Titolo: Il sole bacia i belli
Autore: Charles Bukowski
Curatore: D.S. Calonne
Traduzione di: S. Viciani
Editore: Feltrinelli
Anno: 2014
ISBN: 9788807491627
Numero pagine: 327
Prezzo: € 18,00
Genere: Interviste
Voto:
Contenuto: “Molti dicono che Charles Bukowski non esista. Una leggenda metropolitana, che dura ormai da anni, afferma che tutte le poesie turbolente da lui firmate in realtà siano state scritte da una vecchia scorbutica dall’ascella cespugliosa.” Così scriveva nel marzo 1963 un giornalista del “Literary Times” di Chicago. Poeta di culto in molti ambienti underground, Bukowski era ancora ben lontano dalla fama mondiale che avrebbe raggiunto in seguito. Quel giornalista non solo scoprì che Charles Bukowski esisteva davvero. Ma verificò di persona che le sue poesie non mentivano, e così i suoi romanzi e racconti. Lo scrittore era davvero parente stretto del personaggio cinico, vitale e sporcaccione che i suoi lettori stavano imparando ad amare. E mentre i decenni passavano e cresceva il seguito di questo poeta alcolizzato, sempre più giornalisti andavano a trovarlo, ascoltavano i suoi racconti, annotavano le sue riflessioni veggenti e stralunate. Questo libro raccoglie i migliori pezzi giornalistici (e non) in cui la viva voce di Bukowski parla di sé. A partire da quella primissima intervista, realizzata cinquant’anni fa in una delle sue proverbiali, maleodoranti stanzette hollywoodiane, per arrivare all’ultima chiacchierata, concessa a bordo piscina nella sua villa di San Pedro, pochi mesi prima di morire.
SULL’ESSERE INTERVISTATO
«È come essere messo all’angolo. È imbarazzante. Così non sempre dico la verità fino in fondo. Mi piace giocare un po’, fare un po’ il buffone , quindi fornisco molte notizie false per puro intrattenimento e per sparare cazzate. Quindi se vuoi sapere qualcosa su di me, non leggere mai un’intervista. E ignora anche questa».
Charles Bukowski
Recensione:
Ci sono diversi modi di conoscere un autore. Il primo e insostituibile è leggere ciò che ha scritto di suo pugno: le poesie, i racconti, i romanzi, un’eventuale autobiografia.
Il secondo è approfittare dei momenti in cui ha confidato o confessato qualcosa a qualcuno, di solito in un’intervista. In questo caso si fa incetta di frasi, discorsi e ragionamenti rubati da un particolare contesto.
Anche le interviste costituiscono, a loro modo, fonti dirette, tendenzialmente attendibili, utili a chiarire degli aspetti rimasti nell’ombra.
L’intervista tuttavia è per sua natura subdola, un genere ingrato. A seconda dell’abilità di chi pone le domande, l’intervistato può stare sulle difensive, dimostrarsi troppo accondiscendente alle aspettative dell’altro. Essere all’altezza del compito non è cosa da poco. In ogni caso serve armonia, equilibrio, nessuno deve dare l’impressione di subire o, peggio, tollerare l’altro.
Questo basta per intuire che l’intervista in sé è un azzardo. Figurarsi una raccolta.
Chi viene intervistato difficilmente può ragionare sulle conseguenze che può condurre una raccolta: magari ha mentito, ha cambiato opinione, a una domanda ricorrente si è pronunciato in n modi diversi a seconda dell’umore, del contesto, della persona che aveva davanti. E vallo spiegare che, magari, si tratta di una evoluzione del pensiero e non di incoerenza. Salvo avere la presenza di spirito di citare Whitman:
Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini.
Il sole bacia i belli – Interviste, incontri, insulti, contiene una trentina di interviste in ordine cronologico rilasciate tra 1963 e il 1993.
Nelle parole di Bukowski appaiono in primo luogo tutti gli ingredienti che hanno caratterizzato e caratterizzano il personaggio, forse fino a soffocarlo. L’humour (o l’inclinazione al grottesco), per esempio, è solo uno dei componenti del temperamento vulcanico per il quale è conosciuto.
Ciò che più importa sono la lucidità e la chiarezza di idee che ne marcano, ne fissano l’individualità granitica. Spicca, e nemmeno tanto di sfuggita, la storia personale, tanto importante da non poter essere contenuta, conservata in maschere, modelli, schemi, o canoni che dir si voglia. Anzi, persino il personaggio dato in pasto alla massa, separato dalla sua poetica, a tratti ne falsa la figura:
In America, adesso, pretendono che io sia quasi sempre ubriaco e nei bassi fondi… Ma ho diritto ad avere una vita mia. E anche se un tempo ho vissuto così, ho diritto di cambiare.
La sua esistenza si apre alla storia con la S maiuscola, ai mutamenti della vita culturale e politica degli Stati Uniti, a eventi dai quali non si fa travolgere e dai quali prende le distanze, pur osservandoli da vicino e traendone le conclusioni del caso.
Si legge, tra le righe, un’indefessa e costante volontà non tanto di emergere, quanto di disallineare la propria individualità dalla massa e dal suo orrendo vuoto, da chi è alla ricerca di emozioni comode e manca di centro e di voce:
Se non riesco ad allontanarmi dalla massa non saprò mai chi sono loro, chi sono io.
Tra l’altro è la stessa missione dello scrittore quella di avere un centro, una voce, di sapere chi sia, di non fare discorsi o pubblicare libri che chiunque può scrivere.
Affinché ciò sia possibile, capisce lui stesso che il suo IO, per innalzarsi, deve rimanere genuinamente mostruoso.
Questa esigenza traspare nelle letture giovanili in cui cercava una traccia di sé e del proprio avvenire. A che servono i libri? si domanda a un certo punto, nell’osservare la popolazione (la massa) che ha intorno. Massa sono le persone normali, quelle che alla lunga non danno miglior prova di sé, e non sbagliano meno di quanto può sbagliare lui.
Altra domanda di rilievo: dove sono i modelli, quali scegliere tra essi? Negli anni ’40 c’era Hemingway, c’era Auden, a formare un canone che non è sopravvissuto.
E ora?
ti guardi intorno ed è un vero mortorio… non c’è nessuno da prendere come modello… non c’è nulla all’orizzonte.
Non giunge a tanto, ma forse è questa carenza che ha fatto di lui stesso, suo malgrado, un modello se non un mito. Anzi: un personaggio che ha coniugato lo scrittore con il bevitore, il provocatore, il clown, l’indipendente solitario, il genio della poesia, il donnaiolo, il barbone, il rissaiolo. Ma così è andato in pasto alla stessa massa che discute e mostra per quella che è:
Il personaggio principale che attacco nelle cose che scrivo sono io, e fondamentalmente impersono qualsiasi tipo di uomo che si incontra per strada.
Bukowski ha faticato molto per trovare nella letteratura qualcosa che gli somigliasse. Pochi o nessuno affrontano di petto la realtà, preferendo mantenersi sulle difensive. Se leggeva qualcosa che parlava di lui, come per esempio Senza un soldo a Parigi e a Londra di Orwell, rimaneva insoddisfatto: tutto qui?
Mi sono detto questo tizio è convinto di averne passate di ogni? Paragonato a me è solo stato sfiorato dagli eventi.
Da qui la genesi del romanzo Factotum del 1975, da cui nel 2005 è stato tratto un film dal regista norvegese Bent Hamer.
Bukowski è schietto, prende di petto i problemi reali: il tema centrale dei suoi scritti è la vita con V maiuscola. Quando non ha scritto ha vissuto, raccogliendo prezioso materiale da cui poi ha attinto.
Questa poetica è un tutt’uno con una sorta di culto e attenzione rivolta alla sofferenza, soprattutto la propria. Bukowski ha appreso da Dostoevskij che l’avversità è la principale molla del realismo autobiografica. La sofferenza è totale, arginarla significa barare: si soffre se si vive accanto a qualcuno, e qualsiasi scampolo di felicità ha, alla fine, il suo prezzo.
Anche la scrittura passa attraverso la sofferenza, è immediata, va subito al sodo. Ha poco a che fare con l’intrattenimento. Se questo c’è, è il gusto del teatro che asseconda il personaggio (specie nei reading poetici) che si è fatto strada:
La scrittura stessa… troppa gente la prende come una cosa romantica. Ho conosciuto tanti scrittori che non sono … molto umani, credo. Sono scontrosi, nevrotici e la loro arte li sta distruggendo.