Con questo episodio, Blindspot ha messo in pausa la narrazione sequenziale a cui ci ha abituati, fatta di nuovo caso – nuovo tatuaggio – morte del cattivo, riagganciandosi al caso della spia russa che aveva persino riconosciuto Jane diverse puntate fa.
Una puntata che strizza l’occhio alle produzioni dei grandi network, penso ad AMC ed HBO, che riescono a costruire fantastiche puntate a basso budget ambientandole in un solo scenario, al massimo due, e col cast ridotto; ma Blindspot rimane fedele alla tradizione della più classica cable tv, riducendo solo il set all’ufficio dell’FBI e concentrando in 40 minuti un incalzarsi di interrogatori e controinterrogatori. Persino il grande ufficio dominato dalla fredda luce riflessa del plexiglas riesce a risultare claustrofobico, forse anche grazie all’aiuto di dialoghi più serrati e tesi del solito.
Torna a scuotere l’equilibrio della squadra il simpaticone incravattato che aveva messo sotto inchiesta Patterson, desideroso di fare piazza pulita dei presunti incompetenti che pullulano nell’FBI. Quarantena, poligrafo e minacce: una ricetta vincente. E sicuramente l’atteggiamento di Fischer riesce, ancora una volta, a risultare indisponente: sono sempre dell’opinione che sia lì a fare il suo lavoro, ma senza dubbio lo sta facendo male. Tatticamente parlando, distribuire minacce come birra a San Patrizio non ha molto senso.
D’altro canto, però, i nostri fortissimi agenti dimostrano di essere stati addestrati da Topolino, data la facilità con cui Fischer riesce a metterli in crisi e farli crollare per un nonnulla. Un tizio che stampa i risultati del poligrafo – per altro svolto completamente a casaccio – su carta spaventa quanto i bradipi di Zootropolis.
Devo ammettere, però, che avevo quasi creduto alle accuse contro Jane. Confesso: Fischer era riuscito quasi a raggirarmi. Anche se con Jane è difficile tracciare una netta demarcazione di colpevolezza, perché spesso agisce un po’ trascinata dagli eventi, più che con un fine specifico: quando incontra l’uomo-albero, potrebbe benissimo incontrare un agente CIA o KGB, per quel che ne sappiamo. Questo non fa di lei una vera spia, perché ne è inconsapevole.
E infatti su questo che si basa la sua ribellione al suo contatto anonimo, perché Jane capisce di essere fondamentalmente una spia senza neanche sapere per cosa e per chi.
I’m done. I’m out.
Come darle torto? Il livello di corruzione si sta intricando sempre di più, arrivando a toccare lo stesso Fischer, un funzionario di livello piuttosto alto. Tutto fa pensare che la questione sia più complicata della solita storia la-Russia-ci-spia-perché-la-Guerra-Fredda-non-è-mai-finita. Come dice lo stesso Weller, Jane non ha alcun accesso ad informazioni importanti per le spie e, soprattutto, ha aiutato l’FBI a risolvere i casi, non certo i Russi o gli altri nemici. Weller è l’unico la cui fiducia per Jane non traballa neanche per un secondo ed è l’unico a saper scuotere, a suon di proteste, la terribile glaciazione che è crollata sull’ufficio.
Tralasciando il fatto che Weller ha capito tutto grazie all’etichetta della giacca di Roman – sul più bello, queste trame complesse si semplificano troppo e, per come la vedo io, gli autori mortificano l’intera narrazione – è sempre Weller ha esporsi indefesso per salvare Jane da chissà quale destino. Ma è Jane a premere il grilletto, come nella scorsa puntata aveva fatto Weller, forse un po’ troppo facilmente, forse un po’ inutilmente. Fischer sarebbe stato una risorsa importantissima per capire fin dove si addentra la serpe del complotto, ma anche lui finisce steso a terra. Addio all’ennesima pista. Gli autori hanno trovato un buon modo per tirarla per le lunghe: dietro il mi sono sentita minacciata, quindi ho sparato si nasconde un più strumentale, e spaventoso, vogliamo allungare la trama finché abbiamo gli sponsor.
In una sola giornata il dubbio si è insinuato nella mente di tutti, la fiducia per ogni altra persona nel palazzo è stata messa a dura prova e Weller ha capito di essere solo nella sua battaglia per Jane. E lo capiamo dal suo sfogo finale con la sorella, perché da bravo maschio primitivo vuole difenderla dalla relazione con Reade. Cosa abbiamo già detto sul potere delle intimidazioni? Ma per la prima volta, questo attore – un po’ scarso, secondo me – ha tirato fuori un’emotività che non mi aspettavo.
Per quanto ancora questo complesso del Salvatore gli farà rischiare di perdere tutto, proprio per salvare tutti?
Vi lascio al promo della prossima puntata, Rules in Defiance, anagramma di Find a Secure Line.
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