Autore: Jackie Morse KesslerEditore: Newton Compton
Data uscita: 17 marzo 2011
Pagine: 218
Prezzo: 12,90
Lisabeth ha diciassette anni e non è felice. I suoi genitori sono freddi e distanti e i compagni di classe la prendono in giro o la ignorano. Lo spettro dell’anoressia sta ormai invadendo la sua vita, il cibo è l’unico nemico su cui poter deviare le sue ansie e la sua sofferenza. Fino al giorno in cui accade qualcosa di straordinario: la Morte la nomina terzo cavaliere dell’apocalisse, col nome di Carestia, e le affida un destriero nero e una bilancia. La sua missione sarà riportare l’equilibrio sulla Terra martoriata e agonizzante. E così, a cavallo del suo destriero, Lisabeth percorrerà territori devastati dalla fame e dalla miseria, e altri in cui l’opulenza è diventata una piaga spaventosa che deforma le popolazioni. Nel suo viaggio mitico e avventuroso Lisabeth comincerà a vedere il mondo con occhi nuovi e imparerà molte cose, anche a combattere i demoni della sua vita.
RECENSIONE: "Non sei abbastanza ossuta da essere anoressica" sussurrò la voce Magra. "Se fossi anoressica, non avresti ancora la pancia che ti straborda sopra i jeans."(Attenzione: Spoiler!)
Tre stelline e mezza, arrotondate a tre in attesa di leggere il prossimo libro della serie e – chissà – magari salire addirittura a quattro stelline. Jackie Morse Kessler ci parla di disturbi dell’alimentazione di cui lei ha sofferto in prima persona (anoressia, bulimia) e lo fa con intelligenza. Il suo è un romanzo graffiante, dove l’ossessione per le calorie trasuda dalle pagine impregnando ogni minimo pensiero, dal proprio riflesso allo specchio, al cibo, al rapporto con i familiari…e a quella maledetta “voce Magra” che sussurra incessantemente nell’orecchio di Lisabeth, la protagonista. “Sei debole, sei grassa. Mangi troppo. Non vedi come sei grassa?” E nel frattempo tiene anche il conto matematicamente morboso di tutti i grassi contenuti in un patatina fritta, in una foglia d’insalata.
Sono molti i passaggi che mi sentirei di citare, perché davvero l’autrice ha saputo coinvolgere il lettore in maniera splendida. Pagina dopo pagina mi sono sentita Lisabeth, ho provato la fame, l’ostinato rifiuto per il cibo, ho avvertito la sensazione di disgusto totale verso sé stessa, la rabbia con cui nega di avere qualsiasi problema di tipo alimentare, una rabbia cieca che sfoga su chi le è accanto. E’ una mente distorta, quella di Lisabeth, quasi sottosopra. La Kessler la delinea fin nei minimi dettagli, dando un “perché” ad ogni più piccolo pensiero, così che il lettore si ritrova ben presto a vedere come sbagliato ciò che è giusto e viceversa. E’ un mondo malato e capovolto, che però esiste per davvero. Lisabeth litiga con la sua migliore amica, sentendosi tradita solo perché questa ha avanzato l’assurda ipotesi che lei sia anoressica. Poi fa amicizia con Tammy, una ragazza segretamente bulimica che diventa per Lisabeth un punto di riferimento, un modello da imitare e da cui imparare. Tutto stride, eppure è tutto vero. Ci sono passaggi che davvero lasciano basiti, considerazioni che sconvolgono. Un esempio? Quando Lisabeth sta piangendo e si ritrova ad assaporare le proprie lacrime. Assaporare, sì. O per meglio dire gustare. Lei, che vive reprimendo una fame costante e inesauribile alla quale si ostina a non dare soddisfazione, arriva a deliziarsi del sapore dolce e salato di una lacrima. Le lacrime hanno zero calorie, e questo per lei è semplicemente fantastico. Può assaporarle senza sensi di colpa, senza che la voce Magra le sussurri cattiverie all’orecchio, rinfacciandole di essere un disastro, un incapace debole e grassa, con rotoli di carboidrati attorno ai fianchi. A questo tema tanto delicato ma sapientemente gestito, l’autrice affianca una vena fantasy che devo dire si sposa benissimo con la storia. I quattro cavalieri dell’apocalisse: Morte, Guerra, Pestilenza…e Carestia. L’entrata in scena di Morte sembra quasi un sogno, tant’è che inizialmente Lisabeth crederà davvero di essersi sognata tutto: il cavallo nero (goloso di praline) che l’attende in giardino, la bilancia a due piatti lucente e dalle finiture antiche…ma soprattutto il fatto che - a detta di Morte – Lisabeth è la nuova Carestia.
E’ un gioco di metafore e allegorie, mischiate a un goccio d’ironia e un pizzico di magia. Il risultato è splendido, l’ho apprezzato davvero molto. Non è tanto nel mondo reale che il lettore avverte il cambiamento che via via avviene nella testa della ragazza. A casa, Lisabeth passa il tempo a litigare praticamente con tutti. Perché nessuno la capisce, perché qualsiasi cosa gli altri dicano lei si sente presa in giro. Sentirsi dire che il maglione le sta troppo largo, che è dimagrita troppo tanto…è per lei una crudele presa in giro. Non importa quanto in basso possa scendere la lancetta della bilancia: lei è grassa. Il cibo fa male.
Ma quando poi sale in sella al suo destriero nero – ribattezzato Mezzanotte – e cavalca per il mondo sconvolgendo le regole dello spazio e del tempo, tutto cambia. Se inizialmente trova faticoso calarsi nei panni di Carestia – o anche semplicemente accettare di esserlo, visto che trova la cosa quanto meno ironica – ben presto comincia a fare i conti con molti aspetti che la sua mente aveva accantonato, messi da parte e rinchiusi nei meandri sperduti della sua mente. Carestia trasforma il cibo in cenere, porta gli uomini - e in generale gli esseri viventi – a morire di fame, rendendoli aggressivi per via di quella sensazione affamata che non riescono a scacciare. Uno scenario agghiacciante, ben visto da Guerra e un po’ meno da Pestilenza. Sarà proprio grazie alla conversazione con quest’ultimo che Lisabeth scoprirà che esiste un’altra faccia della medaglia. Carestia può risucchiare l’energia dalle persone, affamarle, certo. Ma può anche compiere il procedimento inverso. Può nutrirsi di quel cibo che Lisabeth tanto detesta, e riversare una splendida sensazione di pienezza in ragazzini pelle e ossa, divorati dalla fame.
Il finale è molto carino, ma su questo preferisco non entrare nei dettagli. Non sapevo dei problemi – fortunatamente passati – dell’autrice, l’ho scoperto solo nelle note finali. E devo dire che questo ha spiegato molte cose, perché davvero mentre leggevo a volte mi ritrovavo a chiedermi come avesse potuto l’autrice riportare una storia in modo così realistico, così sentito.
Lo stile è rapido e ad effetto, senza fronzoli. Alcuni passaggi sono scolpiti volutamente, frasi graffianti che puntano a sconvolgere e a scioccare il lettore, e ci riescono tremendamente bene. La scelta del lessico è curata, spesso travolge con l’intensità di un pugno nello stomaco. Anche le scene più spiacevoli, quelle che molti altri autori preferiscono saltare a piedi pari per non urtare la sensibilità dei lettori, qui sono riportate fedelmente nella loro essenza, nuda e cruda. Quanto a questo forse è il caso di precisarlo: se vi da fastidio leggere di riferimenti all’aspetto del cibo rimesso, alle dita infilate in gola e cose così…beh, ecco, tenete conto che in questo romanzo li troverete. Non a iosa, anzi, sono presenti solo in alcuni punti quasi isolati. Ma ci sono ed è bene sottolinearlo.
Concludendo, è un libro che mi piaciuto molto. Una lettura veloce, per nulla pesante e per nulla stupida, che permette di fare delle riflessioni serie su temi importanti presentati dall’autrice con una freschezza d’idee e un’originalità (il tema fantasy) che si dimostrano senz’altro una scelta vincente. Aspetto il prossimo capitolo della serie, ovviamente! E nel frattempo ve lo consiglio, in particolar modo a chi ha apprezzato Wintergirls (L.H.Anderson) e vuole leggere qualcosa di simile ma molto, molto più bello.