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[Recensione] Cani Randagi di Roberto Paterlini

Creato il 25 marzo 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Cani Randagi di Roberto PaterliniTitolo: Cani randagi
Autore: Roberto Paterlini
Editore: Rai Eri
Prezzo: 15 euro
Pagine: 303
Anno: 2012
ISBN: 978-88-397-1589-0
Voto: [Recensione] Cani Randagi di Roberto Paterlini

Trama:

Ve l’avevo già anticipata  QUI, pertanto non mi soffermerò all’infinito sull’elenco degli eventi che in un certo senso vi ho raccontato già.
Ricapitolando rapidamente: la narrazione è tutta concentrata sul tema dell’omosessualità, affrontata in epoche differenti, tramite tre storie; tre relazioni nel tempo lontane, ma che  in fin dei conti non potevano essere più vicine di così.
Tutto ha inizio come per magia tramite un’ audiocassetta: quella trovata da Federico e Giacomo, a casa dello zio di quest’ultimo, Matteo.
In questa,  è riportata un’intervista che Francesco, il compagno di Matteo, ha fatto al signor Luigi, che è stato vittima del confino. Da qui si snodano le tre vicende.
C’è quella di Luigi e Franco, in un tempo in cui rivelare la propria vera natura in pubblico era pericoloso per la propria incolumità e creava addirittura disonore e scandalo, quella di Francesco e Matteo, alle prese con una malattia che distrugge le persone moralmente, prima ancora che fisicamente. Poi ci sono Giacomo e Federico… e Enrico, chiamati a gestire un tempo di confusione, alla ricerca di cosa si vuole davvero nella vita.

Recensione:

Ho deciso di suddividere per motivi di praticità la recensione in tre parti, dando a ciascuna storia interna lo spazio che merita

Prima parte:

Inizialmente, sono rimasta impressionata dalle sfumature e dal potere che esse esercitano nella vita delle persone.

C’erano i maschi, che erano legittimati a metterlo in qualsiasi buco li aggradasse, e restavano maschi. E poi c’erano gli arrusi.

Insomma, nel 1939 l’omosessualità non solo  era demonizzata, ma anche valutata in modo discriminante: i maschi restavano maschi. Che poi lo mettessero in una donna, in un uomo, in un topo, in un gatto, in una capra, in un tombino o in  un tritarifiuti, poco cambia. Come se l’atto di metterlo implicasse a priori l’ eterosessualità e li ritenesse così abissalmente diversi dagli arrusi, i ragazzi-mignotta spediti al confino, che a detta della gente comune erano perversi, malati e loro stessi erano i primi ad esserne convinti.
C’è infatti una sorta di ombra, di malessere, di schifo, che gli arrusi hanno sia verso la propria persona, sia nei confronti degli altri. Qui a detta mia, si fa strada oltre ciò, una sensibilità più profonda e il tormento di non riuscire ad affermare la propria virilità, la mascolinità che si sente di possedere, seppur non riconosciuta dal mondo.

Io sono arrabbiato con tutti i maschi del mondo.  (…) anche con quelli che non hanno fatto nulla per portarmi qui, come se non fossero la mia specie, come se fossimo sangue diverso, fattezze diverse, animali nemici per istinto. Il pensiero di soddisfarli mi disturba e nausea. Il pensiero di godere di loro mi fa sentire disgustoso.

Oltre la rabbia verso Dio (disseminata un po’ in tutto il libro), verso gli uomini e molto più in generale verso chiunque disprezzi i gay senza considerarli persone, sono rimasta sorpresa da improvvise riflessioni sulla natura benevola umana, dal disarmante senso di comprensione e perdono che fa capolino in un punto ben preciso della trama: quando gli arrusi, maltrattati, malnutriti ed esausti,  vengono condotti verso il vero e proprio esilio, mentre i loro “carcerieri”, mossi da una scintilla di bontà, gli risparmiano la fatica di remare la barca nelle loro condizioni. Proprio in mezzo alla desolazione, alla lontananza da casa, si trova un comune denominatore importante: l’umanità delle persone, che fa capolino nonostante la discriminazione e le differenti ideologie. In un certo senso si affaccia una speranza di comprensione reciproca, tramite la pietà umana.

Muovono loro i due pesanti voghi di legno per rubare spazio all’acqua, sudano ma non si lamentano. Anche questa premura è testimone delle loro condizioni, pensa Luigi, e in quella stanchezza così assoluta che non ha lasciato più spazio alla rabbia, scopre che gli esseri umani sanno essere molto più di ciò che talvolta fanno, e quasi sempre di ciò che dicono o pensano, o dicono di pensare. E si commuove.

Seconda parte:

Francesco e Matteo, non hanno invece a che fare con le discriminazioni fasciste, ma dovranno sopportare una croce peggiore: l’aids di Matteo -il più giovane e forte caratterialmente tra i due-  e il terrore del suo compagno di perderlo, di vederlo sfiorire giorno per giorno. Di loro due mi sono proprio innamorata, specie di Matteo, del suo affrontare la vita in modo aggressivo, con grinta. Del suo ego, delle vanità, del voler far forza all’altro mentre in corpo ha qualcosa di più grande di lui che lo consuma e in un certo senso non ha il coraggio di abbandonarsi allo sconforto, fino a quando non prende il sopravvento la debolezza, il lato umano… allora esplode, esce fuori la drammatica eroicità di un personaggio che vorrebbe continuare a proteggere chi lo circonda, ma non sente più nemmeno le forze per salvare sé stesso. L’incubo dell’eroe di dover prendere atto della propria impotenza.

Matteo lo stringe a sé e si sente disperato, con l’intero peso di tutto il creato sulle spalle. Vorrebbe dilaniare la sua stessa carne, o che un meteorite colpisse la città e li ammazzasse tutti. Più forte di lui sente crescergli dentro il bisogno di condividere con Francesco quel pianto e lo fa, per la prima volta da quando gli hanno detto della malattia. Si stringe a lui e lo abbraccia con tutta la forza, rendendosi conto di essere molto debole, che il viaggio è stato lungo e pesante, e il caldo asfissiante. Francesco è sconvolto dal suo viso rosso e umido, e dal tremore delle sue spalle. Non ha mai visto Matteo abbandonarsi in quel modo alla propria miseria.

Poi ci sono gli indelebili ricordi di Francesco (tra i quali non ho potuto ignorare la citazione a “The Prettiest Star” di David Bowie, che non poteva essere più adatta a suscitare diverse emozioni, tra cui la tristezza per una storia così bella che in un certo senso si avvia al tramonto), le riflessioni su una vita che non è certo di voler vivere se insieme a lui non c’è il suo amore. Il futuro che sembra sempre più ostile e incerto, anzi quasi non si vede, senza Matteo, la cui vita sta per svanire.

La vita scompare e basta? Decide di andarsene e semplicemente se ne va? Dove va? Dove crede di poter stare meglio che nel corpo di qualcuno come Matteo?

Terza parte:

Essenzialmente parla di Giacomo e i “cani randagi”, di come cerca di cambiare l’esistenza di giovani ragazzi che si prostituiscono, senza tuttavia riuscirci, della storia con Enrico e l’incontro con Federico. Giacomo essenzialmente è l’uomo adulto della situazione (ma solo per età), ha la tendenza a scegliere partner di molti anni più giovani, che tuttavia non riesce a gestire. La sua mania del controllo, la tendenza a schematizzare tutto e la paura stessa dell’amore reale che non corrisponde alle sue aspettative, lo porteranno a compiere parecchi errori a cui non sa porre esattamente riparo.
Poi il dilemma: L’istintivo, indimenticabile Enrico, o il fin troppo buono e bello Federico?! Devo ammettere che quest’ultimo personaggio, a parer mio ha lasciato la scia quasi più degli altri per il suo modo di pensare, la sensibilità tangibile, la maturità, pur essendo un ragazzo molto giovane.  Mi aveva già colpita a inizio narrazione, quando trovando la cassetta pensa che gli piacerebbe che gli oggetti avessero vita propria. E’ quello che per me meno passa inosservato, sia perché viene presentato come una persona dalla sconfinata bellezza, sia perché molti dei suoi ragionamenti mi hanno lasciata interdetta, positivamente sorpresa, come quello col quale  in un certo senso conquista Giacomo

La regina voleva solo proteggere se stessa, e tu sei un cacasotto esattamente come lei (…) Perché lo sai benissimo che se ora ci baciassimo poi la tua stupida vita da due soldi non sarebbe più come adesso, sotto controllo e senza sentimenti come piace a te! Non fingere di farlo per il mio bene, e non fingere nemmeno di farlo per non essere come gli altri, perché se possibile tu sei persino peggio di loro.”

In conclusione:

A forza di leggere libri, ero convinta di essermi persa un po’ la passione per strada, che le pagine non potessero più toccarmi personalmente. Invece questo libro mi ha scombussolata. Paterlini ha la capacità straordinaria di aprire il varco tra la realtà e la storia e gettartici dentro. Allora tu non sei più il lettore; sei Luigi, Francesco, Matteo… diventi qualcosa d’inscindibile con la narrazione, pur non potendo capire realmente quanta sofferenza si celi dietro ogni pagina. Pur non avendola vissuta sulla tua pelle, in qualche modo te la porti dietro e acquisisci una consapevolezza diversa. Dei personaggi ti appassioni davvero e t’interessa realmente sapere come vadano a finire le loro vicende, cosa che trovo molto rara  in una storia, ora che non leggo più con l’entusiasmo che avevo da bambina. Come va a finire? Il “the end” è molto di classe; in un certo senso mi ricorda quello de “La solitudine dei numeri primi”; anche se non è esattamente così aperto, ti lascia con un dubbio e la frase di chiusura, più che un’affermazione è quasi una domanda. Tutti possono arrivare da soli a supporre come sia andata, ma poi ti trovi a rimuginare :”e se non fosse realmente andata così?!”.

Concludo con la cosa che  probabilmente è la  più importante da comunicare: il messaggio. Ve lo dico perché si arriva quasi a dire :”ma perché vengono accostate delle storie che apparentemente hanno diversi gradi di  gravità?!” Ecco a parer mio la risposta

“Continuo anche a pensare al nastro che abbiamo sentito, (…) Sai, all’inizio mi sono detto: in fin dei conti non gli è andata tanto male… E se pensi a cosa è successo in Germania, che i finocchi venivano deportati nei campi di concentramento e torturati e ammazzati, effettivamente non gli è andata troppo male… Ma in realtà il principio non cambia. Sarebbe come dire che se la passa meglio quello a cui semplicemente dicono frocio rispetto a quell’altro che viene preso a botte… Certo, ovvio che è così! Ma sono due frutti della stessa pianta.”

Vi lascio così, consigliando la lettura a tutti; perché il libro parla molto semplicemente d’amore, che è un concetto universale e potente. Omosessuale o eterosessuale che sia, è  fatto di sentimenti, emozioni, ricordi, sensazioni. E  l’amore nel senso vero di legame, non è mai un concetto differente per nessuno.


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