Titolo: Cinquanta sfumature di grigio
Autore: E. L. James
Editore: Mondadori
ISBN: 978880462323
Numero pagine: 548
Prezzo: € 14,90
Voto: 0
Trama:
Anastasia, studentessa universitaria, bella, impacciata e vergine s’innamora di Christian Grey, aitante quanto misterioso miliardario che sembra ricambiare l’interesse per lei. Ne nasce una relazione a base di sesso in salsa sadomaso in cui il navigato Grey, tormentato da un oscuro passato, fa da padrone-maestro all’inesperta Anastasia, incapace di resistergli.
Recensione:
Avete letto bene, signore e signori, lassù non ci sono stelline, manco una. Perché? Perché semplicemente questa cosa orribile che mi accingo a recensire non merita nemmeno di essere catalogata come libro, sarebbe un insulto verso qualsiasi autore – sì, persino verso quello più scarso, più stordito o incapace – che io abbia mai letto.
Mai come ora sono convinto che non ci sia limite al peggio per una buona quantità di cose, tra cui quello che ultimamente viene pubblicato in Italia. Potrei riassumere l’impressione che questo romanzo mi dà in un paio di parole, ma ben pochi prenderebbero sul serio una dichiarazione fatta così a bruciapelo. Non senza qualche elemento come prova, almeno, e di prove ce ne sono a bizzeffe.
Come si deduce già dalla trama, la storia è un unico, enorme stereotipo: la protagonista non è una Mary Sue, è la Mary Sue per eccellenza nella sua forma più primordiale e perniciosa.
Anastasia è la classica studentessa sfigata, sempre in disparte, goffa e imbranata: si vede distintamente che il modello è proprio Bella Swan di Twilight, e per una ricalcatura precisa del personaggio è anche nello stesso modo amorfa e incapace di prendere decisioni. È lei stessa a descriversi:
[…] correre e fare qualcos’altro in contemporanea, tipo far rimbalzare o lanciare una palla, non è pane per i miei denti.
In campo sentimentale, però, non mi sono mai messa in gioco. Una vita di insicurezze… Sono troppo pallida, troppo magra, troppo trasandata, scoordinata, e la lista potrebbe continuare all’infinito. Quindi sono sempre stata io a respingere qualsiasi spasimante. C’era un tipo del corso di chimica che mi veniva dietro, ma nessuno ha mai suscitato il mio interesse…
Vogliamo scherzare?! Lei non può, a ventun anni suonati, avere mai provato interesse per qualcuno: altrimenti come farebbe a presentarsi vergine e inesperta davanti al tenebroso Stereotipo Numero Due nonché suo complemento?
Nell’attesa del suo arrivo, però, è necessario un ripiego: e allora entra in scena Kate, Stereotipo Numero Tre, ossia la classica amyketta del cuore della protagonista, che naturalmente è il suo esatto opposto, con un fisico da modella e un carattere ideale:
[…] la mia amica ha frequentato le migliori scuole private di Washington. La sua famiglia è ricca, e lei è cresciuta sicura di sé e del proprio posto nel mondo. Non si fa intimidire da nessuno. Quanto la ammiro!
A questo punto è interessante notare due cose: primo, che qui la ricchezza è la chiave per qualsiasi cosa nella vita; secondo, che la protagonista scrive in prima persona. E lo fa con uno stile che rispecchia alla perfezione i primi diari di una bimbetta di sì e no dodici anni, peraltro ben poco intelligente. Questo, ovviamente, iterato per più di cinquecento pagine, continuamente, riga dopo riga.
Sebbene Anastasia sia inappetibile e inavvicinabile, gli unici altri due personaggi maschili del romanzo stravedono per lei e farebbero di tutto pur di accaparrarsi le sue simpatie.
Ogni volta che è a casa, Paul mi invita a uscire e io gli rispondo di no. È una specie di rituale. Non mi è mai sembrata una buona idea frequentare il fratello del mio datore di lavoro, e poi Paul ha la bellezza del tipico ragazzone americano della porta accanto, ma non è un eroe letterario, neanche con uno sforzo di fantasia.
Logico: lei è una povera ragazza brutta e incompresa, timida e riservata, che legge grandi classici inglesi. Eppure tutti le cadono ai piedi e scrive come una bimbetta leziosa!
Come se non bastasse, dato che uno spasimante è troppo poco, c’è anche la seconda scelta: Josè, fedele copia di Jacob Black, con la sola differenza che almeno non è una sottospecie di licantropo. L’aspetto fisico, però, ricorda in modo molto nitido quello dell’attore del cast di Twilight. E dire che Taylor Lautner ha fatto anche altri film.
Ci vuole proprio l’arrivo del principe azzurro, ma non può certo essere un incontro rocambolesco: nel modo più banale possibile, l’amyketta Kate si ammala e il compito di intervistare per il giornale studentesco il misterioso Christian Grey non può che spettare alla coinquilina, la nostra ingenua Anastasia.
Fin dal primo momento in cui lo incontra, lei ne rimane stregata e non fa che ripetere al malcapitato lettore ogni altro paragrafo quanto lui sia avvenente: Nessuno dovrebbe essere così attraente. Durante l’intervista, poi, si susseguono domande imbarazzanti perfino per chi legge: dal momento che lui non è mai stato visto in compagnia di una donna, la prima domanda diretta riguarda il suo orientamento sessuale posto come se essere gay fosse una malattia raccapricciante. Il tutto condito da un’atmosfera adorante in cui manca solo di sentire urletti isterici e sospiri da iperventilazione.
Nonostante questo, Christian, bellissimo e ricchissimo (la ricchezza è la chiave per qualsiasi cosa nella vita, non dimentichiamolo), resta stregato da Anastasia e comincia da bravo stalker a seguirla ovunque, monitorando ogni suo spostamento e capitandole accanto sempre nel momento del bisogno e in qualsiasi Stato americano si trovi, salvandola da un ciclista scriteriato o dalle mani lunghe di Josè (no, non mi sono sbagliato, non sto parlando di Edward Cullen anche se lo stampo è il medesimo).
Anastasia, tuttavia, è già cotta di lui fin da quando se lo trova davanti la prima volta:
Scuoto la testa per ricompormi. Il mio cuore batte furiosamente, e per qualche motivo arrossisco sotto il suo sguardo immobile. Sono totalmente sconvolta. I miei ricordi non gli facevano giustizia. Non è semplicemente bello: è la quintessenza della bellezza maschile mozzafiato, ed è qui. […] Chi lo avrebbe mai immaginato?
Mah, penso qualsiasi lettore che abbia qualche punto in più nel quoziente intellettivo medio della maggior parte del pubblico italiano attuale. E poi ancora:
Perché mai quell’uomo splendido, potente e raffinato dovrebbe volermi vedere?
Ma è chiaro, perché tu sei colei che lo conquisterà, lo stregherà, lo cambierà e tutto il resto.
Potrei stare tutto il giorno a guardarlo… È alto, slanciato, con le spalle forti…e il modo in cui i pantaloni gli cadono sui fianchi… Una o due volte si passa le dita tra i capelli […]. Mmh… quanto vorrei farlo io. Mi mordo il labbro e abbasso gli occhi, perché non mi piace la direzione che stanno prendendo i miei imprevedibili, imbarazzanti pensieri.
I puntini fuori dalle parentesi quadre non sono omissioni della citazione, è proprio il testo in sé a essere così. Altrimenti non sembrerebbe più un diarietto delle elementari.
Non capisco. Mi vuole o no? La settimana scorsa non mi ha baciata. Gli faccio schifo? Eppure, sono qui, ed è stato lui a portarmici. Non capisco a quale gioco stia giocando. Cosa pensa?
Quest’ultima citazione è solo un esempio dei tanti monologhi che Anastasia ripete dall’inizio alla fine del libro.
Tutto procede secondo lo schema di Twilight e di qualsiasi altro telefilm o romanzo di quart’ordine in cui cambiano i nomi ma la sostanza rimane invariata. Christian inizialmente cerca di avvolgersi in un’aura misteriosa e insospettabile e di dissuadere la sua vittima:
[…] io non sono un tipo da cuori e fiori, non ho niente di romantico, ho gusti molto particolari. Dovresti stare alla larga da me. […] Ma in te c’è qualcosa, per cui non riesco a starti lontano. Immagino che tu ormai l’abbia capito.
È un vampiro vegetariano (che si nutre di animali, stando alla Meyer)? No: semplicemente è dedito a pratiche sadomaso, è un Dominatore che a quindici anni è stato sottomesso da una delle amiche della sua matrigna, e non può certo turbare la purezza di Anastasia, che come viene ribadito di continuo è vergine e inesperta.
Qui comincia la parte che, in teoria, dovrebbe essere erotica. Quella che, per intenderci, ha conquistato tutte le donne eccetera eccetera.
In realtà è pura e schietta pornografia. Perfino l’atto sessuale in sé riesce a essere meccanico e stereotipato, si ripete sempre uguale e fine a se stesso, e sono solo tre le parole che lo caratterizzano in cinquecento pagine: “scopare”, “fottere” e “gemere”. Non normali ripetizioni, vere e proprie ossessioni esasperanti: non è più nemmeno un’imitazione della narrativa, è la sceneggiatura di un film porno. Anzi, di un video amatoriale, dal momento che perfino i film hanno una sceneggiatura scritta in modo un po’ più decente. Ma d’altronde abbiamo a che fare con una protagonista che, nel momento in cui Christian nomina il corteggiamento, scoppia a ridere come un’oca e lo prende in giro per il suo linguaggio forbito: «Da quale cronaca medievale sei fuggito?» dico «Sembri un cavalier cortese».
E, puntualmente, lui non può che rimanere affascinato da quanto Anastasia sia spiritosa e divertente.
Il resto del libro non ha più trama, i dialoghi che non riguardano il sesso sono talmente staccati dalla trama da risultare messi lì solo per dare volume al libro: tra l’amyketta Kate e il fratello di Christian è stato amore a prima vista quindi ci si è liberati di due intrusi in un colpo solo, gli amici Paul e Josè cessano semplicemente di essere nominati, e i genitori/tutori di Anastasia e Christian si crogiolano nella loro vita fatta di shopping e feste in piscina limitandosi ad approvare amichevolmente la relazione dei due.
Dopotutto, lei è irresistibile e lui straricco, quindi è tutto perfetto.
Ma tra loro, ahimè, cominciano ben presto le tensioni: lui vorrebbe una relazione contrattuale tra Dominatore e Sottomessa, diventa uno stalker sempre più dispotico ed esigente; lei invece mira a sapere tutto di lui e del suo oscuro passato, si cala nel ruolo di un’infallibile psicologa e si premura di rendere noto al lettore:
Io posso calmarlo, posso unirmi a lui per un attimo nel buio e portarlo verso la luce.
Così, dopo un tormento durato qualcosa come venticinque capitoli, decide di assecondarlo e lasciarsi frustare con una cinghia. Dopotutto lui ormai è innamorato perso di lei anche se non lo ammette, e visto che l’ammmore vince su tutto tanto vale rischiarlo, questo tutto.
Invece Anastasia non regge, piange disperata (è l’ennesima volta, beninteso), gli restituisce tutti i regali (un MacBook, un BlackBerry, un’Audi e qualche centinaio di vestiti costosi) e lo lascia.
Il libro si conclude su questa nota lacrimosa, e riconosciamo ancora una volta Bella Swan, in stato catatonico per mesi per essere stata scaricata dal suo vampiro glitterato preferito.
Purtroppo c’è anche il seguito del romanzo, e c’è da aspettarsi qualcosa di spudoratamente ripreso da Twilight: Anastasia sola e derelitta che per passare il tempo si passa tutti gli amici trascurati fino a questo momento, un gesto drastico da parte di Christian, un salvataggio in extremis e la ripresa di un amore sotto la grazia salvifica della Mary Sue di turno.
L’unico momento piacevole della lettura è stato quando, girando pagina, mi sono accorto che finalmente era finita.
D’accordo, ammetto di essere partito prevenuto. Non amando per nulla Twilight – pur avendo letto tutti e quattro i capitoli della saga – non mi aspettavo granché dalla fanfiction venuta male di un libro venuto altrettanto male. Solo che non si aspettavo che fosse così pessimo.
Credo di non aver mai letto niente di tanto banale e irritante, e sì che con la narrativa che c’è in circolazione ultimamente è un primato parecchio conteso. I personaggi sono talmente stereotipati che non c’è nemmeno un minuscolo elemento di novità, il linguaggio è o volgare o ridicolmente infantile, e l’effetto conclusivo è quello di un diffuso fastidio mentale.
La cosa peggiore, però, è tutta la pubblicità che è stata fatta a questo libro sia in televisione che su internet, dove fioccano recensioni entusiaste, appassionate e perfino pornografiche. C’è veramente chi racconta orgogliosamente le proprie esperienze solitarie con una mano che tiene il libro e l’altra impegnata in altre attività. No, non è stato questo a scandalizzarmi, ma la dilagante demenza che sta coinvolgendo a macchia d’olio autori e lettori. O meglio, lettrici. Seriamente, mi sto chiedendo quale sia il vostro problema.
Mi è rimasta solo un’avvilita e seccata domanda: perché il lettore medio è caduto così in basso?