood un modo di raccontare l'umanità attraverso i propri personaggi, i propri difetti, gli errori e le vittorie. Un cinema "umano", di dolcezza tragica, classico ma mai retorico, in cui non sono le storie a contare bensì chi le fa vivere attraverso i propri occhi, la propria bocca, le proprie azioni. Il problema è che, nel suo ultimo film American Sniper, ci trovo poco dell'approccio che il regista ha sempre messo nelle sue opere. Anzi, in American Sniper c'è l'umanità e la sua umana sofferenza presa e insaccata un tanto al chilo in quella retorica tipicamente americana. E sì, quella retorica cerca di farla a pezzi e dissezionarla, ma non ci riesce, quasi sia impossibile destreggiarsi a questa maniera in un film del genere. Che non è "di guerra", non è il film su un cecchino, ma usa la guerra come habitat culturale/sociale per spiegare un'identità che coincide prepotentemente con "identità nazionale".. E forse il vero problema è tutto qui: American Sniper è un film che parla all'America e al cittadino americano raccontando una storia con dei risvolti che sono più facili da comprendere e assimilare oltreoceano.
Meglio specificarlo: stiamo parlando di un biopic basato sull'omonima autobiografia di Chris Kyle, soldato americano, cecchino dei Navy SEAL divenuto leggenda per il numero impressionante di uccisioni dietro il mirino del suo fucile a precisione. La storia di un uomo e della sua ossessione, del suo spendersi completamente per la guerra, per la propria nazione, fino al punto di diventare una vera e propria macchina, uno di quegli uomini che la guerra risucchia e che non riesce a trovare altro scopo se non in questa. Col rischio di mandare a puttane la sua vita privata. Col rischio di morire. Col rischio di rendere vedova una donna e orfano un bambino.
Allora American Sniper si rivela il ritratto di un patriota americano incapace di osservare il mondo da un punto di vista che non sia quello personale. Perché se uccide (e Chris altri non è che un assassino) lo fa per un ideale, quell'idea di giusto che per lui acquisisce valore universale ma non è altro che un modo soggettivo di vedere la realtà. Uno dei tanti modi giusti e sbagliati allo stesso tempo di osservare il mondo.
Realtà della guerra, distorta, selvaggia, assolutamente incomprensibile se decontestualizzata. E infatti al di fuori del campo di battaglia, a casa, dalla famiglia, Chris non è altri che uno zombie, un morto che respira braccato dai propri demoni interiori. E il suo senso ultimo, il suo ruolo, non è più quello di padre o marito ma di patriota che deve combattere il demone del terrorismo e difendere la propria nazione in un luogo che non gli appartiene, un posto "altro" che acquisisce sempre di più il carattere di non-luogo. Ecco, io tutto questo non posso capirlo, è "al di fuori" di me, del mio stile di vita, dei condizionamenti che mi portano ad essere quello che sono. Così, impossibilitato a far miei i meccanismi del film, al di fuori della storia, non riesco a percepire quel sentimento che Chris sembra provare, lui vittima a caccia di altre vittime in una guerra che non è giusta neanche per il cazzo. Kyle "la Leggenda" rappresenta il punto di vista retorico che altri comprimari provano a mettere in discussione. Ma non è colpa sua, è colpa del sistema stesso che lo ha trasformato in un uomo che si identifica con esso (da sempre) ma che, ad un certo punto, non n'è mai stato tanto lontano.
In American Sniper io avrei voluto respirare il sentimento. Avrei voluto amare/odiare i personaggi. Avrei voluto essere risucchiato da un vortice di dolore, esaltazione e violenza. ma non ci sono riuscito. Solo nel finale, forse, si accende una lampadina, ma il buio ormai è troppo profondo. Così rimbalzo tra noia e aspettative mancate, barlumi di coinvolgimento, tecnica impeccabile e l'ombra del classico che questo film non sarà mai. E il bello è che non si tratta di un brutto film, anzi. Semplicemente non è questo il cinema che mi aspetto da zio Clint. E' il regalo bello e costoso che mi avrebbe potuto fare chiunque altro.
Per fortuna c'è il reparto tecnico a salvare la baracca. C'è la bellissima fotografia di Tom Stern, i movimenti di macchina millimetrici e la sensazione (da un punto di vista estetico) di trovarsi di fronte a un grande film. E poi l'interpretazione incredibile di un pompatissimo Bradley Cooper che a distanza di anni si rivela sempre più bravo, sempre più lontano dall'attore mediocre che conoscevo, mentre Sienna Miller (che non trovo bella neanche per sbaglio) fa quel che già sapevo fosse nelle sue possibilità.
Forse, a mancare, è l'anima di Clint Eastwood. Forse a girare questo film ci avrei visto meglio Steven Spielberg, la scelta iniziale. Forse... forse non devo far altro che aspettare il prossimo regalo del mio zio d'America, uno dei pochi che mi faccia ancora aspettare con ansia di tornare al cinema.