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[Recensione] Bartorstown di Leigh Brackett

Creato il 12 dicembre 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Bartorstown di Leigh BrackettTitolo: Bartorstown – La città proibita
Autore: Leigh Brackett
Editore: Nord
ISBN: 9788842910732
Anno: 1999
Voto: [Recensione] Bartorstown di Leigh Brackett

Trama: Il libro è ambientato in un’America post-apocalittica.
Alla fine degli anni ’60 gli Stati Uniti e il resto del mondo si sono macellati in una pioggia di testate nucleari.
I buoni hanno vinto ma il loro paese è stato comunque distrutto.
Questo ha generato una serie di scelte e di politiche che hanno fatto regredire la società e hanno portato al famigerato 30° emendamento, una legge che impedisce il ritorno delle città viste come il male assoluto.
La storia prende il via ottant’anni dopo l’apocalisse, gli Stati Uniti sono tornati a essere una realtà rurale dominata dalle sette religiose, gli uomini vivono in paesi che possono avere al massimo 2000 persone o 200 case.
La tecnologia non esiste più, la religione è onnipresente e gli uomini vivono come nell’800.

Il protagonista del romanzo è Len Colter un ragazzo di un paese agricolo chiamato Piper’s Run, insieme a suo cugino Esaù una notte, dopo un evento drammatico, entrano in possesso di un oggetto proibito: una radio.
Questo alimenta la curiosità dei due ragazzi verso un passato ormai mitico e guardato con sospetto e paura e li spinge alla ricerca di un luogo leggendario: Bartorstown ossia l’ultima città dove ancora esiste la tecnologia.
Un luogo che però nasconde anche un terribile segreto.

Recensione
Oggi recensisco per voi un vecchio classico della fantascienza, ossia Bartorstown di Leigh Brackett.
Ho deciso di leggere Bartorstown perché era citato di striscio in uno dei blog letterari che seguo.
A onor del vero l’autore diceva che il libro era carino ma non un capolavoro, in ogni caso mi sono proposto di leggerlo perché possedeva 3 caratteristiche che mi rendono un libro estremamente appetibile: parla di un futuro post-atomico (e io sono feticista di queste ambientazioni), ha una componente misteriosa, era disponibile presso la mia biblioteca.

Andiamo a iniziare.

Iniziamo dalle cose che mi sono piaciute.

Il romanzo è scritto in maniera degna, nulla di spettacolare ma uno stile che scorre senza grossi problemi (il che è già tantissimo).

E’ scritto in terza persona con visuale fissa sul protagonista.

L’autrice rende molto bene la paura e la diffidenza di un’intera società verso la tecnologia.

Le città sono viste come i luoghi che ha attirato le bombe, la punizione di dio e la società basata sulle città è collassata appena esse hanno cessato di esistere.

Gli unici che se la sono potuta cavare sono coloro che già da tempo non usavano la tecnologia ossia gli Amish e altre sette religiose che hanno preso le redini della nazione dopo il disastro e hanno imposto il 30° emendamento così che non esistessero mai più città o società basate su di esse.

Lungo tutto il romanzo il protagonista si trova coinvolto in scontri ideologici tra chi cerca il progresso e chi lo ostacola apertamente mentre prosegue la sua ricerca verso la mitica Bartorstown.

I personaggi sono ben delineati, soprattutto il protagonista, ma anche i comprimari (a parte Esaù ma farò un discorso a parte), il padre di Len lo punisce duramente per il suo desiderio di imparare e per la sua curiosità verso il proibito, eppure è un uomo ragionevole, ha visto al sofferenza e vuole che il figlio non soffra come ha dovuto soffrire lui, è un uomo buono messo alle strette proprio dal grande amore che nutre verso il figlio.

La nonna di Len invece era bambina quando le città esistevano ancora e gli racconta di quel periodo magico con tristezza, lo esorta con i suoi racconti a cercare sempre le risposte alle sue domande e a non avere mai paura della conoscenza.

E così tutti gli altri: Dulinsky il mercante di Refuge che vorrebbe costruire più magazzini per far arricchire la città (e se stesso), il Giudice di Refuge che prende sotto la sua ala protettrice Len permettendogli di leggere i libri del passato e discutendo apertamente con lui ma poi schierandosi contro il progetto di Dulinsky e battersi per far rispettare il 30° emendamento.

Tutti questi comprimari sono credibili e ben disegnati e aiutano a calarsi nella storia.

La trama è anch’essa godibile nell’insieme, si tratta di un viaggio fisico, ma anche della maturazione di Len da ragazzo a uomo, di un viaggio alla ricerca di un luogo che è insieme reale e ideale: “Bartorstown non è una città è un modo di vedere il mondo” dice a un certo punto il padre di Len.

Si tratta di una scoperta accompagnata da dubbi e domande, da tradimenti e crisi di coscienza, fino all’ultima scelta del protagonista, una scelta da uomo dopo tante decisioni da ragazzo.

Da questo punto di vista il romanzo merita 3 stelline senza problemi anche 3 e mezza.

Ma veniamo alle cose che non mi sono piaciute.

Ambientazione

Allora, io quando leggo “post-apocalisse” mi viene duro. Sono fatto così, mi sono giocato tutti e 3 i Fallout e relative espansioni, gli S.t.a.l.k.e.r. e amo le ambientazioni di città devastate alla TWD, quindi sono partito in quarta appena vista l’ambientazione.

Il problema è che in questo romanzo di post-apocalisse non c’è nulla, non ci sono resti di città distrutte, non ci sono cimiteri di macchine, basi militari abbandonate, autostrade e viadotti lasciati marcire nel deserto, linee ferroviarie insomma non c’è nulla che faccia pensare che ci fosse una civiltà prima, nemmeno un singolo oggetto moderno viene mai mostrato in tutto il romanzo tranne quelli di Bartorstown.

Questo non ha senso.

Un mondo post apocalittico è un mondo in rovina, di città spettrali e deserti radioattivi, non la frontiera del west di inizio ‘800.

Non ci sono malati di cancro che muoiono a secchi, bambini deformi, non c’è nemmeno un accenno alle radiazioni.

Tristezza a badilate.

Questo mi ha rovinato gran parte del piacere.

Altro problema è che il romanzo crea un’ambientazione ma non la rende credibile. Già mi sembra strano un emendamento che blocchi la crescita delle città, ma questo lo accetto, l’ambientazione è quella, l’ha decisa lo scrittore e va bene così (anche grazie al mio anello della sospensione dell’incredulità +2), però poi devi essere coerente.

Nel libro si cita un Congresso e delle forze federali per far rispettare il 30° emendamento. Ora con città da 2000 abitanti come fai a mantenere una forza militare? Dove? Dove produci le armi, i mezzi di trasporto, la burocrazia per mantenere una forza da combattimento? Come mantieni un Congresso? Come mantieni un sistema politico-giuridico se hai solo 2000 persone in un luogo?

Non ci è dato di saperlo.

Benché la tecnologia sia scomparsa fanno la loro apparizione armi da fuoco e battelli a vapore.

Di nuovo, wut? Per produrre armi da fuoco ci va un minimo di tecnologia e di organizzazione del lavoro, in una città di 2000 abitanti o tutti fanno solo quello o non si fa.

Vapore ancora peggio, produrre caldaie, pistoni, motori, pale e controlli non è una cazzata è una cosa che richiede parti minute, ingegneria di un certo livello e il lavoro di molte persone coordinate. Una città da 2000 persone (di cui quindi solo ¼ circa saranno lavoratori) non si può fare.

Inoltre perché battelli a vapore si e treni no? E  macchine meccaniche a vapore no?

Di nuovo, non è dato di saperlo.

Altre perle di nonsense vengono da Bartorstown.

Qui è in funzione una centrale nucleare che va avanti da 100 anni. Wut? 100 anni senza manutenzione di sorta? Stiamo scherzando?

Inoltre c’è un computer descritto come il più potente computer dell’epoca, dentro questo computer sono registrati tutti i dati che si conoscono sull’energia atomica e grazie alla sua potenza di calcolo ci si aspetta che un giorno dia la risposta alla ricerca compita dagli uomini di Bartorstown.

Cosa ricercano? Una specie di sbrilingua antani con scappellamento a destra. No, seriamente, cercano il modo di impedire la fissione nucleare localizzata, una specie di scudo o energia (non ho capito bene) per evitare che in futuro si possano usare di nuovo le bombe atomiche annullandone il processo di fissione…

Cosa?!

Quando ho letto questa cosa ho posato un attimo il libro, ho provato a immaginare la potenza di calcolo del miglior computer degli anni ’60 poi ho guardato il mio smartphone (Galaxy Nexus).

Quindi ho provato a ricordare mentalmente almeno 10 nomi di fisici che hanno messo su la meccanica quantistica e lavorato al progetto Manhattan: per arrivare anche solo a capire cosa è un atomo e a spaccarlo ci sono volute le più grandi menti del mondo, anni di ricerca e fondi illimitati e questi vogliono agire su singole componenti dell’atomo in maniera dinamica senza intermezzo meccanico (che so magari usando nanotecnologie)?

E vogliono scoprire come farlo con un nokia 3310 e uno (uno, 1) scienziato che ci lavora a tempo pieno?

Ok questo è troppo anche per il mio anello +2.

Plot hole e nonsense.

Lasciamo perdere per un attimo il fatto che io sono un ingegnere scassa-maroni e veniamo ai punti deboli di trama.

C’è un plot hole enorme, in pratica Len e Esaù intraprendono la loro fuga da Piper’s Run, un viaggio lungo e pericoloso (che viene liquidato in 2 righe) in cui pare che vengano aiutati più volte da mercanti di passaggio (pare perché appunto il viaggio è liquidato in 2 righe), si viene poi a scoprire che la gente di Bartorstown gli “copriva le spalle”, ora come diavolo sapevano che questi due volevano andare a Bartorstown? Nel libro è scritto che un mercante loro amico Hostetter aveva mediato per loro con la gente di Bartorstown, problema: Hostetter non sapeva che i due ragazzi sarebbero fuggiti inoltre lascia Piper’s Run prima di loro.

Nonsense: a Refuge Len sente una voce nell’ombra, qualcuno che gli dice “Non andare a Bartorstown, ne ricaverai solo guai”, ora Len ascolta la voce (che viene da una stalla vicino a dove sta passeggiando) e gli sta bene così, si allontana felice di sapere che qualcuno sa che lui vuole andare a Bartorstown.

Allora, questo non ha senso, Len è fuggito di casa è pronto a sacrificare tutto per seguire un mito, sente qualcuno che ne parla con cognizione di causa e cosa fa? Se ne va contento. No se fosse una persona normale sarebbe entrato nella stalla, avrebbe seguito la voce, o almeno ci avrebbe provato, per la prima volta ha un segno tangibile che Bartorstown potrebbe esistere e se ne batte.

Sgonfiamento del conflitto.

La Leigh ha una brutta abitudine, gestisce male i conflitti e spesso li risolve tramite deus-ex, è un peccato perché li costruisce molto bene.

Ad esempio: Len è a Refuge, si è fatto una nuova vita, si è innamorato di una ragazza e il padre di lei lo ha preso con se prospettandogli una vita di un certo agio come avvocato a Refuge,  avrebbe accesso ai libri del passato e alla conoscenza anche se dovrebbe mantenere una facciata rispettabile e ovviamente lasciar perdere la sua ricerca.

Len è combattuto, una bella moglie, una bella vita, dall’altra parte il desiderio di raggiungere Bartorstown che però magari nemmeno esiste.

Cosa succede?

La tipa se la fa con Esaù e Len perde quindi ogni motivazione a rimanere a Refuge.

Tristezza a carriole.

Il conflitto si sgonfia da solo, Len non deve più scegliere.

Non dico che mi aspettassi una roba estrema del tipo che lui mette incinta la ragazza e poi decide di abbandonarla (siamo pur sempre negli anni ’60: ho letto “seno” una volta sola e anche da sposati viene descritto solo “un bacio”) ma fammi vivere un po’ di pathos per Cthulhu!

Altro esempio.

Lungo il viaggio la carovana viene avvistata dai Nuovi Mennoniti, una setta di straccioni violenti, l’equivalente degli indiani nel far west, i carri si dispongono a cerchio mentre gli uomini imbracciano le armi!

Ottimo, mazzate!

E invece i Nuovi Mennoniti si accontentano di un po’ di povere da sparo e un paio di coperte e se ne vanno.

Meh.

Anche il finale, è logico per certi aspetti ma dopo un inseguimento di mesi te la cavi con 2 chiacchiere e tutti a casa per festeggiare con tarallucci e vino?

Dopo che la tensione è cresciuta per le scelte di Len non mi puoi chiudere tutto con un abbraccio e un “non è accaduto niente tranquillo, adesso torniamo a casa”.

Doppio meh.

Personaggi

Benché siano quasi sempre ben caratterizzati la Leigh mi cade in 2 casi: quando descrive i personaggi femminili e con Esaù.

I personaggi femminili sono solo 2 e sono praticamente identici, cercano di approfittarsi degli uomini (Len) usando le loro “grazie” ok ci può stare ma sono davvero fatti con lo stampino anche nelle reazioni.

Peggio invece è Esaù che dovrebbe essere una specie di co-protagonista.

Esaù dovrebbe rappresentare l’uomo privo di dubbi, che cerca Bartorstown e accetta subito la tecnologia e tutto ciò che comporta.

Peccato che mentre gli altri personaggi sono caratterizzati da quello che fanno, Esaù è considerato un rompipalle per partito preso. Tutti a dire “Esaù è una testa calda”, “Esaù è un poco di buono” e a trattarlo come tale, eppure non viene mai mostrata alcun azione che giustifichi tale considerazione.

Se a Piper’s Run la cosa può anche avere un certo qual senso, a Refuge no.

Li lui e Len sono due stranieri che iniziano da zero e Esaù fa le stesse cose di Len, eppure è considerato poco e trattato peggio.

Stessa storia con i mercanti di Bartorstown o a Bartorstown stessa (per lo meno all’inizio).

La Leigh ha dimostrato di saper caratterizzare bene i personaggi ma per qualche motivo con Esaù preferisce la strada “è così perché lo dice la trama”.

Conclusione

Do 2 stellette a questo libro, ma forse sono troppo impietoso, la storia si lascia leggere, è carina e per la maggior parte del tempo ben raccontata con capitoli che sono delle vere perle, ad esempio i tentativi infruttuosi di Len e Esaù di far funzionare la radio rubata senza saper nulla, spingendosi a rubare libri di fisica per capire qualcosa sulla radio, pieni di eccitazione epr ogni fruscio che l’apparecchio produce, sono molto coinvolgenti.

Se giudicassi solo la storia e lo stile 3 stellette ci starebbero tutte.

Ma come detto l’ambientazione è deludente, molto deludente e io non riesco a leggere ucronie caratterizzate male o piene di contraddizioni interne.

Quindi abbasso il voto a 2 stellette.

Scuso la Leigh per un motivo molto semplice: scrive negli anni ’60.

Può sembrare stupido ma lei non ha avuto accesso a internet o wikipedia, ha cercato di creare un mondo senza avere gli strumenti che abbiamo noi e comunque ha fatto un discreto lavoro.

Avesse scritto questo libro ai nostri giorni le avrei dato 1 stelletta perché gli errori che commette avrebbe potuto evitarli in 10 minuti su Google o una partitella a Fallout, ma scrive negli anni ’60 e quindi sono magnanimo.

Detto questo, se non siete dei precisini della fungia come me e se vi sta bene una storia simil-western leggetelo pure, merita un paio di ore del vostro tempo, vedrete come si scriveva ai tempi in cui si credeva veramente che il mondo sarebbe potuto finire sotto una pioggia di bombe nucleari.

Altrimenti lasciate stare, rimarreste delusi come il sottoscritto.


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