Titolo: Colomba
Autore: Dacia Maraini
Editore: Rizzoli
Genere: Narrativa
Pagine: 374
Anno: 2007 (I edizione 2004)
ISBN: 9788817016766
Prezzo: € 9,90
Voto:
Trama: Dov’è finita Colomba? Perché la sua bicicletta giace abbandonata ai margini della foresta? Tante ipotesi si affollano nella mente di sua nonna Zaira, dalla fuga al rapimento, alla morte. L’unico indizio è la bicicletta abbandonata dalla ragazza, un anno prima, ai margini della foresta. Ogni mattina Zaira passa al setaccio i boschi delle montagne abruzzesi e intanto cerca una soluzione nell’ordito dei ricordi. Così, in quella nipote persa finisce per cercare tutte le persone scomparse nel passato, in un percorso a ostacoli che diviene la storia della sua famiglia. Con l’aiuto della “donna dai capelli corti”, una scrittrice che vive tra le montagne d’Abruzzo, Zaira riannoda i tanti fili della memoria. Le voci delle due donne si alternano, si sovrappongono, narrano una fiaba che intreccia storie personali e storia italiana. Un romanzo epico e corale, che segna il grande ritorno di Dacia Maraini ai suoi temi prediletti: la trama sottile dei sentimenti, l’attenzione per il mondo femminile e i suoi conflitti, il dolore causato dalla storia, l’amore per la natura.
Recensione: Con le sue 374 pagine Colomba, per chi non ha mai letto nulla di Dacia Maraini, è un romanzo inaspettato. Richiama marginalmente i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. La protagonista di questa storia, Zàira detta Zà, bussa infatti alla porta della scrittrice. Vuole che si parli di lei, della sua famiglia, della nipote ‘Mbina che non si trova più, delle estenuanti ricerche nel profondo dei boschi abruzzesi. Domanda quasi un finale che non sia quello scontato, temuto.
Dopo un leggero senso di fastidio, la donna dai capelli corti comincia a entrare nelle vicende. E a scrivere, che è un modo di indagare, di scandagliare il terreno alla ricerca di tracce.
Nessuno è una monade leibniziana. Suo malgrado è foglia tra le foglie di uno stesso ramo, dimora in un ramo tra i mille che popolano un albero. Ciascuno porta con sé un retaggio familiare e culturale a certificarne le radici, l’identità più vera che nemmeno le convenzioni più bieche riescono a smorzare.
Non si tratta di un puro fatto di cronaca da far rimbalzare sull’etere: una ragazza è scomparsa tra i boschi, ha abbandonato la bicicletta, non se n’è saputo più niente. Le autorità brancolano nel buio, dopo un anno non la si cerca più. Chi insiste, ai limiti dell’ossessione, è nonna Zàira. Non si dà per vinta, scandaglia la foresta e il parco palmo a palmo, durante la bella e la cattiva stagione. Non teme i bracconieri con il fucile. Ignora le velate minacce, i blandi ammonimenti che giungono al suo indirizzo.
È un romanzo corale, si diceva, perché coloro che hanno avuto a che fare con Zàira prendono vita. Emergono dal passato il padre emigrato in Australia (Petrucc’ i Pelus), il patrigno Cignalitt’, i nonni di lei, fino ai capostipiti: la vegliarda Zàira Morrione e Mosé Salvato del Signore. Prendono vita le foglie di un albero genealogico che a distanza di tempo e a salto di generazione sono fresche e verdi, sventolano e fremono, rinvigorite dalla narrazione e dall’invenzione.
Conoscendo le storie degli antenati di Zàira, che a sua volta è antenata di Colomba, ci impossessiamo di un mondo costituito da individui scompagnati ma legati da un destino che li riguarda da vicino. In gran parte sono pesci fuor d’acqua, distinti e distinguibili. Chi più, chi meno, fa il tifo per l’ostinazione di Zàira nella ricerca intrapresa, intesa a sfidare il destino avverso e la rassegnazione dei più. La volontà ferrea che guida e accompagna la donna tra le pagine, fa sì che non si disperda nessuna foglia di quell’albero antico. Tale è la forza, di questa risolutezza, che diviene destino essa stessa. In altre parole, la volontà tenace di Zàira fa accadere cose a suo tempo già stabilite.
Il senso di questo romanzo è tutto qui. Poco importa quali siano le strade che i singoli personaggi abbiano inteso percorrere, se abbiano scelto di restare o dissociarsi fuggendo, e non farsi più vedere. Anche quelli di passaggio, come il padre di Angelica (figlia di Zàira e madre di Colomba) pur se ai margini, hanno qualcosa da dire o da tramandare. In un’occasione, addirittura si ripresentano, come Pietrucc’ i Pelus e occupano il posto lasciato vuoto.
Emerge, come in altre opere di Dacia Maraini (si veda qui), un femminismo forte e non di maniera, dove le donne sono figlie delle madri più che dei padri, e faticano a instaurare una sorta di comprensione e complicità reciproche. Zàira è un’eroina che ha ignorato il guscio che la imprigionava ed è stata in grado di muoversi libera dentro una foresta ostile.