Robinson (Jude Law, ovvio), divorzio alle spalle e figlio a carico che la ex gli impedisce quasi di vedere (storia vista mille volte, anche nella vita), si ritrova – visto che le sfighe non arrivan mai sole – pure licenziato, senza il suo iperspecializzato lavoro di recupero vecchi relitti sul fondo di vari mari per conto di una società del ramo. Se ne va via incazzato, e con però un’informazione preziosa, un sottomarino tedesco affondato durante la guerra da qualche parte del mar Nero con un carico di lingotti d’oro, valore parecchie milionate di dollari. Parlando con ex colleghi pure loro dissoccupati, salta fuori in Robinson l’idea di recuperarlo lui, loro, quel carico. ma dove trovare i mezzi e i finanziatori? Ecco farsi avanti un ipermilionario, e allora via con il reclutamento della ciurma, e partenza per un porto in Crimea (prima dell’annessione putiniana) dove il gruppo potrà prendere possesso di un catorcio di sottomarino sovietico con cui scendere sul fondo a cercare il relitto. E si va giù, e comincia l’avventura. Con Robinson capitano che non solo dovrà fronteggiare le prevedibili difficoltà tecniche e i pericoli esterni (se i russi li scoprono sono tutti fottuti), ma pure i più insidiosi conflitti interni tra equipaggio inglese e quello russo, tra veterani e reclute. Aggiungeteci uno psicopatico (nella parte britannica della crew) e la brutalità di certi russi e la tensione è servita. Il regista Kevin Macdonald (L’ultimo re di Scozia) orchestra bene questa storia tutta in un interno che man mano si trasforma in inferno, in trappola. Il malloppo distrugge chi ci mette sopra le mani, come in infiniti heist e caper movies, da Rapina a mano armata in giù. I tubi sbuffanti, le giunture meccaniche anchilosate, quella veterotecnologia made in Urss sbriciolata e corrosa reliquia di una tramontata grandeur imperiale, conferiscono a Black Sea un sapore di deriva, di cupa decadenza, di fine ineluttabile. In un degrado ferrigno che penetra corpi e menti. Jude Law, sporco e disperato, si muove in questo spazio claustrofobico con la dirittura morale e la forza virile di un vecchio eroe, di quelli che non si incontrano più nemmeno al cinema. Un film che si fa anche parabola sulla scomparsa dagli orizzonti d’Occidente della working class, dei coletti e delle tute blu, del loro affondamento. Ma non ci sono nostalgie. I rudi lavoratori del sommergibile di Black Sea non presentano alcuna traccia dell’antica solidarietà di classe, son pronti a divorarsi l’un l’altro per sopravvivere e portarsi a casa l’oro e fregare gli altri. Darwin ha vinto su Marx. Il film cede nella parte finale, con colpi di scena a catena non tutti giustificati e credibili, e però resta, facendo la conta dei più e dei meno, un buon risultato, e una discreta sorpresa.
Recensione. BLACK SEA con Jude Law: working class sul fondo
Creato il 23 aprile 2015 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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