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Recensione: Avrò cura di te, di Massimo Gramellini e Chiara Gamberale
Creato il 03 dicembre 2014 da Mik_94I bilanci, i resoconti, gli esami di coscienza. Si fanno a San Valentino, quando non si dovrebbe stare soli, eppure è così che vanno le cose. Catastroficamente. L'amore è finito e, nel giorno della festa degli innamorati, ti chiedi di chi sia la colpa - tua, sua, vostra, nostra? - nella stanza da letto che i tuoi nonni divisero per sessant'anni, tra vestiti da sposa impolverati, cassetti che comunicano con l'eterno, sos che aprono finestre celesti per Chissà Dove. I bilanci, i resoconti, gli esami di coscienza, invece, io li faccio guardando un calendario a cui resta una pagina soltanto. Sopra, quella pagina, ha i segni delle penne che, sulle pagine precedenti e nei mesi precedenti, hanno scarabocchiato segnacci rossi sui giorni d'esame, un asterisco sui giorni belli, una croce sui giorni brutti. Sulla pagina di dicembre si vedono le orme di quello che ho fatto, le cicatrici di trecentosessantacinque giorni (meno ventotto, però, perché oggi è tre; quindi quanto fa?) passati. Vediamo. Mi dicono che con gli occhi e la testa ho letto un po' di libri. Un po' più degli altri anni, quando non c'erano gli esami. Tra i manuali e le dispense, però, mi sono goduto anche tanti romanzi e ho parlato a voi di tutti tutti, nessuno escluso. In mezzo a questi, ed esclusivamente nella categoria belli, anche se oscillanti spesso verso la bella categoria boh, più di qualcuno portava la firma di Chiara Gamberale. Un'autentica scoperta di serenità, la sua compagnia. Parlavo di Fabio Bartolomei, l'altro giorno, di angeli e Lezioni in paradiso e dicevo così, per scherzo, che un'amica o due avrebbero dovuto avere le percentuali sulle vendite: ne parlavano sempre, tanto, e a tutti. Con me è successo lo stesso con Chiara che, coincidenza curiosa, questa volta torna e pure parla di angeli. Di angeli, con gli angeli. Il suo amico alato si chiama Filèmone, non puoi vederlo, e ha la voce di Massimo Gramellini: lo conoscevo di fama, lui, ma l'ho incontrato per la prima volta qui. La Gamberale ci ha presentati. Con lei, l'autore di Fai bei sogni scambia lettere, creando una magica storia epistolare. Pubblica la Longanesi. E' Chiara colei che viene ospitata, Massimo ormai è di casa. Mi sento di chiamarli per nome, come due amici, e mi sento di dire che a me è piaciuta di più lei, sarà che lei mi piace sempre. Ma onestamente. Fresca, spumeggiante: lei la riconosci. La sua Gioconda è un casino e ha tagliato i ponti col suo Leonardo prima che potessero creare capolavori di bambini e pensare a capolavori di mete condivise. Lui, invece, è astratto, poetico, etereo e saggio. Scrive belle frasi e sa ricercare l'aforisma perfetto in un mondo di amori imperfetti, ma io il linguaggio degli angeli e quello dei poeti non sempre lo capisco. Mi piace il suono che fa. Ha il ritmo di una canzone. Ma io sono un disastro e delle canzoni, a un primo ascolto, non faccio caso al testo. Batto il tempo coi piedi e mi faccio convincere la volta dopo, quando la radio tornerà a far sentire il brano. Gramellini ha il ritmo e anche i contenuti, indubbiamente, ma una forma, tutta suoni e palpiti, che mi distraeva un po'. A coloro che sono più sensibili alla melodia, al contrario, dovrebbe incantare. Chiara, invece, ha il profilo storto dell'angelo custode che vorrei. Un angelo più confuso e indisciplinato di me, con un'ala stropicciata. Non so, in caso, chi custodirebbe chi. Lei scrive sempre la stessa storia, sempre con gli stessi personaggi: come lei sa. Le sue creature – le donne melodrammatiche e gli uomini Ipad, i parenti nevrotici e i mariti che a volte ritornano, le maestre e i guru orientaleggianti – parlano tra loro, come nel cinema di Ferzan Ozpetek. Si ripetono i nomi, si ripetono i ruoli. Tutta la bibliografia di Chiara non è che un lungo, ininterrotto romanzo di gente media con un sentire poderoso: XXL. Fotografa le loro facce e i loro talismani, sviluppa i rullini, mette ad asciugare le stampe su una corda sfilacciata, insieme ai calzini a righe rosse. Volteggiano, intorno, le piume di un Gramellini lieve, impalpabile, candido che, come un attore in un monologo che gli sta a pennello, dà consigli e perle, incarichi e istruzioni per l'utilizzo della felicità, senza mai uscire dal suo personaggio di guida spirituale e grillo parlante. Parla all'imperativo, ha una risposta per ogni domanda. Ma è quando si rivela nostalgico come tutti i mortali che, per me, sfiora, non dico tocca – perché non ha mani, solo energia pulsante –, le corde giuste. Quell'angelo suonava il violino e sapeva perdonare il tradimento, prima di imparare a volare. Avrò cura di te è un racconto sotto l'albero di Natale che suona come una promessa. Ci ho iniziato insieme la settimana, e perché non iniziarci l'anno nuovo? Ce l'ho avuto sulle ginocchia in treno, col sole che sorgeva fuori. Mettendolo via solo nei tratti scuri, in galleria. Negli attimi in cui le luci, lente, non erano pronte ad accendersi a comando e potevo immaginare che alla fine del tunnel nella montagna ci fosse il sole. Mica la pioggia. E però c'era quella. Quella pioggerellina leggera, da primo dicembre, che rende le strade sapone e le mie Puma bianche immondizia. Ma con Avrò cura di te accanto è stato comunque un buon risveglio: nonostante tutto. Nonostante un Gramellini che inizialmente si lascia andare poco, impettito per colpa del ruolo di guru e del dono delle ali; nonostante la pioggia. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Avril Lavigne - Keep Holding On
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