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Recensione | Blindspot 1×03 “Eight Slim Grins”

Creato il 08 ottobre 2015 da Parolepelate

Un valido titolo alternativo per questa puntata sarebbe potuto essere Trust issues, problemi di fiducia. Già, perché la parola chiave dell’intero episodio è proprio trust. Quando si vive a contatto con un mistero grande come quello di Jane, quando tu sei il mistero stesso, la fiducia gioca un ruolo fondamentale.

«You can’t trust them.»

Recensione | Blindspot 1×03 “Eight Slim Grins”
La puntata inizia subito con un importante stravolgimento. L’enigmatico protagonista che emerge negli stralci della memoria di Jane stabilisce un contatto. Breve ma intenso, si suol dire. E qui gli sceneggiatori già si sono giocati una carta: far morire l’unico ricordo ricorrente di Jane, in circostanze per altro incomprensibili. Perché dopo l’intenso corpo a corpo fra i due, l’uomo riesce solo ad intimare Jane di non fidarsi di loro. L’FBI presumibilmente, ma perché? Ciò che resta è solo il viso di Jane, nuovamente macchiato del sangue dell’unica cosa che poteva aiutarla a capire chi è veramente. Un fantasma, proprio come lei.

«Do you trust the FBI?»

La domanda è più che legittima, da parte del Dottor Borden, l’unico che sembra preoccuparsi – e ciò lo rende sospetto ai miei occhi scettici – di come Jane vive tutto ciò. Difatti Jane non solo non sa se fidarsi di chi le sta intorno, ma rivolge la mancanza di fiducia anche a sé stessa, come faremmo tutti noi: un uomo senza passato è un uomo senza personalità, perché noi siamo la nostra storia. Jane sembra sempre chiedersi se, pur nel ruolo della vittima, non sia stata anche, a suo modo, una colpevole. Ora che neanche l’FBI può proteggerla, cosa le rimane?

«You don’t trust me, do you?»

La questione della fiducia si ripropone nel bel mezzo dell’indagine della puntata. Weller fa di tutto per rendere Jane partecipe ma, al tempo stesso, tenerla al sicuro. Lei, invece, è testarda al punto di disobbedire ai suoi ordini, mettendo in pericolo l’intera squadra. Nel dare la caccia ad uno dei rapinatori che potrebbe gettare luce sul passato di lei, in quanto l’intera banda criminale di cui fa parte sembra esser composta da SEAL in congedo, Jane fa di testa sua: preferisce agire da sola e si fa scappare il sospettato. Questa sua scelta è dettata da due fattori: oltre ad aver intuito che Weller non le ha detto tutta la verità sul suo caso, sembra che l’istinto la guidi ad affidarsi solo a sé stessa (I can handle myself, “so badare a me stessa”, ripete di continuo). Deve trattarsi di un istinto ben radicato,

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perché è chiaro che è stata addestrata a questo genere di cose, ma non avendo una visione globale di sé stessa, non fa che scommettere di continuo sulle sue abilità.
Weller, dal canto suo, si sente tradito da Jane. La sua è una posizione scomoda: è un leader, quindi è responsabile del morale e dell’unione della sua squadra. L’ingresso di Jane, come accade per tutti i gruppi che accolgono un nuovo membro, provoca uno squilibrio su tutti i fronti. Weller si trova a dover proteggere tutti, oltre che il suo status. Forse in ciò sarebbe facilitato se solo aprisse la bocca quando parla, ma dettagli.

«You can trust me, Jane. I’ve been looking for you my entire life.»

Puoi fidarti di me, Jane. È tutta la vita che ti cerco. L’episodio ha una risoluzione importante: Weller decide di confessare a Jane la sua ipotesi sulla sua vera identità. La scena è intrisa di grande sentimento, perché Weller sceglie di andare contro ordini diretti di Mayfair, così facendo, ma non importa perché Jane ne ha bisogno, lui lo sa, ed è convinto di aver ragione.

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Naturalmente è coinvolto, ma la natura di questo coinvolgimento va ben al di là degli occhioni verdi di Jane/Taylor: gli sceneggiatori hanno sapientemente riservato una parte di trama, accaduta nel passato di Weller e di suo padre ingiustamente accusato, per tempi migliori. Il potere dei flashback: grazie J.J.
La conferma arriva anche dalle analisi del DNA: Jane è Taylor. Siamo solo alla terza puntata è già la trama si è sviluppata parecchio: così si fa, prendi nota Robert Kirkman!

«They trust you.»

E con queste parole che la Mayfair – non la nave – dà ufficialmente il benvenuto a Jane nella squadra. La sua presenza è indispensabile, sotto ogni punto di vista. Meglio armarla e includerla del tutto, perché le situazioni a metà portano solo guai. Potrebbe essere l’occasione giusta per Jane di riguadagnare fiducia in chi la circonda, così come per la squadra di capire meglio con chi hanno a che fare. Ciò non toglie che i dubbi espressi dall’agente Reade: i SEAL reclutano i propri agenti in base a quanto pochi scrupoli e moralità hanno. Questo cosa dice di Jane?
Purtroppo, però, i nostri protagonisti dovrebbero rivolgere i loro dubbi proprio agli insospettabili. Mayfair è decisamente coinvolta, l’affare è losco e più grande di tutti loro. Un po’ alla Castle, per intenderci. Due sono le criptiche parole chiave emerse in questa puntata: OrionDaylight. Ora come ora, mi fanno pensare ad operazioni militari ma è ancora presto per dirlo. Comunque, il telefilm va decisamente nella direzione giusta.

Bonus: Patterson, il tangram e tanta dolcezza

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L’esperta forense Patterson si è subito dimostrata brillante, ma anche dolce e solare. In questa puntata ha dato un senso ai problemi sorti all’interno della squadra. Jane è un nuovo pezzo di un tangram, un rompicapo geometrico che partendo da semplici forme arriva a formarne di più complesse. La squadra di Weller è il un tangram ben consolidato, che ha solo bisogno di tempo per trovare la giusta posizione di Jane e formare una nuova forma complessa. L’umanità di questo personaggio mi ha colpita molto, è una presenza necessaria per l’equilibrio del cast, volendo restare in metafora.

Vi lascio al promo della quarta puntata, “Bone May Rot”.

Ringraziamo:  Telefilm. ϟ | DemiMovie | Serial Lovers – Telefilm Page |Serie Tv Mania | Film & Serie TV | Serie tv, la nostra droga | Serie Tv, la nostra passione | And. Yes, I love telefilms and films ∞


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