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Recensione: CLORO. Un gran bell’esordio italiano, non perdetevelo

Creato il 15 marzo 2015 da Luigilocatelli

cloro 1cloro 14Cloro, un film di Lamberto Sanfelice. Con Sara Serraiocco, Ivan Franek, Giorgio Colangeli, Anatol Sassi, Andrea Vergoni, Piera Degli Esposti.
cloro 16Arriva nei cinema un’opera prima che già ha avuto il suo bel riscontro al Sundane e al festival di Berlino. Una diciassettenne dalla vita disgraziata – madre defunta, padre ingoiato dalla follia, fratellino a carico – e il suo sogno di uscire dalla melma con il nuoto sincronizzato. Una storia raccontata con sguardo c0mpassionevole ma fermo e senza lacrime. In uno stile tra il neodocumentaristico e la rarefazione visuale. Un esordio notevole, anche se non tutto funziona. Grande prova di Sara Serraiocco, l’attrice già vista in Salvo. Voto 7+
cloro 3cloro 11Un buonissimo film italiano, uno dei nostri migliori esordi nel lungometraggio degli ultimi anni. Invitato giustamente al Sundance e subito dopo alla Berlinale nella sezione Generation Plus da dove pensavo sarebbe uscito con un premio. Non è andata così, ma Cloro ha ottenuto visibilità, discrete reviews, una buona accoglienza che spero lo aiuteranno ad avere una circolazione internazionale. Film lontano dalla media piacioneria delle nostre produzioni, un desolato ritratto di esistenze precarie, periferiche, marginali, a rischio, che ricorda certe tranche de vie sottoproletarie di toste registe inglesi come Andrea Arnold (Fish Tank) o Clio Barnard (The Selfish Giant). Con uno sguardo compassionevole ma fermo, con un approccio fenomenico senza lacrime facili né sbavature sentimentaliste che può essere scambiato per impassibilità e non-partecipazione, e invece è solo pudore. Imperfetto, irrisolto, con evidenti limiti soprattutto nella costruzione drammaturgica e nella messa a punto dei caratteri, ma con un’idea forte di cinema e con una regia, finalmente. E con uno stile che è fortemente visuale e attento alla composizione figurativa (le sequenza in piscina sopra e sott’acqua, le inquadrature dell’hotel anni Cinquanta nella neve con le sue affiche d’epoca) e insieme semidocumentaristico, come tanto cinema nuovo di questi anni. Cinema per niente provinciale e medio-italiano e fortemente orientato se mai su sensibilità internazionali, pur raccontando una storia fortemente radicata nel nostro oggi, tra il litorale laziale e le montagne d’Abruzzo. Jenny ha 17 anni, vive a Ostia, si allena forsennatamente in piscina con l’amica Flavia in vista dei campionati italiani di nuoto sincronizzato, che son la sua meta, il sogno, anche la sola chance di riscatto da una vita soffocata e miserabile. Dopo la morte della madre (suicidio? il film è assai reticente, come su altri snodi e passaggi del racconto) il padre è sprofondato in una catatonia, in un chiamarsi fuori dal mondo che ormai slitta pericolosamente verso la follia, sicché a Jenny tocca arrangiarsi, tirare avanti la baracca e badare al fratellino Fabrizio. Con il peggiormanto delle condizioni del padre saran tutti costretti a lasciare Ostia per trasferirsi in una baita simil-tirolese sulla Maiella messa loro a disposizione dallo zio, l’unico di famiglia su cui Jenny potrebbe contare, se non fosse che lui tende a sottrarsi anguillescamente e vilmente agli impegni, influenzato anche dalla sua convivente rumena che non vede di buon occhio l’arrivo degli indesiderati parenti. Sanfelice centra bene le derive esistenziali, che son poi anche sociali e antropologiche, di certa Italia contemporanea vulnerata dalla crisi economica e dalla dissoluzione di un tessuto di relazioni parentali che tradizionalmente dalle nostre parti ha sempre fatto da collante e da argine alle peggiori tempeste. Ma, e qui sta il bello, Cloro non si arena nel facile sociologismo né tantomeno nel piagnisteo, non cade nelle trappole di un urlato quanto vetusto cinema di denuncia e di impegno, semmai osserva, registra, pedina i suoi personaggi costruendo intorno a loro anche una partitura visiva di somma efficacia, come in un neo-neorealismo innestato su un antonionismo rivisitato e reloaded. Succederà che il padre si inabisserà nelle sue crisi psichiche (e quella scena di lui nudo in mezzo alla neve lascia il segno), tanto da dover essere ricoverato in una struttura d’assistenza retta da frati (ma davvero ne esistono ancora di simili in Italia?), mentre Jenny se ne resterà da sola a occuparsi del fratello e di se stessa. Ma non vuole mollare con i suoi obiettivi, con il nuoto sincronizzato e, anche lontana da Ostia, lì sui valichi abruzzesi si allena come può, infilandosi clandestinamente di notte nella piscina dell’Hotel Splendor – magnifica location, con quei residui, quella vestigia di grandeur da stazione sciistica anni Cinquanta – dove lavora come femme de chambre. Solo che questa trama così come la sto descrivendo la si ricompone assai faticosamente, perché Cloro, assai ipermodernamente, e pure qui in linea con tanto cinema giovane che si vede ai vari festival in giro per l’Europa, decostruisce e frantuma ogni linearità narrativa, ogni successione cronologica, mescolando i piani temporali e spaziali, alternando Ostia e Maiella in una voluta confusione. Ci si mette almeno una ventina di minuti per orientarsi nel puzzle, e vien da chiedersi – come di fronte a tanti film odierni altrettanto destrutturati – se questo vezzo e anche vizio autoriale ormai dilagante valga davvero tutta la fatica, lo sforzo di comprensione che richiede allo spettatore. Certo, rientra in quella pratica dell’ellissi, dell’allusione, del non detto e del sottotesto sempre più diffusa nelle narazioni scritte e filmiche, e suona molto chic e dandistica, solo che si ha l’impressione di essere arrivati a un punto limite oltre al quale si rischia di allontanare il già non folto pubblico destinatario di queste operazioni. La debolezza di Cloro sta in questa sua precarietà narrativa, nel dare per scontati troppi passaggi che invece sarebbero necessari, nel richiederci troppa concentrazione, e nella mancanza di sviluppi davvero avvincenti. Vedendolo, non si può non pensare a un film con molte analogie – e che forse Sanfelice ha tenuto presente – come Sister di Ursula Maier, anche quello centrato sulla relazione tra una ragazza e un fratello minore alquanto complicato, anche quello collocato in una stazione sciistica (in Svizzera però), con i panorami di neve a far da sfondo e proiezione a una soria di glacialità e anoressia affettiva dei suoi personaggi. Solo che là c’era una narrazione tesissima, con un twist formidabile che ti prendeva alla gola e alle viscere, che qui invece manca completamente. Son limiti pesanti, che riducono la statura di Cloro e gli impediscono di essere quel gran film, quella gran rivelazione che sarebbe potuto essere. Ma non lamentiamoci troppo e prendiamo il molto di buono che c’è. Anche perché a reggere tutto c’è quella che, se va avanti così, rischia di diventare la nostra migliore attrice dei prossimi anni, e che oggi è già la più promettente, Sara Serraiocco. La quale è in tutte le scene, vero centro e motore del film, in una performance che del personaggio di Jenny sa restituire debolezze e durezze, abbandoni e feroce determinazione in quella lotta darwiniana che è la sua disgraziata esistenza. Mi aveva colpito nel bellissimo Salvo, qui conferma di essere una su cui il nostro cinema può contare, e speriamo che qualcuno si ricordi di darle un premio nei prossimi david e nastri et similia. Il regista ha il coraggio di un finale per niente piacione in cui l’indispensabile egoismo di Jenny – senza, semplicemente soccomberebbe – sembra prevalere, e nel paese della bontà esagitata ed esibita è una rupture culturale che lascia il segno. Anche questo fa di Cloro un film non comune.


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